Goodnight sweet prince: il declino degli Arena FPS

Il genere degli sparatutto ha subito grosse mutazioni in questi ultimi due decenni. Da Wolfenstein 3D, passando al primo Doom di ID Software e a Marathon di Bungie, la struttura era simile: un motore basato su mappe bidimensionali che venivano poi trasformate, dando così l’illusione di star muovendo il personaggio in un ambiente tridimensionale.

Gli Arena FPS

È con l’uscita di Quake che il mondo dei FPS venne rivoluzionato: fu infatti il primo titolo ad essere completamente in tre dimensioni. È proprio con l’uscita del primo titolo della serie che nasce il fenomeno degli arena shooter multiplayer, dai piccoli lan party organizzati a casa di amici al riempire teatri di spettatori paganti. L’uscita di Half Life causò un nuovo innalzamento dell’asticella, nel 1999 uscirono sia Quake 3 Arena che Unreal Tournament, primi veri capostipiti del sottogenere degli Arena shooter.

Quali sono le caratteristiche che deve avere un FPS per essere considerato del sottogenere Arena? Un Arena shooter è costituito dalla sola modalità multiplayer, nello specifico quella deathmatch, dove due giocatori sono posti l’uno contro l’altro in una piccola mappa, zeppa di power up e armi da raccogliere. La modalità prediletta degli scontri è il duello 1v1, dove conoscenza della mappa e tempi di risposta fulminei fanno la differenza tra la vita e la morte virtuale. Altra caratteristica che li differenzia, è la presenza di “projectile weapons” a differenza di un sistema di hit scan per la registrazione dei colpi: il Flak Cannon di Unreal Tournament mostra effettivamente su schermo la traiettoria dei proprio colpi; a differenza, ad esempio, delle armi in Counter Strike, dove la registrazione del colpo è istantanea, un click del tasto di fuoco e vedremo immediatamente la destinazione del proiettile. Le numerose incarnazioni avvenute durante gli anni hanno riscosso, all’inizio, grandissimo successo, per poi scemare via via. Guardando le steam charts odierne, Quake Live si attesta su un massimo di 605 giocatori, Reflex Arena riesce addirittura a fare ancora peggio, con un abissale 36 giocatori loggati in un ciclo di ventiquattro ore; il fondo del barile viene raggiunto da Toxikk con un picco massimo di 27 utenti collegati contemporaneamente . La situazione per il settore è quindi tutt’altro che rosea. Cosa ha causato questo grande declino in uno dei generi che fino ad una decina di anni fa era la fetta più remunerativa e competitiva del settore E-sport? Si possono individuare cinque “cause” principali.

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Il trio delle meraviglie
Il trio delle meraviglie

L’evoluzione del mercato console

Prima degli anni 2000 c’erano esempi di FPS su console, come 007 Goldeneye di Rare e prima ancora un porting di Wolfenstein 3D su SNES, ma è stata Bungie nel 2001 a fissare un nuovo standard con l’uscita di Halo: Combat Evolved. Halo CE viene considerato uno dei migliori FPS mai fatti e ha favorito la nascita di una florida community multiplayer sulla prima Xbox e contemporaneamente è stato accolto positivamente nel settore degli sport elettronici competitivi, anni in cui Unreal ’99 e Quake III Arena la facevano da padroni.

Round di Capture the Flag su Halo CE
Round di Capture the Flag su Halo CE

Lo sparatutto Bungie offriva modalità del tutto simili a quelle dei già citati UT e Quake: c’era il Deathmatch in solitaria o a squadre e Capture the Flag con la presenza anche di veicoli. Mancava però degli elementi per essere considerato un vero arena shooter: le console odierne e dei tempi precedenti dispongono di un elemento che rovina il gameplay fulmineo tipico del genere, il pad. L’accuratezza raggiunta dall’accoppiata Mouse + Tastiera è inarrivabile e la presenza di un pad è stato uno dei motivi discriminanti per il non avvenuto porting degli arena shooter su console, quello e il non interesse del pubblico. Questo ha dato vita ad un nuovo corso nel settore: da Unreal Tournament ai vari CoD, non si è fatto altro che progredire verso una sempre più marcata semplificazione delle meccaniche con l’uscita delle nuove generazioni di piattaforme per il gaming casalingo, ovviamente la fetta più grande dei consumatori ha seguito l’andamento del mercato. Non c’è da meravigliarsi se il settore competitivo degli FPS su console sia dominato dall’Halo Championship Series e dalla Call of Duty World League Championship.

