Churrasco in saòr: il veneto brasiliano

La lingua veneta deriva direttamente dal volgare latino parlato dagli abitanti dell’area ricompresa nella Regio X Venetia et Histria e che presenta somiglianze quasi nulle con il venetico (eccetto che nella pronuncia delle vocali). I primi testi che presentano forte somiglianza con l’attuale lingua veneta si datano nel XII secolo: da quel momento in poi il veneto vive il suo periodo di maggior splendore. Diventa lingua franca in ampie parti del mediterraneo, lingua diplomatica prima del francese grazie al peso dell’Impero Ottomano i cui sudditi espatriati (in tempo di pace tra il Leone Marciano e la Sublime Porta) si rivolgevano alle ambasciate veneziane in caso di evenienza. Le prime bozze dei due Trattati di Westfalia del 1648, redatti dal capo negoziatore Alvise Contarini e considerati un punto di svolta nella creazione dello stato nazionale così come lo conosciamo oggi, vennero stilate in veneto.

Con il declino della Serenissima avvenne anche il declino dell’importanza a livello internazionale della lingua veneta. Nel frattempo però, questo aveva influenzato la parlata di diverse comunità in cui i veneti si erano stabiliti seguendo le proprie navi commerciali o i soldati marciani: in Istria e lungo tutta la Dalmazia la minoranza venetofona è ancora molto forte, mentre in Grecia la ενετοκρατία (Enetocrazia), perdurata dal XIII fino al XVII secolo ha lasciato un patrimonio costituito da numerosi prestiti linguistici: κονσεγιέρης (consejeris=consegiér, consigliere), μαραγκός (marangòs=marangòn, falegname), καρέκλα (carecla=caréga, sedia), μπάρμπας (barbas=barba, zio). Queste varietà del veneto sono una parte di una delle suddivisioni in cui le varianti del veneto si sono fissate oggi.

La Locandiera di Carlo Goldoni, opera scritta in lingua veneta.

Queste suddivisioni si articolano per la maggior su base territoriale: il veneto lagunare è parlato principalmente a Venezia e nella sua laguna nonché a Mestre e Chioggia, il veneto centrale si estende dalla provincia di Vicenza alla parte occidentale della provincia di Venezia al Polesine, ricomprendendo anche la destra Piave (l’area geografica tra Sile e Piave). Nel nord della regione il veneto dolomitico è diffuso nella provincia di Belluno mentre il veneto prealpino, meno cantilenato rispetto alle altre varianti, si parla nella sinistra Piave (ovvero nei territori tra Piave e Livenza, con alcune aree d’influenza nel pordenonese). Il veneto occidentale è diffuso prevalentemente nella provincia di Verona, mentre nel nord della provincia di Vicenza e sull’altopiano di Asiago si parla l’alto vicentino, che possiede influssi germanici a causa della presenza cimbra. Infine, il veneto coloniale è una categoria residuale all’interno della quale rientrano anche le varianti del veneto non parlate nei territori dello stato da mar della Serenissima, ma anche oltre l’Oceano Atlantico, in Sud America e, in particolar modo, negli stati brasiliani di Rio Grande do Sul e Santa Catarina, dove quattro milioni di persone parlano come prima o seconda lingua il Talian, ovvero il veneto brasiliano.

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Con la caduta della Serenissima, il passaggio sotto la dominazione austriaca prima e con l’unificazione dell’Italia in seguito, il Veneto proseguì nel suo declino economico, ormai lontano dai fasti del periodo in cui Venezia era la porta dell’Europa sull’Asia. I contratti di mezzadria, ancora molto diffusi all’inizio del XIX secolo, portarono parte della popolazione ad emigrare in Sud America, dove si stabilirono e lavorarono come braccianti agricoli. Insieme ai veneti, espatriarono in molti anche da altre regioni vicine come la Lombardia, il Friuli e il Piemonte. Data la concentrazione di italiani in zona, l’integrazione con il portoghese divenne sempre più difficile, e il veneto, nella sua variante centrale, sopravvisse con forti influenze dal piemontese e dal lombardo oltre che (naturalmente) dallo stesso portoghese brasiliano.

