Piramide contro rete: la struttura delle organizzazioni

Uno degli oggetti di studio più importanti all’interno dell’accademia è la composizione delle strutture delle organizzazioni terroristiche. La preparazione e la gestione di un conflitto asimmetrico su larga scala, in cui l’avversario è rappresentato da un gruppo di paesi militarmente avanzati, richiede una ripartizione dei compiti adeguata, ma soprattutto una struttura fluida in grado di adattarsi ai diversi contesti in cui il gruppo andrà ad operare. Un conflitto di questo tipo richiede la conoscenza della cultura e la comprensione dell’ideologia dell’avversario, motivo per cui parte dell’organizzazione risulta spesso essere residente sul territorio europeo.

Ma partiamo dalle basi: cosa si intende per conflitto asimmetrico? La definizione è variata molto nel corso del tempo. Fino agli anni 2000, l’espressione indicava uno scontro tra due eserciti con disponibilità di risorse belliche (umane e materiali) molto diverse tra loro. Dopo gli anni 2000 (con l’11 settembre a fare da grande spartiacque), la concezione si è ampliata, andando a coprire anche i conflitti in cui le due controparti utilizzavano due concezioni strategiche e tattiche diverse. Questa tipologia di conflitto armato si evolve poi quando una delle due parti (la più debole e in svantaggio per quanto riguarda le risorse) adotta la tattica militare del terrorismo, o una assimilabile a questa: il modo di comunicare e di passare gli ordini da un livello all’altro dell’organizzazione cambia, e adotta metodi diversissimi a seconda del contesto e dell’avversario.

Le tipologie di struttura sono essenzialmente due: piramide e rete. I fattori che influenzano l’evoluzione dell’organizzazione in un senso o nell’altro sono diversi, ma i più importanti sono probabilmente l’ideologia e lo scopo che l’organizzazione si pone come obiettivo della propria azione militare. Da un lato le rivendicazioni politiche favoriscono la crescita di strutture gerarchiche, mentre quelle religiose (che sono oggetto di studio di questo articolo) favoriscono la nascita di strutture organizzate come un network. Due esempi notevoli all’interno del quadro medio orientale sono l’OLP e Al Qaeda.

Yasser Arafat, leader dell’OLP.

L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nasce nel 1964, e si pone come obiettivo (come si può evincere dal nome) la liberazione della regione palestinese dalla presenza israeliana. Per fare ciò, il gruppo – originariamente composto da oltre 400 individui di origine palestinese – scelse come mezzo principale la lotta armata, ma dal momento che il livello organizzativo, le risorse e le capacità dell’avversario (in questo caso lo stato di Israele) erano di molto superiori a quelle dell’OLP, nonostante gli appoggi esterni (talvolta sfociati in conflitti tra le varie coalizioni di paesi arabi contro Israele), i palestinesi furono spesso costretti ad applicare tattiche militari terroristiche, con attacchi a voli della compagnia di bandiera israeliana (El Al), sequestri, attentati e via dicendo. L’Organizzazione prevedeva una struttura piramidale, con un leader (che è stato Yasser Arafat per larga parte della storia del gruppo) e una struttura organizzata su canoni funzionali (pertanto con un’ala politica, una assistenziale e una militare).

Al Qaeda nasce negli anni ’80 come reazione alla crisi dei diversi gruppi di fede islamica sunnita wahhabita. Tale setta dell’Islam si sviluppa nel diciottesimo secolo nell’area higiazena, ed è fedele a un’interpretazione letterale del Corano e delle altre fonti del diritto islamico. Dalla sua applicazione maggiormente ortodossa nasce una concezione distorta di Islam, che mira a creare unacomunità di credenti volti all’applicazione di una certa concezione di Islam radicale e della sha’aria in tutto il mondo, attraverso la jihad. Il gruppo nasce in Pakistan grazie a finanziatori prevalentemente sauditi (tra cui figurava anche la stessa famiglia reale a capo della setta wahhabita) ed è capitanato dal figlio di un notabile del panorama finanziario dell’Arabia Saudita: Osama Bin Laden guidò i propri mujaheddin contro l’Unione Sovietica, che cercava di invadere l’Afghanistan nel tentativo di assicurarsi un canale privilegiato verso il Golfo Persico e le sue scorte di petrolio, oltre al dominio sull’Asia centrale.

Osama Bin Laden, leader di Al Qaeda.

