Un insolito spettacolo – terza parte

Un insolito spettacolo – prima parte
Un insolito spettacolo – seconda parte


Stavo cercando di mettere insieme tutto quello che mi aveva detto Giorgina, ma riuscivo a pensare solo ai calzoni che si erano attaccati alle mie gambe e mi torturavano mentre scendevo le scale. Mentre, dunque, scendevo con passo controllato, ho visto arrivare dalla parte opposta la dirimpettaia che saliva da non so dove. «Salve, signora», le ho detto. Non mi ha nemmeno risposto. Ha continuato a salire le scale ed è sparita dietro una giungla di ringhiere. Io sentivo di aver fatto il mio dovere per la giornata e volevo soltanto tornare a casa e farmi un bel bagno accompagnato da molta schiuma e dalle urla di mia madre alla vista del pavimento zuppo.

«Ciao mà!» ho detto entrando in casa. Sentivo un cicaleccio lontano, nella sala da pranzo. Una voce era di certo quella della mia genitrice, mentre l’altra era una voce maschile. Sono comunque entrato prima in camera mia, almeno a cambiare quei pantaloni fradici che mi stavano torturando. Avevo appena infilato i calzoni del pigiama, quando mia mamma si è affacciata alla porta, dicendo: «Mimmù, stasera abbiamo ospiti a cena». Con un sorriso. Poi guardando in basso, ha aggiunto: «Cerca di non presentarti in pigiama!» ed è andata via facendo frusciare il vestito nero a fiorellini bianchi. La porta che aveva lasciato socchiusa mi aveva permesso di sentire l’odorino di patate con rosmarino: una meritata cena dopo tanto sudore. Letteralmente.

Mi sono avvicinato alla sala da pranzo, timido, non sapendo chi fosse l’invitato di quella sera. «Piccirì, vieni, entra!». Era Giovanni, il vicino. Veniva spesso a farci visita, non era una novità. Ma c’era qualcosa che faceva inumidire spesso i suoi occhi, tra una chiacchierata e l’altra. Pensavo fossero le patate troppo calde. E invece, quando mamma ha portato il pollo arrosto (speravo non quello che avevamo trovato la mattina), Giovanni ha buttato tutte le lacrime che aveva trattenuto in una sola volta. Poi si è soffiato il naso col suo grande fazzoletto azzurro di tessuto. Mamma si è molto stupita e stava quasi per abbandonare il piatto che le sarebbe caduto dalle mani e avrebbe così sprecato un altro pollo, un’altra possibile cena. «Signor Giovanni!» diceva mia madre mentre accorreva verso il dolente vicino. E lì è iniziata una cena a base di rimorsi e il cibo si era tutto freddato. «La mia Carmeluzza ed io ci siamo incontrati in una di quelle serate con tutti i giovani, lei era bella bella bella e aveva un fiore tra le dita. Me lo ricordo ancora. Una peonia e allora le dissi “Ciao peonia” e lei si mise a ridere. E siccome c’era una fiera a premi che consistevano in animali da fattoria, io volli farle vedere la mia bravura cù u fucile a pallini e vinsi per lei un gran bel pollo. Idda felice era! E da allora tenemmo quel pollo come se fosse nostro figghio». Mia mamma lo guardava come se si fosse ammattito, mentre a me toccavano le occhiate assassine se cercavo di toccare la cena senza che il nostro ospite avesse iniziato a servirsi.

Allora dopo un po’ la stanza ha iniziato a volteggiare e non riuscivo più a comprendere le parole di Giovanni. La faccia di mia mamma si è ingrandita e mi guardava, io giravo sulla sedia. Ad un certo punto ho visto Giovanni alzarsi e iniziare a ballare un valzer col pollo che nel mentre si era alzato dal piatto e con un piccolo salto era finito per terra. Loro ballavano e ballavano, il pollo aveva inspiegabilmente un fiocco rosa e un vestitino di pizzo vedo-non vedo, molto accattivante. E il signor Giovanni era incantato da quella visione, guardava il pollo con amorevolezza e passione. E c’era una musica lontana e Giovanni che piangeva e diceva: «Carmeluzza, finalmente ti ho ritrovata!». Ma Carmeluzza era di un colore dorato e croccante e non aveva nemmeno la testa, anche se devo dire che si muoveva davvero come una vera ballerina: aveva i tacchi a spillo e ogni tanto faceva delle interminabili giravolte senza perdere l’equilibrio nemmeno per un secondo. E mamma nel mentre batteva le mani e lanciava le patate in aria come se fosse il riso per i novelli sposi. Una visione tanto commovente quanto strana. E così avevo saltato la mia meritata cena. Il mattino dopo mi sono svegliato nel mio letto con una fame da paura. E continuavo a chiedermi perché perché perché questo pollo facesse ammattire tutti quanti, compreso me. Nel mio taccuino ero costretto dunque a scrivere: «Il caso non ha ancora dei possibili sospetti. Tutti temono la visione di un pollo senza testa, possibilità di un fantasma in circolazione. Tenersi all’erta». E così sono andato a fare colazione con tutta calma, sperando che a pranzo gli avanzi del pollo non si mettessero a ballare di nuovo.

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