Renzi a DiMartedì: atteso al varco da Floris e Giannini

Inauguriamo, a partire da questa settimana, una nuova rubrica che riguarda la televisione. Un mezzo che ormai ha talmente tanto potere nelle nostre vite da diventare una vera e propria arma sposta-opinioni, con i politici che fanno a gara a conquistare sempre più minuti di visibilità. Andremo ad analizzare i dati Auditel delle trasmissioni più viste o di quelle più interessanti, cercando di capire cosa c’è oltre le fredde percentuali e i numeri che, spesso, nascondono molto più di quanto dicono.

Iniziamo, in questa prima puntata, parlando del mancato confronto tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio, confronto da quest’ultimo prima invocato e poi disertato, all’indomani delle elezioni regionali siciliane. Tutto era stato deciso: giorno, luogo e persino emittente (quella La7 di Urbano Cairo sempre in prima linea a cannibalizzare gli umori politici del momento), e Renzi si è presentato puntuale e fedele alla parola data. In mancanza dell’interlocutore, però, ci si è dovuti accontentare di una lunga intervista con il padrone di casa Giovanni Floris, con la sensazione di aver forse perso l’occasione di assistere ad un grande momento di TV.


Considerando l’aria che tira, il più soddisfatto dell’operazione Renzi-Di Maio sarà sicuramente Urbano Cairo, editore di La7, rete su cui doveva andare in onda il primo round tra due contendenti che saranno al centro della prossima campagna elettorale. Erano molti, infatti, gli addetti ai lavori che ironizzavano sull’effetto che avrebbe avuto il mancato confronto sui palinsesti di La7.

DiMartedì, invece, ha ottenuto il 9.14% di share con 2.123.033 spettatori, con la concorrenza di Cartabianca (Rai3) solo al  3.17% di share con 747.755 spettatori: ulteriore prova di come il lungo periodo di sottoesposizione mediatica del segretario Dem abbia giovato al suo personal share, che – aggiunto alla platea affezionata del talk show firmato da Giovanni Floris – ha determinato un vero e proprio boom per la La7, triplicando di fatto i suoi ascolti.

Un boom che si è fatto sentire anche in rete, con #diMartedì che parte piano, ma diventa trending topics giovedì 9, a due giorni dalla diretta. Diretta che ha visto anche la partecipazione di Massimo Giannini, ex vicedirettore di Repubblica che prese il posto di Floris alla guida di Ballarò.

Questo boom avrà forse spiazzato qualcuno, ma di certo non gli addetti ai lavori. Avrà spiazzato, in primo luogo, per gli intervistatori: Floris e Giannini, entrambi “epurati” da Renzi, con i quali si attendeva da mesi un confronto (fatto, per altro, su cui lo stesso Renzi ha più volte ironizzato durante la diretta). I precedenti personali tra gli attori hanno preso il sopravvento sull’evento in sé, sostituendo la delusione della mancata partecipazione di Di Maio in uno show che il telespettatore ha percepito come diverso dal solito, e sicuramente non accomodante e stravaccato in stile Vespa.

Quel che ne è scaturito è stato un confronto avvincente, forse addirittura migliore di quello che sarebbe stato il confronto tra i due candidati premier. Renzi ha dimostrato sicuramente tutta la sua confidenza con il mezzo televisivo, assecondato da una scaletta benevola, che gli ha permesso di archiviare in apertura il discorso in sospeso con il candidato pentastellato, prima di affrontare un dibattito a tratti spigoloso, animato dai miliardi di sassolini nelle scarpe dei due conduttori, più volti rimasti spiazzati dall’ironia del segretario Dem.

Il lungo spazio concesso all’intervista dell’ex Presidente del Consiglio, infatti, è stato contraddistinto da un ritmo incalzante, scandito dalle domande a tratti stizzite degli intervistatori, che nel caso di Giannini si sono trasformate in considerazioni non sempre lusinghiere nei confronti dell’operato dell’attuale Segreteria Dem: dal richiamare più volte a un’assunzione di responsabilità per i risultati del partito, fino ad arrivare alla reazione poco fine del Segretario, che si è candidamente detto responsabile del licenziamento del conduttore Rai reo di avere questo atteggiamento “risentito”.

Se gli intervistatori si sono soffermati più volte sulle responsabilità della debacle siciliana,  Renzi ha risposto in parte con il suo campionario pluricollaudato, in parte con un’ironia questa volta non arrogante, che ha trovato più volte gli applausi di una platea in odor di claque. Con questo stratagemma, Renzi è riuscito a uscire da diversi argomenti spinosi, riportando il dibattito al jobs act, ai risultati del suo governo e ai suoi rapporti tesi con la politica tradizionale.

È per questo, unito al fatto che quel giorno la concorrenza era rappresentata dai Bianca Berlinguer e dal “Fenomeno Parastatale” Mika, che questo risultato non deve sorprendere, né far gioire i più, impegnati a vedere nei dati Auditel una possibile chiave elettorale o una prova della rinata utilità di programmi che, nel tempo, continuano a soffrire sempre di più. Un fatto è certo, risultati alla mano: in caso di sconfitta elettorale, Renzi avrà sicuramente sempre spalancate le porte della TV generalista.

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