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Allevi e dintorni: dei musicisti controversi e dei loro successi

Published by
Matteo Petroncini

Chiunque si interessi di musica avrà partecipato, almeno una volta, a una discussione sulla validità o meno di alcuni personaggi controversi della scena artistica attuale. Stiamo parlando di musicisti come Allevi ed Einaudi – ma anche Cacciapaglia e Bosso – che unendo classica e pop hanno riscosso tanto successo da riempire le sale da concerto e addirittura gli stadi. Allo stesso tempo, una certa fetta di musicofili si è invece schierata contro gli artisti, dando vita a una querelle di notevoli dimensioni. Ma qual è il motivo di questa diatriba?

Da un lato abbiamo alcuni musicisti che, partendo da una formazione classica, hanno deciso di adattarsi alle necessità dell’industria discografica e – con più o meno fatica – hanno raggiunto un riconoscimento pubblico (ed economico) per la loro produzione artistica. Dall’altro abbiamo un grande numero di amanti della musica classica che non riconoscono questi compositori come gli eredi della tradizione occidentale. Per affrontare con coerenza un processo ancora in fieri è necessario contestualizzare il tutto, al fine di trovare le radici di questa contesa.

La musica può essere immaginata – semplificando molto, ovviamente – come una famiglia, in cui due sorelle si dividono le rispettive aree di competenza: le due sorelle sono la musica popolare e la musica colta. Non sono di quelle sorelle che non si salutano mai, anzi: parlano spesso e si scambiano anche i vestiti; ogni tanto si allontanano, ma alla fine è pur sempre un rapporto pacifico. La popolare è la sorella maggiore, più semplice ma allo stesso tempo più chiara; l’altra, la musica colta, è un po’ più secchiona, ma si introduce meglio negli ambienti altolocati. Ed è proprio questo il concetto chiave: ognuno dei due tipi di musica ha uguale autorità ma competenze diverse.

E così è sempre stato: Mozart componeva per le corti, Josquin Desprez componeva per i grandi nobili, e questo fino ad arrivare al Romanticismo, quando l’interlocutore divenne il salotto borghese. La musica – essendo una forma d’arte – altro non è che un mezzo di comunicazione, e pertanto si adatta al luogo e al destinatario. Ma qual è allora il problema di cui tanto si discute? Il pomo della discordia sembra essere il millantato credito che questi nuovi musicisti e compositori vantano nel dipingersi come gli eredi della grande musica classica, quando in realtà sono i figli diretti dell’altra sorella.

Ora, messe da parte le questioni prettamente musicali, bisogna capire se tutto questo è vero o no. Cosa distingue i due generi, soprattutto al giorno d’oggi? Innanzitutto, la musica popolare è oggi un’industria che – come tutte le altre industrie – segue le leggi del mercato, al punto da potersi chiamare, staccandosi un po’ dalle sue origini, musica commerciale. Essa richiede brani brevi, con armonie consonanti ma non solo, semplici e magari ripetitive, che lascino spazio alla voce in modo da poter arrivare al cuore dell’ascoltatore nel modo più istintivo possibile.

La musica colta, per la quale nel Novecento si sono compiute tutta una serie di rivoluzioni, ha finito con lo staccarsi nettamente dal pubblico. Non che l’audience, ai tempi di Mozart, fosse molto più ampia, ma una concezione diversa della società faceva sì che la vox Dei fosse quella dell’aristocrazia, e non quella del volgo. Motivo per cui, al giorno d’oggi, tutti conoscono Marco Mengoni e pochi conoscono Luciano Berio o Salvatore Sciarrino.

Ad ogni modo, al fine di comunicare sempre di più, il messaggio della musica colta ha finito col perdere una componente fondamentale del dialogo: l’attenzione del pubblico. Il messaggio c’è, il pubblico sente, ma non ascolta. Mozart sapeva bene quanto fosse importante catalizzare l’attenzione, e proprio per questo le sue opere – che pure sfiorano livelli altissimi di serietà musicale – presentano poi delle trame che rasentano la pornografia: per attirare il pubblico, per l’appunto.

Va da sé, a questo punto, che i musicisti chiamati in causa – Einaudi, Allevi e anche tutti gli altri – sono più vicini alla componente commerciale della musica, piuttosto che a quella colta o classica. Questo dato di fatto, d’altra parte, non toglie nulla al valore della loro musica, ma certamente restituisce al quadro musicale preso in esame le sue giuste aree di competenza. Detto ciò, per riuscire ad avere un minimo di capacità critica dal punto di vista estetico, non si deve far altro che ripercorrere a ritroso la storia dell’arte, cercando il perché del suo esistere.

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Matteo Petroncini

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