Tregua olimpica: il nuovo corso della Corea del Nord

Nel corso dell’ultimo anno uno dei temi caldi sullo scenario mondiale e, in particolare, estremo orientale, è rappresentato dalla crisi nucleare della Corea del Nord, che attraverso una serie di test sia relativi ai vettori che agli ordigni nucleari, è giunta con molta probabilità ad avere capacità nucleare. Per Pyongyang il 2017 è stato il coronamento di un lungo processo di ricerca che si era interrotto negli ultimi anni di regno del “caro leader” Kim Jong Il, per poi riprendere con forza con il “giovane leader” Kim Jong Un. Durante il suo regno la progressiva intensificazione del programma di sviluppo ha portato a notevoli tensioni con tutti i paesi dell’area e con gli Stati Uniti, direttamente interessati dalla vicenda dati gli interessi di Washington nel Pacifico.

La storia nucleare nordcoreana parte da lontano: nel 1985 il “grande leader” Kim Il Sung firmò il trattato di non proliferazione nucleare, mentre nel 1994 viene firmato un accordo con gli Stati Uniti riguardante lo smantellamento di due impianti nucleari moderati a grafite in cambio dell’aiuto nella costruzione di due impianti ad acqua. La svolta negativa avviene nel 2002 quando l’amministrazione Bush, a seguito di alcune rivelazioni ottenute grazie all’opera della propria comunità d’intelligence, include la Corea del Nord nell’Asse del Male in quanto attiva nella ricerca sulle armi di distruzioni di massa: qualche mese più tardi, in ottobre, Pyongyang ammetterà di aver ripreso in segreto lo sviluppo delle armi nucleari. Il 10 gennaio successivo Kim Jong Il denuncia il trattatto di non proliferazione mentre il mese successivo sempre l’intelligence statunitense scopre la riapertura del sito di Yongbion, dotato di un reattore da 5 megawatt in grado di produrre plutonio per le armi.

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Missile Taepodong 2 durante una parata militare. Nuova Cina.

Un possibile spiraglio per la normalizzazione dei rapporti si apre nel 2005 quando la Corea del Nord offre la chiusura del proprio programma in cambio di assistenza energetica da Russia, Cina, Stati Uniti e Giappone. Le trattative verranno bruscamente interrotte dal test missilistico dell’anno successivo (peraltro fallito) poi seguito dalla risoluzione ONU che intimava a Pyongyang di sospendere il programma. A tale risoluzione fa seguito l’annuncio di aver condotto con successo un test nucleare a cui segue un nuovo provvedimento del Consiglio di Sicurezza ONU che impone nuove sanzioni al paese.

Le trattative riprendono con difficoltà e due anni dopo si giunge ad un pacchetto di aiuti da inviare in seguito alla chiusura del reattore principale di Yongbyon: Pyongyang inizia lo smantellamento e, sebbene in ritardo (la scadenza era il 31 dicembre 2007), completa l’opera ad aprile con la distruzione di una torre di raffreddamento ad acqua. Ad ottobre la Corea del Nord viene rimossa dalla lista degli stati canaglia, ma a dicembre i colloqui sul programma nucleare a Pechino con Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone e Russia si concludono con i rappresentanti nordcoreani che se ne vanno sbattendo la porta alla richiesta di acconsentire alle ispezioni della IAEA. La situazione precipita nuovamente: nel maggio 2009 Pyognyang annuncia un nuovo test nucleare che scatena nuove sanzioni da parte delle Nazioni Unite.

A dicembre del 2011 Kim Jong Il muore e gli succede il figlio Kim Jong Un, la cui presidenza si apre con una moratoria accettata da Pyongyang sullo studio dei vettori e sull’attività nucleare presso i maggiori siti nucleari nordcoreani in cambio di cibo. L’operazione è però solo di facciata in quanto dopo un anno, a gennaio 2013, la Commissione Nazionale per la Difesa annunciò la ripresa delle operazioni in chiave di contrasto agli Stati Uniti, considerati nemico giurato del popolo coreano. Il mese successivo avviene il primo test nucleare sotto la presidenza del “giovane leader” a cui seguono nuove sanzioni da parte del palazzo di vetro. Per tutto il 2016, poi, Pyongyang ha avuto più momenti “mediatici” che di vero e proprio proseguimento dell’attività: dapprima l’annuncio di avere una testata funzionante e alloggiabile in un vettore, poi il comunicato riguardante un test nucleare sotterraneo condotto presso il sito di Pyonggye-ri.

