Back Home EP10, Thierry Henry

Le puntate precedenti:

  1. Diego Costa
  2. Robin Van Persie
  3. Eusebio Di Francesco
  4. Emiliano Mondonico
  5. Julio Cesar, “l’acchiappasogni”
  6. Mario Götze
  7. Didier Deschamps
  8. Claudio Marchisio
  9. Kimi Raikkonen

Ben ritrovati ad un nuovo appuntamento di Back Home, decimo appuntamento di dodici puntate che raccontano storie di sport – non solo di calcio – capaci di farci emozionare senza dover scavare a fondo nei ricordi dei tempi passati. Nell’ultimo periodo, spesso si è fatto ricorso all’uso nocivo di un sentimento come la nostalgia che porta a rifugiarsi da una realtà che ci circonda completamente diversa. Quando si arriva a un eccesso di ciò, si passa da quello che è un sentimento genuino a un quasi “rifiuto del cambiamento”. Non solo per lo sport, ma anche per vari argomenti extra-sportivi. Viene immediatamente in mente la politica, per esempio. In questi tempi abbastanza incerti, è proprio la nostalgia di tempi migliori uno dei punti più utilizzati per fare propaganda da alcune parti politiche. Chiudendo questa parentesi e tornando sull’aspetto prettamente legato allo sport, il fine di questa rubrica, è pertanto quello di far sentire un senso di romanticismo che sembra essersi perduto in un panorama sportivo sempre più accusato di essere “privo di bandiere”. Finendo questa introduzione andremo a presentare il protagonista di questo episodio di Back Home. Dopo aver raccontato la storia di Kimi Raikkonen, pilota promesso sposo della Sauber, passeremo nuovamente dal Principato di Monaco. Non sarà un tour del celeberrimo circuito di Formula 1, ma sarà per andare a vedere da vicino il Monaco allo Stade Louis II. La squadra del principato infatti vede tornare a casa il figliol prodigo Thierry Henry, dopo che ha vestito la maglia dei monegaschi, in veste di allenatore. Ritorna dopo circa vent’anni di distanza da quel 1999, anno in cui lasciò il principato per accasarsi alla Juventus. Oggi, dopo una carriera lunga di successi, è chiamato a risollevare le sorti di un Monaco che in questo momento sarebbe retrocesso in Ligue 2: uno scenario apocalittico per una formazione che due anni fa arrivò alla semifinale di Champions League.

Thierry Henry nasce a Les Ulis, cittadina di circa venticinquemila abitanti non lontano dalla capitale francese nel 1977. Figlio di immigrati, quello che sarà il top-scorer dell’Arsenal nelle competizioni UEFA ha infatti origini della Guadalupa e della Martinica. Proprio a Les Ulis comincerà a muovere i primi passi nel mondo del calcio, intraprendendo un percorso che dalla periferia dei campionati dilettantistici lo porterà al INF Clarefontaine, squadra accademia della FFF – federazione Francese – che ha coltivato il talento di diversi campioni di ieri e di oggi: Thierry Henry, ma anche Kylian Mbappé. Per Titi, l’essere uno di quei giocatori considerati predestinati attira l’interesse del Monaco. Nel principato, dopo due anni nelle formazioni giovanili, esordirà in prima squadra per poi diventare un elemento sempre più stabile. Prima di conoscerlo come punta molto tecnica e veloce, Titi giocava perlopiù esterno: sarà Arsene Wenger a inventarlo come centravanti, affiancandolo a Dennis Bergkamp, facendo così le fortune dei Gunners. Rimarrà nel principato fino al 1999, dove vincerà campionato e supercoppa francese nell’annata 1997. Nell’annata successiva, la squadra arriverà fino in semifinale di Champions League, mettendo più di qualche pensiero alla Juventus di Ancelotti. Nel match di ritorno contro i bianconeri, uno dei tre gol dei monegaschi è proprio il suo, con uno scavetto delizioso che batte Peruzzi. Proprio le ottime prestazioni personali e di squadra portano Henry e altri compagni di squadra a essere chiamati tra i ventitre bleus di Francia 1998. Mondiale vinto proprio dai francesi, in cui Titi segnerà tre gol nella fase a gironi.

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Complice sia la vittoria della prima storica Coppa del Mondo con la Francia, sia il rendimento nella sua squadra di club, arriva la chiamata della Juventus. Thierry Henry si unisce ai bianconeri nel mercato di gennaio, ma non impressionò come fece nei suoi anni nel principato, anzi. Non è rimasto proprio nei ricordi dei tifosi: la sua parentesi torinese finirà nel giro di sei mesi, con appena tre reti in diciannove presenze. Successivamente si scoprì come la fine dell’amore tra la Juventus e Titì fu pesantemente condizionato dalla presenza di Luciano Moggi, con cui il giocatore francese aveva un forte astio. Venne ceduto all’Arsenal per dieci milioni di sterline, quasi a sorpresa, alla squadra di Arsene Wenger, allenatore che lo ebbe in rosa qualche anno prima nel principato. Diventerà uno dei giocatori più forti di sempre ad aver vestito la maglia dei Gunners. Sarà uno dei protagonisti del titolo degli Invicibles del 2003/04, con trenta reti siglate in trentotto giornate, diventando peraltro capocannoniere della competizione. Proprio nel periodo Gunners, Thierry Henry si scopre grande centravanti: diventa compagno ideale di Bergkamp prima e Robin Van Persie poi. Rimarrà all’Arsenal fino alla finale giocata contro il Barcellona di Rijkaard: quella partita maledetta per i londinesi, decisa nei minuti di recupero da un gol blaugrana firmato Belletti.