Al Qaeda, dopo la fine della guerra, usò l’Afghanistan, ormai destabilizzato e in mano alle tribù Pashtun, come base dalla quale partire per creare un network di organizzazioni simili ad essa in tutto il Medio Oriente. Copie carbone di Al Qaeda nacquero dal Marocco al Pakistan, dal corno d’Africa all’Asia centrale. Gli esempi sono moltissimi: Al Shabaab in Somalia, AQAP nello Yemen, Laskar e Toiba in India e Pakistan, AQAM nel Sahel e via dicendo. Buona parte dei militanti erano reclutati all’interno delle madaris con ideologie più simili a quella wahhabita, e comunque sempre in paesi a maggioranza sunnita. La struttura a network veniva poi replicata all’interno del paese “ospite”, con un numero variabile di cellule pronte ad attivarsi secondo necessità. Una struttura di questo tipo non è solo una necessità, ma è anche il riflesso di una caratteristica molto importante all’interno del mondo islamico sunnita: la comunità dei credenti non è un sistema gerarchico all’interno del quale il califfo è il capo assoluto, ma più un gruppo in cui i membri hanno lo stesso valore, dove il califfo è un primus inter pares.

La tendenza dei gruppi criminali e terroristici a scivolare verso una struttura a network è figlia della necessità di essere flessibili, ed è resa possibile dalla moltiplicazione dei modi attraverso cui far circolare le informazioni. Al Qaeda adottò questo concetto, ma, temendo la tracciabilità, lo rovesciò, facendo circolare le informazioni e le direttive di bocca in bocca, lasciando il minimo indispensabile in forma scritta o su supporto informatico. In questo modo, i qaedisti cercarono di diminuire la possibilità di essere intercettati o letti dalle agenzie d’intelligence occidentali, che ebbero diverse difficoltà a reperire informazioni.

Per contro, lo Stato Islamico adotta per la propria comunicazione una strategia multilivello, specie per quanto riguarda la propria rete europea: da un lato ci sono le cellule organizzate, alle quali le informazioni vengono spesso passate attraverso un sistema misto di comunicazioni di bocca in bocca e dialogo attraverso il web sommerso, ovvero quella parte (più del 99%) di internet che non è indicizzata sui motori di ricerca. Tali cellule sono composte da individui che hanno compiti ben ripartiti tra di loro (un membro si occupa dell’approvvigionamento armi, un altro dei documenti, e così via). Un esempio delle azioni compiute da questo tipo di struttura è l’attentato di Manchester, dove un membro della cellula si è fatto esplodere con un ordigno che aveva nascosto nello zaino. L’ordigno era di fabbricazione artigianale, ma è stato in grado di mietere molte vittime (ventidue) e feriti. L’attentatore, Salman Abedi, si è rivelato avere connessioni che arrivavano oltre la Manica, fino in Libia, e che l’avrebbero aiutato nella preparazione dell’attacco.

Un secondo livello di comunicazione è unidirezionale, ed è quello diretto verso i c.d. lupi solitari, ovvero immigrati di prima, seconda, o terza generazione che non si sono integrati alla perfezione nella società per tutta una serie di concause (la scarsa capacità d’integrazione della società adottante in testa, poi situazioni familiari difficili, il “plagio” da parte dei predicatori da garage che pontificano sul ruolo dell’Islam contro l’occidente dalle proprie moschee abusive in Europa), e hanno deciso di abbracciare una visione estremista dell’Islam per rivalsa personale. Questi individui organizzano attacchi alla popolazione civile con mezzi “di fortuna” come coltelli, furgoni, automobili e via dicendo. Il migliore degli esempi recenti per tale tipo di azione è quello di Melbourne del 5 giugno, in cui un uomo ha accoltellato un passante e ha preso in ostaggio una donna, prima di essere ucciso dalla polizia. La comunicazione avviene solitamente tramite la propria agenzia stampa (Amaq), che si è dimostrata in grado di usare social network e altri media per far passare in modo molto efficace la propaganda dello Stato Islamico.

Struttura
Amaq è l’agenzia di comunicazione che fa da perno alla strategia d’influenza dello Stato Islamico.

Le motivazioni che favoriscono una struttura composta da un network di cellule sono ovvie: l’ideologia comune è la prima, in quanto conferisce unità d’intenti anche senza che vi sia comunicazione tra le cellule stesse. Un network che non si riunisse sotto un’unica bandiera correrebbe il rischio di veder alcune sue parti ingigantirsi fino a delegittimare il centro della rete (come è successo con lo Stato Islamico che nacque come sottosezione di Al Qaeda nel levante medio orientale), o di vedere alcune sue cellule adottare comportamenti controproducenti o addirittura dannosi.

Lo studio e l’analisi della struttura delle organizzazioni terroristiche costituisce una delle chiavi fondamentali per la loro sconfitta, ma il modello a network rende molto difficile l’individuazione dei membri (non a caso viene adottato con sempre maggior frequenza anche dalle organizzazioni criminali). È necessario puntare sulla creazione di un ambiente ostile, tanto in Europa – attraverso l’integrazione e il rinsaldamento del tessuto sociale – quanto in Medio Oriente (attraverso la stabilizzazione militare e politica), che tolga progressivamente ossigeno a questo tipo di organizzazioni fino a farle morire e cadere nell’irrilevanza.

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