Nel corso dell’ultimo anno poi vi è stata una vera e propria escalation di test missilistici e nucleari, quest’ultimi sufficientemente potenti da provocare terremoti avvertiti dai sismografi statunitensi e giapponesi. L’ultima annata ha segnato un punto di svolta abbastanza evidente dal punto di vista tecnico: se prima i vettori nordcoreani erano tutto sommato inaffidabili, nel giro di pochi mesi questi diventano in grado di compiere tragitti intercontinentali o, nel corso dei test, di sorvolare il Giappone e ammarare nel Pacifico. Tale escalation è probabilmente frutto di un flusso di conoscenze tecniche entrate nel paese attraverso canali non ufficiali: in particolare gli addetti ai lavori hanno notato somiglianze tecniche tra particolari dei motori coreani e quelli prodotti in uno stabilimento ucraino.

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Moon Jae In, presidente sudcoreano. Reuters.

Questa accelerazione non è dovuta solo a un fattore “tecnico”, ma anche a uno politico: il nuovo corso dell’amministrazione Trump ha posto gli Stati Uniti in competizione con la Cina e in rotta di collisione con la Russia. La predicata politica isolazionista (poi ritrattata a fronte degli avvenimenti sullo scenario internazionale) ha favorito la maggior intraprendenza nordcoreana. Al termine di tale balzo in avanti la Corea del Nord ha, senza ombra di dubbio, una bomba nucleare funzionante e miniaturizzata a sufficienza da poter essere inserita nella testata di un ICBM. Si può discutere sull’affidabilità dei vettori, ma già il livello raggiunto indica la presenza di capacità bellica nucleare.

Dopo aver raggiunto tale livello, le tensioni tra Nord e Sud sono improvvisamente calate: i segnali di riavvicinamento tra i due paesi sono stati molti, a partire dalla comune partecipazione alla sfilata di apertura dei giochi olimpici invernali di Pyeongchang (e alla squadra comune che gareggerà in alcune discipline) per arrivare alla riapertura del tavolo negoziale sul riavviamento del distretto produttivo condiviso di Kaesong, dove le aziende sudcoreane impiegano manodopera nordcoreana nel corso del processo produttivo. La situazione è molto lontana dall’essere perfettamente stabile, ma è notevolmente migliorata rispetto a soli tre mesi fa quando il neopresidente Moon Jae In ordinava alle forze armate di tenersi pronte e faceva sorvolare le zone a ridosso del confine dagli elicotteri.

Cosa c’è dietro questa apparente normalizzazione dei rapporti? In primo luogo l’aver raggiunto un obiettivo, ovvero quello della bomba. Nel corso di questi anni il regime di Kim Jong Un è stato interamente proteso alla costruzione dell’ordigno e alla sua fruibilità bellica non tanto per attaccare gli Stati Uniti o per imporre una propria egemonia sull’area, ma per la protezione della Corea del Nord. Entrato in possesso del migliore di tutti i deterrenti ad uso bellico, infatti, Kim Jong Un non ha più motivo di minacciare chiunque o di condurre dei test se non a scopo di ricerca. L’altro aspetto da considerare riguarda l’aggiustamento dei rapporti con la Corea del Sud: l’opera di Kim Jong Un degli ultimi tempi mira a creare una divisione il più profonda possibile tra Corea del Sud e Corea del Nord, in modo da evitare un casus belli futuro degli Stati Uniti nei confronti di Pyongyang per questioni relative alla sicurezza di Seul.

Sulla base di queste analisi, si potrebbe perfino dire che, tutto sommato, la bomba nucleare nordcoreana non sia un grosso problema. In realtà i problemi permangono: tale episodio rischia di costituire un pericoloso precedente in cui uno stato di piccole dimensioni riesce a dotarsi di un ordigno nucleare e la comunità internazionale non ha fatto nulla (eccetto le sanzioni) per impedirglielo, fornendo così un esempio ad altri stati della stessa dimensione e rilevanza politica internazionale per munirsi di armi di distruzione di massa. Il rischio concreto è che per il 2030 il Laos, il Camerun o il Venezuela annuncino di aver completato lo sviluppo di un ordigno nucleare. In uno scenario di questo tipo la capacità deterrente dell’arma nucleare viene meno. Altro aspetto negativo è che un regime come quello di Kim vede lo stato come proprietà di chi sta al potere: tale tipologia di regimi è detta “sultanato”. In un sultanato i classici ragionamenti in merito all’opportunità o meno per un paese di intraprendere una determinata azione vengono meno, considerando che non esistono i consueti processi di check & balances delle democrazie ma soprattutto l’intero processo decisionale è affidato a un uomo solo.

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Trump rischia di perdere di vista la Corea del Sud dopo le ultime manovre di Kim. AP.

Diverse voci a livello internazionale indicano come possibile un’azione statunitense dopo le olimpiadi: da qualche settimana a Washington si parla di bloody nose, ovvero un attacco limitato su determinati obiettivi militari, magari sulle rampe di lancio dei missili o nelle strutture di comando, in modo da eliminare alcune delle personalità del regime. Ciò che appare drammaticamente chiaro è che non necessariamente la distensione significa anche sicurezza di pace, specie se attuata secondo un piano ben preciso.

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