Patrick Vieira, Robert Pires, Thierry Henry e Ashley Cole. Solo quattro di quegli interpreti che passarono alla storia come
Patrick Vieira, Robert Pires, Thierry Henry e Ashley Cole. Solo quattro di quegli interpreti che passarono alla storia come “The Invicibles” dell’Arsenal 2003/04. Foto: Getty Images.

Proprio la squadra catalana sarà la prossima tappa di Henry, che lascia l’Arsenal nell’estate del 2007 dopo essere arrivato a Londra nel lontano 1999. Va ad accasarsi nella squadra dei campioni d’Europa del 2006, per cercare quella vittoria in Champions League che gli manca maledettamente. La sconfitta proprio contro i Blaugrana allo stadio Saint-Denis fa ancora male. Proprio in quello stadio dove nel 1998 Henry e milioni di francesi hanno coronato il sogno di diventare campioni del mondo per la prima volta. L’ex-Arsenal arriva in una squadra molto più competitiva, e sarà uno dei vincitori del sextuplete. La prima vittoria in Champions League arriva proprio nel 2009, nella finale giocata all’Olimpico di Roma, a cui si aggiungeranno la vittoria in Liga e in Coppa del Re, più le vittorie nella Supercoppa Europea e in quella nazionale, oltre al Mondiale per club. Grandi vittorie di squadra che però coincidono con un calo delle prestazioni dell’attaccante francese, che lascia definitivamente la Catalogna per andare in MLS nei New York Red Bulls.

Josep Guardiola catechizza Thierry Henry in una partita del Barcellona. Foto: Getty Images.
Josep Guardiola catechizza Thierry Henry in una partita del Barcellona. Foto: Getty Images.

In America inizia l’ultima grande tappa della carriera di Thierry Henry. Nonostante l’eta avanzi, il giocatore è letteralmente di un altro livello rispetto a molti avversari e compagni di squadra: del resto la classe non è acqua. Sebbene l’allora unica squadra di New York – successivamente nacque il NYCFC – sia riuscita a vincere il MLS Supporters’ shield nel 2013 – ovvero un trofeo per chi ha ottenuto più punti durante la stagione regolare – la squadra di Henry non è mai riuscita a laurearsi campione della lega. Durante il suo periodo a New York, ci fu un annuncio che fece sognare nuovamente tifosi dei Gunners e amanti gli amanti del calcio. Thierry infatti torna a Londra per allenarsi nuovamente con l’Arsenal, anche se per due mesi. Da gennaio a inizio marzo 2012, quello che è stato uno dei giocatori più forti della storia recente dell’Arsenal è tornato a calcare il campo dell’Emirates Stadium. Si ripresenta tra i suoi tifosi in una partita di FA Cup, partendo dalla panchina. Una partita strana per i Gunners, chiaramente favoriti, che però non riescono a sbloccare la contesa. Arsene Wenger decide quindi di sostituire Marouane Chamakh per Thierry Henry. Gioca il tutto per tutto, inserisce il francese per cercare di vincerla, anche per evitare il replay della partita a campi invertiti. E un gol arriva proprio grazie a Thierry Henry, che piazza con un destro preciso a fil di palo. Non solo il gol in FA Cup. Durante il suo prestito all’Arsenal totalizzò quattro presenze in Premier League e una in Champions League, negli ottavi di finale giocati contro il Milan di Massimiliano Allegri. Andò anche a segno per ben due volte in campionato. Una volta dove mise la sua firma su un 7-1 interno contro il Blackburn nei minuti di recupero, e un’altra quando, in una partita delicatissima giocata sul campo del Sunderland, risolve la contesa con un destro sporco, inserendosi in area come un vero attaccante di razza.

Concluderà la carriera nel 2014, ritornando nel calcio giocato in veste di collaboratore tecnico dal 2016. Entrerà a far parte dello staff della nazionale Belga targata Roberto Martinez. Prenderà parte a Russia 2018 nel percorso che porterà i Diavoli Rossi del Belgio fino alla semifinale, per poi essere promosso a vice-allenatore proprio da Roberto Martinez: proprio dopo il mondiale però arriverà la chiamata del Monaco. La squadra del principato al momento non naviga in acque tranquille. È un momento difficile per i biancorossi, dato che molti giocatori che hanno raggiunto la semifinale di Champions League del 2017 hanno cambiato maglia. La rosa è comunque di qualità, ma al momento non sta rendendo come ci si aspetta, pertanto ecco Thierry Henry. Firma un contratto di tre anni per allenare la squadra di Monaco: è chiamato a tentare di risollevare una stagione partita in maniera pessima. Nonostante la situazione sia difficile ai limiti dell’impossibile, Titì afferma come la sua sia una scelta di cuore: «Quando è arrivata la proposta del Monaco mi è sembrato logico accettare. La mia è una scelta di cuore: conoscete tutti quanto sia forte il mio legame con Londra, ma venendo qui torno dove tutto è cominciato». Inoltre spiega come il suo primo obiettivo è risollevare il Monaco, allontanandolo dalla zona retrocessione. Questo è Back Home, alla prossima.

Thierry Henry, il nuovo allenatore del Monaco. Foto: REUTERS/Eric Gaillard.
Thierry Henry, il nuovo allenatore del Monaco. Foto: REUTERS/Eric Gaillard.

Un buon viaggiatore non dovrebbe esibirsi affermare, spiegare, ma tacere, ascoltare e comprendere.

Paul Morand

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