La guerra dei dazi

Venerdì 6 luglio tutti gli occhi “social” della Cina erano puntati sulla nave Peak Pegasus che stava facendo rotta verso il porto di Dalian. Il nome della nave è rimasto per tutta la giornata tra le tendenze su Weibo, il Twitter cinese, sorpassando i gossip e la Coppa del Mondo. Il motivo per cui l’intero paese si era concentrato su un singolo cargo è che non era sicuro che la nave sarebbe riuscita a entrare in porto prima dell’entrata in vigore dei dazi, comminati dal governo cinese in risposta a quelli istituiti da Washington. La Peak Pegasus trasportava soia, un prodotto il cui valore annuale delle esportazioni dagli Stati Uniti alla Cina ammonta circa a 12 miliardi di dollari. Per dovere di cronaca, è necessario fare presente anche che il cargo non è arrivato in tempo trovandosi ancora all’ancora a est dell’imboccatura del porto al mezzogiorno di venerdì, scadenza ultima prima dell’entrata in vigore dei dazi.

Le misure commerciali tra Pechino e Washington entrate in vigore nelle ultime settimane riguardano merci i cui scambi tra i due paesi ammontano complessivamente a 34 miliardi di dollari annuali più 16 di tasse. L’iniziativa in merito è stata intrapresa dagli Stati Uniti, con Trump che fece un notevole uso di una retorica protezionista in campagna elettorale e ora sta cercando di mantenere le promesse. Questo tipo di provvedimenti ha portato le relazioni tra i due paesi a toccare un nuovo punto basso e i commentatori internazionali sono convinti che la situazione necessiterà di parecchio lavoro prima di essere ripristinata alle condizioni precedenti.

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La nave Peak Pegasus, con a bordo un carico di soia, non è riuscita ad approdare a Dalian prima dell’entrata in vigore dei dazi. FleetMon

Trump, tuttavia, non dà segnali di volersi fermare qui: secondo le ultime dichiarazioni, un ulteriore apposizione di dazi può ampliare il novero delle merci colpite aumentando il valore di beni interessati a oltre 500 miliardi di dollari. Nuove misure protezionistiche possono richiedere mesi per essere attivate quindi la prospettiva va posta nel medio periodo, ma risulta comunque notevolmente preoccupante. Sul piano interno, la mossa di Trump ha fatto nascere diverse critiche anche all’interno del suo stesso partito: le preoccupazioni vertono sullo stato di determinati settori economici (quello agricolo e quello dell’industria pesante) e sul fatto che tali misure possano dare vita ad un’escalation senza fine tra la Cina e gli Stati Uniti, che si trasformerebbe presto in una guerra commerciale con costi politici ed economici insostenibili prima di riuscire a fare tornare le due potenze al tavolo negoziale.

Dal canto proprio, Trump ha a più riprese sottolineato come gli altri paesi abbiano abusato dei lavoratori e delle imprese statunitensi rimediando il frutto del loro lavoro a un prezzo troppo basso e che, al contrario, si avvantaggiassero riversando le loro merci prodotte a prezzi più bassi sul mercato statunitense superando, nelle scelte del consumatore, le merci autoctone. La reazione, dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, si sta concretizzando non solo con la creazione di nuovi dazi, ma anche e soprattutto con una sorta di boicottaggio amministrativo che rispecchia fedelmente la natura “burocratica” della Repubblica Popolare: le aziende statunitensi che avevano intenzione di investire in Cina (su tutte il caso dell’acquisizione di NXP da parte di Qualcomm, ancora fermo in fase di revisione da parte delle autorità cinesi) o che avranno bisogno di un qualsivoglia tipo di autorizzazione, possono aspettarsi un ritardo notevole nella gestione delle pratiche.

Il conflitto minaccia di allargare i propri effetti anche ad altri settori della gestione statuale: nel corso del mese di maggio Washington ha negato determinati visti studenteschi a cittadini cinesi e il congresso sembra intenzionato a fare lo stesso di fronte a eventuali investimenti cinesi nel paese. Ulteriori danni possono provenire dagli shock economici successivi all’introduzione dei dazi: i mercati sia delle commodity che delle azioni hanno già sperimentato alterazioni dovute all’impossibilità di fare investimenti dato che le previsioni fatte in precedenza non sono più affidabili.

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Il Presidente statunitense Trump. AP

I pericoli maggiori per Trump sul piano interno sono relativi al danneggiamento dei settori economici che verranno colpiti dai contro-dazi cinesi: Pechino ha inserito nella lista di prodotti da colpire tutta una serie di beni che, forse non a caso, provengono da stati che hanno dato il proprio consenso a Trump e hanno fatto da perno per la sua vittoria: automobili per cui serve l’industria pesante della rust belt, senza contare sorgo, cotone e soia provenienti dal Texas e dall’Iowa. L’agenzia di stato Xinhua (Nuova Cina) ha inoltre definito il comportamento dell’amministrazione Trump come quello di «una gang di bulli».

All’interno dell’industria automobilistica (i cui prodotti sono stati tra i maggiori protagonisti delle sanzioni cinesi) le reazioni sono state miste: se la Ford ha asserito di non avere intenzione di voler alzare i prezzi e di essere in grado di assorbire lo shock, altre aziende come la BMW dicono che sicuramente i propri modelli prodotti negli Stati Uniti subiranno un rialzo del costo al consumatore cinese. Sempre per quanto concerne le aziende motoristiche, anche la Harley Davidson ha annunciato di voler portare fuori dagli Stati Uniti la produzione delle proprie moto, generando un’ondata d’indignazione nel paese in parte rivolta contro Trump, considerato responsabile dei dazi, in parte contro la stessa Harley Davidson, accusata di produrre veicoli che ormai erano “americani” solo di nome.

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Il presidente cinese Xi Jinping. Nuova Cina.

Trump, dal canto proprio, ha inserito tra le merci colpite dalle misure protezionistiche prevalentemente prodotti elettronici, attrezzature mediche e componentistica per auto e aerei. Le misure sono state oggetto di critiche anche da parte della FED (la banca centrale statunitense) non solo per le implicazioni dei dazi all’interno dei propri confini (la reazione cinese e il rialzo dei prezzi), ma anche e soprattutto per i flussi commerciali a livello internazionale, che a quel punto si ridisegneranno danneggiando le catene di rifornimento e produzione globali, richiedendo anni per il riassestamento e producendo danni notevoli per il commercio globale.

Quello che si preannuncia è un conflitto commerciale su vasta scala, come anche Xi Jinping ha avuto occasione di ribadire più volte. Nel frattempo per alcune aziende sul territorio statunitense si stanno formando nuvole all’orizzonte. Da più parti i commentatori internazionali si chiedono se l’interventismo in economia di Trump (sovvenzioni a determinati settori e dazi) sia un’arma efficace per risollevare gli Stati Uniti e creare nuovi posti di lavoro. La risposta è che con ogni probabilità la finalità della casa bianca non è quella di proteggere l’economia ma quella di colpire la Cina, vista come una possibile rivale all’egemonia mondiale. Da questo punto di vista i dazi sono una misura efficace? Forse indirettamente lo sono, specie considerando quelli che sono i rapporti precedenti tra i due paesi, ma il rinculo non sarà certo indifferente.

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