Questo è il quarto articolo di “Sememeotica: perché il meme dominerà la politica”. Un viaggio nella storia dei meme, dalla rivoluzione comunicativa di Internet al loro impatto sulla politica e sulla nostra vita. L’autrice, Laura Valentini, è laureata in Scienze della Comunicazione – curriculum politico-istituzionale all’Università di Roma Tor Vergata. La presente serie prende spunto dalla sua tesi di laurea.
Gli articoli precedenti:
– Parte prima: la rivoluzione Internet
– Parte seconda: l’epidemia social
– Parte terza: il meme, linguaggio della Rete
Internet, quindi: non solo un hub globale di informazioni, ma anche luogo adibito alla libera discussione. Nel capitolo precedente abbiamo potuto constatare la vastità e la varietà delle piattaforme che si sono succedute nel corso del tempo, dove popoli di tutto il mondo possono aggregarsi tra loro in base ai propri interessi e discuterne, e abbiamo constatato inoltre come questi ultimi assumano una loro peculiare forma comunicativa, sublimandosi nei meme che infestano giornalmente la Rete.
Non dobbiamo stupirci quindi del fatto che tali realtà di Internet vadano a toccare una delle sfere onnipresenti nella nostra vita, che regola il nostro modo di vivere quotidiano e determina il modo in cui gli individui costruiranno il loro futuro all’interno di una nazione: la politica. Dall’alba dei tempi quest’ultima è stata oggetto di discussioni filosofiche, di saggi letterari, di romanzi, film e persino canzoni.
La politica è da sempre, soprattutto, oggetto di scherno, da parte delle masse popolari insoddisfatte e da parte di letterati che per il loro modo di scrivere e pensare lo Stato ed i suoi governanti potevano essere definiti degli edgy ante litteram (basti pensare alla Modest Proposal di Jonathan Swift). Lo scherno e la satira politica possono assumere varie forme, legate ovviamente agli usi e costumi vigenti al momento, e suscitano le reazioni più disparate, sia negli spettatori sia nelle persone chiamate in causa dall’attacco.
E su Internet? Date tali premesse, appare ovvio correlare lo scherno politico alla forma comunicativa caratteristica del Web, i meme, e, analizzando le implicazioni che tale correlazione porta con sé, vedere il modo in cui essi veicolano un dato messaggio, guidando o addirittura influenzando le opinioni dei commentatori della Rete.
Nel processo comunicativo che avviene online è bello notare come i politici di tutto il mondo, in quanto personaggi pubblici ed incarnazione di luoghi comuni, diventino parte dell’immaginario collettivo degli utenti, e, come tali, parti del suo linguaggio, attraverso quantità innumerevoli di meme che li vedono protagonisti o addirittura che veicolano significati tutti loro peculiari, travalicando in alcuni casi i confini nazionali e diventando delle “icone” a livello globale.
Un caso lampante di quest’ultima eventualità è stato il nostrano Massimo D’Alema, la cui gestualità accentuata e la sua espressività lo hanno reso uno dei memi più popolari a livello nazionale negli anni ’90 (con la “FU FU Dance” orchestrata da Striscia la Notizia), e a livello internazionale nella decade 2010, con l’uso massiccio delle sue espressioni come reazioni nei commenti sui post di Facebook.
Oltre che come reaction pics, i politici possono essere inclusi nei format memici più disparati, dalle classiche immagini macro in Impact (dette altresì top text/bottom text) sino a formare delle narrative ironiche proprie più evolute, veicolando messaggi culturali sempre più raffinati.
Gli esempi più concreti di quest’ultima dinamica li possono offrire le immagini proposte qui di seguito, prese dalla pagina Facebook Logo Comune: nelle immagini sottostanti vediamo come la semiotica dei funzionalisti russi si intreccia con la tormentata storia d’amore tra Alessandro Di Battista e Maria Elena Boschi (una delle storyline più popolari del panorama memico italiano), e come un meme sovrasfruttato -come quello dei cartelli di Virginia Raggi- possa arrivare ad altissimi livelli, se giustamente manipolato.
