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Hypnagogic pop: un ponte multicolore tra gli anni ‘80 e la vaporwave

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Simone Barondi

Anni 2000. Lasciato alle spalle il decennio precedente, quei Nineties ingombranti sul piano musicale e culturale, le nuove generazioni di artisti iniziano timidamente a guardarsi intorno. Alcuni di loro intraprendono una scelta, o meglio una vera e propria filosofia artistica, solo apparentemente facile ma, in realtà, estremamente coraggiosa: guardarsi indietro per guardare avanti. Indietro non al decennio appena passato, ancora troppo vivo e lucido, troppo carico di quella patinatura stucchevole e di quella semplificazione della sensibilità artistica che lo hanno nel bene o nel male caratterizzato: la lancetta della macchina del tempo viene spostata un po’ più indietro, a quegli anni ‘80 che, per ricordo diretto o indiretto (per chi quegli anni non li ha vissuti), rappresentano un sogno sfumato e al contempo lucido, una domenica in macchina sotto il sole lungo una strada vuota mentre alla radio passa The Boys of Summer di Don Henley.

Decine di giovani artisti cominciano così a immergersi nell’immaginario Eighties, fra oggettistica retro, musicassette, poster di film e puntate di Miami Vice. Iniziano a comporre ispirati dalle sonorità pop di quegli anni, ma anche dalla psichedelia, dalla new-age (quella di qualità) dallo shoegaze e dall’italo-disco, che con le sue sonorità elettroniche chill e avvolgenti è stata una delle principali influenze musicali ed estetiche di questa nuova scena musicale esplosa nella seconda metà degli anni 2000. Guardarsi indietro, si diceva: non inscenare un mero revival, ma rielaborare il ricordo e distillarne una post-memoria che diventasse espressione musicale di una generazione più sognante e introspettiva di quella che aveva vissuto gli anni ‘90.

Il giornalista musicale David Keenan ha chiamato questa tendenza musicale hypnagogic pop, termine emblematico derivante dal fenomeno delle illusioni ipnagogiche, ovvero esperienze sensoriali che avvengono all’inizio del periodo di sonno. Uno dei primi artisti ad aver elaborato sapientemente questi spunti, nonché uno dei più influenti, è Daniel Lopatin, artista che ha formato il suo vocabolario musicale nella scena underground noise di Brooklin e da essa ha ereditato l’amore per le sonorità lo-fi, per la vecchia strumentazione, il sampling e un modo di comporre totalmente destrutturato. Queste influenze, assieme alla passione nostalgica per gli anni ‘80, sono confluite nel progetto più importante dell’artista, Oneohtrix Point Never, nome che distorce quello dell’emittente radio Magic 106.7. Con i due notevoli album Zones Without People e Returnal Lopatin ha contribuito a definire le basi semantiche del genere hypnagogic pop, attraverso l’utilizzo di vecchi sintetizzatori (tra i quali lo storico Roland Juno-60) e di samples vocali pesantemente effettati. Nei dischi emerge una nostalgia quasi spasmodica per le sonorità vintage, ovviamente quelle degli Eighties ma anche la musica cosmica tedesca degli anni ‘70 e i suoi tappeti di sintetizzatori analogici. Lopatin ha in seguito condotto la sua sperimentazione musicale persino oltre i canoni dell’hypnagogic pop, ergendosi anche a pioniere della scena vaporwave grazie alla pubblicazione di Chuck Person’s Eccojams Vol.1, una manciata di brani composti da samples di brani anni ‘80 fortemente rallentati ed effettati per creare una sorta di effetto narcotizzante.

Un altro artista che si è posto fra i protagonisti di questa scena è Ernest Greene, noto con lo pseudonimo Washed Out. Più orientata verso la forma canzone e fortemente ispirata dalle sonorità italo-disco, la musica di Greene si carica di un immaginario sognante ed estivo, creando una sorta di colonna sonora per un tramonto o un afternight su una spiaggia semideserta. Non a caso Washed Out, assieme ad artisti come Neon Indian (altra punta di diamante della scena hypnagogic) è considerato uno dei protagonisti del filone chillwave. L’intento musicale dell’artista è chiaro sin dalla copertina del bellissimo EP Life of Leisure: il disco è una manciata di brani elettronici downtempo fatti da tappeti di synth caldi e dinamici, ballate dream-pop sulle quali si posa la voce tiepida e fortemente effettata di Greene. Una magia replicata nel successivo full-lenght Within And Without, in cui le sonorità vengono levigate e portate in alcuni momenti persino verso lidi ambient.

Washed Out ha pubblicato un secondo album nel 2013, Paracosm, che ha cambiato decisamente rotta rispetto ai lavori precedenti, virando verso sonorità psichedeliche Sixties e segnando l’effettivo declino della scena musicale hypnagogic. Una scena poco longeva, consumatasi una manciata di anni dopo la sua esplosione, ma che ha lasciato un’importante eredità alla musica elettronica degli ultimi anni, influenzando pesantemente la nascita della vaporwave (e, più o meno collateralmente, anche del genere synthwave) e sdoganando un certo modo di fare musica, nostalgico ma al contempo carico di notevole personalità. Guardare indietro per guardare avanti.

Discografia consigliata

Washed Out – Life of Leisure EP

Washed Out – Within and Without

Oneohtrix Point Never – Returnal

Memory Tapes – Seek Magic

Neon Indian – Psychic Chasms

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Simone Barondi

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