Skill barrier elevata

Approcciarsi ad un’arena shooter tradizionale è tutt’altro che facile: c’è uno skill gap per nulla indifferente tra i nuovi giocatori e i veterani del settore che magari giocano dal primo Unreal Tournament. Map knowledge e riflessi fulminei sono la base per sopravvivere più di pochi secondi. Un qualsiasi giocatore di altri titoli FPS che si trovi alla sua prima esperienza con questo sottogenere di sparatutto, si sentirà spiazzato appena entrato in qualsiasi partita. Lo spiazzamento sarà ben presto sostituito dalla frustrazione di venire continuamente “fraggato” dai veterani senza riuscire a mettere a segno nemmeno un singolo colpo. La frustrazione muterà in rabbia con successivo abbandono del titolo e lancio del disco d’installazione dalla finestra. Questo è uno dei fattori principali che ha portato al declino del genere: una curva di apprendimento così ripida non è infatti per tutti, alla vasta maggioranze dei giocatori non piace farsi uccidere continuamente senza riuscire a combinare nulla. Certo, in molti arena fps si trovano modalità single player, con difficoltà selezionabile, per farsi un po’ le ossa contro AI controllate dal computer; ma la realtà è che la skill dei bot, anche impostata alla massima difficoltà, è di molto inferiore a quella di un giocatore medio e non prepara assolutamente all’inferno che è il multiplayer. Questo gap è possibile chiuderlo giocando con costanza e impegnandosi nell’imparare le mappe e il posizionamento di armi e power up, ma il giocatore medio preferisce concentrarsi su 5-6 titoli più abbordabili piuttosto che affinare le proprie capacità su uno solo. Entra in gioco anche un fattore di mentalità e di cambio generazionale.

Arena FPS
Un duello in Unreal Tournament 2004

L’età media dei giocatori odierni

Le persone che giocavano Quake e Ut a inizio 2000 sono oramai maturate, spostandosi magari su altri generi; mentre le nuove generazioni non sembrano essere interessate agli arena shooter (da qui il ridicolo ammontare di player dato dalle steam charts). Perchè questo? Come detto in precedenza, la difficile fruibilità del titolo da parte dei neofiti è una causa importante e ora il neofita è giovane e cresciuto con altre tipologie di giochi. Il fatto anche che il mercato sia saturo di titoli multiplayer con cui questo neofita ha già avuto modo di relazionarsi e che magari preferisce, gioca certamente a sfavore degli FPS multiplayer old school. I giocatori di nuova generazione sono anche meno costanti, meno razionali e più emozionali; con l’ampia scelta di titoli a disposizione su tutte le piattaforme, è logico aspettarsi un declino di quei titoli più legati alle loro vecchie radici.

Un concept ormai sorpassato

Si parla di vecchie radici perchè quello degli arena shooter è effettivamente un concetto vecchio e molto semplicistico. Una pecca che non può essere risolta proprio per la concezione stessa dei titoli in questione è la poca innovazione nel genere: il concept è rimasto invariato per quasi vent’anni, i miglioramenti apportati riguardano spesso il comparto grafico, il tick rate dei server (la frequenza con la quale il server aggiorna lo stato del gioco) e le hitbox dei personaggi; le meccaniche sono rimaste anch’esse invariate. Titoli del genere non possono che risultare stantii secondo gli standard odierni, si è giunti quindi alla stagnazione completa del genere ed è questo uno dei fattori più importanti, se non il principale, che ha portato alla caduta di quello che un tempo era considerato l’espressione massima del gioco competitivo multiplayer: la totale mancanza innovazione e di conseguenza un appeal al pubblico poco o nullo. Overwatch ha saputo mischiare sapientemente la formula dei MOBA con quella degli FPS, Planetside 2 propone battaglie campali tra centinaia di giocatori contemporaneamente; Counter Strike ha invece apportato costantemente piccoli e grandi aggiornamenti che lo hanno mantenuto, nelle sue varie incarnazioni, sempre sulla cresta dell’onda. Il nuovo Quake Champions sembra stia seguendo la direzione giusta: chi ha avuto modo di provare la beta, avrà notato che la presenza di “eroi” differenti non ha cambiato di molto il gameplay basato sulla map knowledge e sul map control, i personaggi utilizzabili hanno tutti caratteristiche e un’abilità differenti, ma il gameplay ricorda vivamente quello di Quake III Arena, un esempio di innovazione fedele alle origini nel quale anche i pro player stanno apprezzando le novità introdotte. Il titolo però è ancora una gemma grezza che deve essere lavorata per poter esprimere il suo vero potenziale.

L’evoluzione del mercato videoludico e una generale mancanza di innovazione ha portato quindi all’eclissi di uno dei generi più apprezzati nei precedenti due decenni. Potranno gli FPS arena avere un revival? Difficile esserne sicuri quando il settore offre un parco titoli in continua evoluzione e generi in continuo mutamento. Le pietre miliari continueranno ad essere giocate ad apprezzate da una minima parte del totale, rimanendo per sempre nel cuore di quel nocciolo duro che storce il naso ad ogni più piccolo cambiamento (nel raro caso in cui ci sia).

Nel 2017 anche il settore competitivo non punta più sugli arena shooter duri e puri, preferendo MOBA e team based FPS, e relegando il genere nell’oscurità più totale. Aggiungendo a questo delle community non sempre propriamente amichevoli verso i nuovi giocatori, il sipario sta calando su quello che rese grande il pc gaming a fine ’90/inizi 2000: niente più lan party con gli amici a fraggarsi in instagib su Unreal, niente più bunny hopping per raggiungere più velocemente i pick up delle armi, addio alle pixel frag. È stato un bel viaggio, pieno di nottate insonni a cercare di non farsi uccidere per raggiungere il Redeemer su Facing Worlds e a cercare di “gittare gud” ad ogni occasione; che la terra ti sia lieve.

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