Date le circostanze, al primo impatto appare logico sostenere che ci troviamo di fronte ad una forma molto articolata di satira, in cui politici, che agli occhi dell’opinione pubblica possono apparire ignoranti o –per usare un’espressione popolare– “poco studiati”, disquisiscono di alta cultura con la stessa naturalezza di un Massimo Cacciari, ma qui si arriva a uno dei punti nevralgici trattati: i meme a sfondo politico sono solo satira/propaganda?
Per rispondere a questa, e ad altre domande che comporranno il lavoro qui svolto, l’autrice si è rivolta a delle eminenti personalità della community di Facebook Italia: Andrea Concas (admin, tra le molte altre, di Propano e i suoi derivati e Fritto misto), Raffaele Boninfante (uno degli admin di Socialisti Gaudenti), Lorenzo De Angelis (admin di Oznerol e dell’omonimo canale YouTube), gli admin di Tecnocrazia e Libertà, Kekberb –i quali preferiscono identificarsi con i nomi delle loro pagine Facebook– e Nicolò Carboni (admin de Gli eurocrati).
Secondo te i memes a sfondo politico sono più inquadrabili come satira o come sottogenere dell’Internet Meme in generale?
Andrea: Io direi satira, secondo me è una possibilità di creare della satira con facile diffusione dal basso. Anche se è una satira completamente diversa da quella che troviamo in TV magari, perché si mischia a un linguaggio e a degli inside joke che solo chi sta su internet spesso comprende. Quindi in definitiva potrei dire che è un 50-50.
Raffaele: Per me sono satira e uno strumento per raccontare la politica e l’attualità.
Lorenzo: In realtà direi entrambi. Giusto perché il termine satira ha un senso di “autorialità”, ma alla fine il messaggio è sempre lo stesso, cambia solamente il mezzo. Per fare un esempio: se prendiamo un video di blob, lo affibbiamo con il termine satira solamente perché diamo importanza al mezzo televisivo. Ma se prendiamo un video politico “meme” qualsiasi, i codici utilizzati sono praticamente identici, cambia solamente dove vengono pubblicati. McLuhan c’ha sempre ragione.
Tecnocrazia: Credo entrambi. Se dovessi catalogarli per forza direi che sono satira. Anche se la risposta può variare da pagina a pagina. Tanto dipende infatti dagli “obiettivi” di chi gestisce la pagina.
Kekberb: Difficile a dirsi. C’è una certa discrepanza di pensiero riguardo a ciò. Per cominciare, il meme parte spesso e volentieri come una cosa quasi banale, sulla carta. Vedi per esempio come molte autorevolissime pagine di meme li identificano come “memini”, perché essenzialmente sono contenuti che vengono prodotti per la risata o per l’idea che ti è venuta e ti piace, non perché speri in una reazione generale del pubblico o di qualche messaggio su cui riflettere; poi come un film o un racconto, un buon meme dovrebbe essere funzionante al 100% come contenuto umoristico e lasciare spazio al pensiero di chi segue. Per fare un esempio: se fai il meme su Salvini, è molto probabile che ottieni un certo riscontro per via delle sue idee, e a parer mio è un bersaglio facile, praticamente lo prendi in giro come tanti altri e sai che piacerà alla maggior parte di chi ti segue. Ma non c’è gusto, almeno per me, forse più importante è cercare eventi e personalità della politica su cui non c’è ancora un effettivo pensiero generale, ironizzarlo per trovarne i difetti e lasciare poi che offra strumenti da satira per offrire nuovi spunti di riflessione.
Nicolò: Allora, diciamo che dipende dall’obiettivo finale: di sicuro sono un sottogenere dei meme ma è innegabile che possano avere anche un valore satirico. Di norma però mi pare che quest’ultimo sia più laterale rispetto alla satira classica. Diciamo che si, fra i vari layer ironici che un meme deve avere può esserci anche quello satirico ma non sempre è preponderante. A volte l’effetto comico si ottiene anche solo giustapponendo il “fatto” politico alla cultura pop o a citazioni all’apparenza non collegate, creando un cortocircuito comico ma non necessariamente satirico.