L’emigrazione dal Veneto al Brasile registrò numeri impressionanti: in provincia di Treviso si passò dai 400.000 abitanti dei primi nni ’70 dell’800 ai 150.000 di inizio ‘900.

Nel corso degli anni ’70 del XIX secolo, il tasso di immigrazione passò dal 7,4 per mille al 40 per mille alla fine del decennio: in alcune zone (come nell’area di Castelfranco Veneto) il tasso arrivò a punte del 312 per mille. La provincia di Treviso in venticinque anni passò da 400.000 abitanti a meno di 150.000: nell’opitergino emigrò la metà della popolazione, mentre sul Montello alcuni comuni si svuotarono completamente. I veneti in Brasile vennero inseriti per la maggior parte nel sud del paese, con mansioni legate all’agricoltura nelle fazendas, impegnati nella produzione di caffè, zucchero e via dicendo. In altri casi vennero inseriti in progetti di colonizzazione in cui dovevano strappare il campo di loro proprietà alla giungla amazzonica, fondando da zero nuovi paesi che chiamarono con i nomi delle città che avevano lasciato: Nova Bassano, Nova Padova, Nova Treviso e Monteberico, solo per fare alcuni esempi, sorsero negli anni precedenti la fine dell’ottocento. Fin dai primi anni ’80, tuttavia, i veneti iniziarono a costruire un modello di tessuto economico basato anche sulla piccola e media impresa artigianale, e il Talian diventò lingua d’affari per parte del Brasile meridionale.

La struttura morfologica della lingua Talian è identica a quella del veneto, eccetto per alcuni elementi provenienti dal lombardo. Dal portoghese proviene il lessico non esistente in veneto oppure quello legato all’ambito amministrativo. La conservazione e la trasmissione di tale lingua, inoltre, non sono sempre avvenute alla luce del sole: nel Brasile degli anni ’40, dominato dalla dittatura di Getulio Vargas, l’esaltazione di un univoco spirito nazionale aveva portato alla ghettizzazione dei non parlanti portoghese brasiliano. La lingua sopravvisse all’interno delle mura domestiche, ma per un po’ di tempo perse il suo status di lingua d’affari della regione. Il Talian visse poi una seconda giovinezza alla fine degli anni ’80, quando Brasilia decise di rivalutare l’intero patrimonio immateriale del paese, riconoscendo progressivamente tutte le lingue più importanti parlate nello stato verdeoro. Nella fattispecie, il Talian è stato riconosciuto tre anni fa dagli stati di Rio Grande do Sul e Santa Catarina come patrimonio immateriale, nonché dichiarato lingua co-ufficiale del comune di Serafina Correa.

Getulio Vargas, dittatore brasiliano che cercò di imporre la cultura unica di matrice portoghese. A farne le spese furono le altre lingue tra cui il veneto brasiliano.

Ad oggi esistono radio (qui un esempio), siti internet, pubblicazioni e giornali in Talian, che i brasiliani considerano una variante brasiliana della lingua italiana. Persino la messa viene officiata in questa lingua. Tutta quest’opera di promozione e di agevolazione del Talian si inserisce in un contesto di rivalutazione della propria storia da parte del Brasile, che si percepisce non come uno stato esclusivamente di cultura portoghese, ma come caratterizzato da un blend di culture provenienti (fatta eccezione per la vasta comunità tedesca) proprio dell’Europa meridionale, con un consistente substrato indigeno. In tale contesto si inserisce anche la rivalutazione dell’immigrazione veneta in Brasile, che dal 1875 ha fortemente contribuito allo sviluppo sia economico che sociale e culturale del paese. La costruzione di un tessuto sociale forte passa anche da questo tipo di iniziative e, dopo il cataclisma politico che ha attraversato il Brasile durante l’ultimo decennio, lo stato verdeoro ne ha decisamente bisogno.

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