Come si può evincere dalle variegate riposte, esistono differenti scuole di pensiero in merito al tema: in un articolo del blog della facoltà di Comunicazione d’Impresa dell’Università di Bologna Sara Govoni definisce i memes “l’ultima frontiera della satira”, ma la sensazione generale che pervade la community lascia intendere che tali fenomeni siano qualcosa di più rispetto ad una vignetta di Vauro o ad una copertina di Gene Gnocchi su “DiMartedì”.
Il testo satirico si serve di un linguaggio per veicolare un messaggio, al contrario i meme politici, essendo essi stessi il linguaggio, manipolano il messaggio con i loro layers, ora dandogli un tono satirico, poi un tono solenne, o addirittura un tono talmente serio da rasentare il reale. La seconda domanda rivolta agli intervistati potrà chiarire questo ultimo punto: parlando di un altro trend popolare nella community italiana, ovvero il ritorno nostalgico ai fasti della Prima Repubblica, l’autrice ha chiesto ai ragazzi quale fosse il fattore scatenante di un tale sentimento. Al solito le risposte sono state divergenti, ma con un pensiero unitario alla base:
Memecrazia Cristiana, Preposterous Prima Repubblica Memes, il Pentapartito, Socialisti Gaudenti, etc. sono tutte pagine che sembra guardino ad un ritorno nostalgico della Prima Repubblica, anche se comunque gli admin sono ragazzi della mia età o poco più grandi/piccoli di me (almeno credo). Come mai questa tendenza?
Andrea: È un po’ la Sindrome di nostalgia che ultimamente tutti viviamo in diversi campi secondo me. La realtà attuale è molto piatta e disillusa, e il riguardare indietro a tempi che ci sembrano non così piatti ci porta quasi a un desiderio di ritornare a quegli anni. Nel mio caso provo questo sentimento molto forte verso i mid-anni 2000, ad esempio. Tutti proviamo nostalgia in un modo o nell’altro. È normale credo. Guardiamo al passato ricordando quasi solo le cose belle e addolcendo quelle brutte.
Raffaele: Probabilmente a causa dell’inconsistenza della politica odierna. Credo che tra quindici anni qualcuno creerà pagine nostalgiche della Seconda Repubblica, se non si arresta il declino della classe politica di questo paese. Io mi sono avvicinato alla politica nel periodo in cui veniva fondato il Pd e al governo c’era Prodi, all’epoca ero molto critico sul governo Prodi e il Pd di Veltroni, ora a volte li rimpiango.
Lorenzo: Ma penso all’incirca siamo tutti della stessa età, dai 20-28 anni. È una tendenza al nostalgico ironico. Anche io ovviamente non sono passato per la Prima Repubblica, o almeno non mentre potevo capire molto. Ma anche quella estetica retrò, un po’ lontana un po’ vicina, alla fine affascina. La Prima Repubblica è la nostra Vaporwave. I cabinati telefonici, Bim bum Bam, Topo Gigio… Alla fine quelli della nostra età hanno piacevoli ricordi: uno non capiva un cazzo, magnava, beveva e guardava cartoni animati. Meglio di così.
Le opinioni dei ragazzi appaiono confermate anche da un articolo di Andrea Massera pubblicato sul sito “Libero Pensiero”; parlando del successo di una delle principali pagine nostalgiche, ovvero Una foto diversa della Prima Repubblica. Ogni giorno, ci svela come questo fenomeno di Internet sia strettamente correlato al dramma della fuga dei voti durante ogni turno elettorale tenuto in Italia:
Di anno in anno la vertiginosa decadenza della classe dirigente figlia della Prima Repubblica, non dimentichiamolo, è testimoniata dall’astensione alle urne sempre più diffusa, dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni e nei loro rappresentanti. Tra i più colpiti da questo status quo sicuramente ci sono i giovani, quegli under 35 che hanno vissuto sulla propria pelle tutto il berlusconismo e il conseguente degrado che ha coinvolto la classe dirigente attuale, come vittima e al contempo artefice.
Ma tornando al discorso sul genere, si può evincere che la comicità del meme politico non deve necessariamente essere satirica, o declinarsi come tale. Difatti le pagine che hanno deciso di concentrarsi sulla nostalgia verso tempi andati mai vissuti sono animate da stati d’animo quali la percezione di una realtà piatta, di una politica inconsistente e da un “sentimento Vaporwave”.
Di contro, ciò che intendono fare le pagine sullo stile della già citata Logo Comune è distaccare ironicamente il politico dal suo contesto originario, ponendolo in situazioni assurde fatte di citazioni improbabili ed estetiche retrò.
Non c’è dubbio che Logo Comune abbia portato una ventata d’aria fresca nella selva dei memes a sfondo politico, inaugurando un filone che ha poi proseguito anche Memecrazia Cristiana. Secondo te qual è il fattore che differenzia questo filone dal resto del panorama dei meme politici?
Andrea: Credo sia principalmente l’inclusione della cultura pop nel mix, che fa sembrare la politica quasi un “prodotto” di consumo, come qualsiasi altro banale oggetto.
Il succo del discorso è che il significato del meme è fortemente dipendente dalle intenzioni e dal background culturale e politico dell’admin. In ultima istanza si può dire che tale meme include in sé tre macrocategorie, che possono intrecciarsi ed influenzarsi a vicenda:
Considerando quindi che il meme politico assume una di queste caratteristiche dipendentemente dalla volontà del creatore, tale genere riesce a mantenere il suo carattere di afinalità? Le risposte possibili divergono radicalmente l’una dall’altra:
Per trovare una risposta richiamiamoci di nuovo a Richard Dawkins: il meme non ha altro fine se non sé stesso, la sua propagazione e la sua diffusione. Il fatto che un suo focus sia la politica non lo rende necessariamente vincolato ad un messaggio o ad un partito: come già sostenuto prima riguardo al genere che il meme può assumere, anche questo fatto dipende da quanto sia marcata la passione politica del suo creatore. Per fare un esempio, pagine come la defunta Sinistra, Cazzate e Libertà, rinata poi in SCL o Figli di Putin, la gran parte della community è concorde nel non definire quelle pagine come contenitori di memes, bensì come pura propaganda.
Andando più a fondo nella questione, il meme teoricamente non è vincolato nemmeno a sé stesso, come si può evincere dal precedente discorso sulla Metairony, ma è legato solo ed unicamente alla sua capacità di rendersi comprensibile –nella Metairony anche nella sua incomprensibilità– nel gruppo di condivisione, per poi propagarsi e mutare.
Appare ovvio che, con un concetto così aleatorio ed aperto a qualsiasi interpretazione, la degenerazione è dietro l’angolo: non è raro infatti incappare in pagine che utilizzano format memici comprensibili dalla maggior parte delle persone (come le già citate immagini macro) per diffondere opinioni di stampo populista e demagogico, e non è altrettanto raro assistere a degli endorsement da parte degli stessi politici a queste pagine. Il fenomeno lo descrive bene Davide Saracino parlando di Logo Comune sempre sul sito “Libero Pensiero”:
Non solo queste pagine attingono alla politica, ma il loro successo presso la parte più giovane dell’elettorato fa sì che il rapporto si ribalti e sia la politica stessa a guardare a queste pagine come una nuova riserva di voti. Ed ecco che Di Battista risponde a un meme di Logo Comune, Salvini fa un endorsement per Sinistra Cazzate e Libertà sulla sua pagina Facebook e Gianni Pittella partecipa ai convegni dei Socialisti Gaudenti. Ironia che si ciba di politica che si ciba di ironia.
Tale interdipendenza tra ironia, politica e condivisioni non ironiche ha portato il meme politico alla sua autodistruzione e alla successiva mutazione. Gli esperimenti delle pagine come Logo Comune non rappresentano altro che un tentativo di divincolare le ideologie politiche dalla libertà del linguaggio dei meme, precondizione della sua stessa ragion d’essere, per riportarlo al suo elitismo di partenza.
Si rammenti, infatti, che più il gruppo in cui si propaga il meme è ristretto, più questo rimane fresco e legato al suo originario insieme di contesti e significati. Gli avvenimenti degli ultimi anni ci stanno insegnando invece come il meme in quanto tale, sfociando nella pura propaganda, si possa trasformare nella bandiera di una parte politica, distorcendo il suo non-scopo costitutivo e presentandosi agli occhi del mondo come qualcosa di biasimevole e portatore di odio.
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