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Nessuno vuole essere l’alternativa

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Fabiana D'Eramo

In Italia oggi se sei di destra in linea di massima sai chi votare. Il link tra le tue idee e il personaggio politico che se ne fa portavoce è rapido, quasi automatico. Vengono alla mente un paio di volti, sulla punta della lingua un nome, massimo tre, accompagnati dalla certezza che diranno esattamente le cose che ci si aspetta che dica uno di destra, così da ottenere il favore incondizionato dei seguaci e le critiche aspre dei rivali. La loro prevedibilità è rassicurante, li inchioda in una categoria che l’elettorato non fa mai fatica a trovare tra le caselle prefissate della lunga lista dei protagonisti del dibattito pubblico. Ma appena si solidifica e si cristallizza la posizione delle destre, il resto degli attori in campo occupa lo spazio rimasto alla rinfusa. L’alternativa politica a Salvini e Meloni viene valutata, ponderata e scartata come una festa noiosa a cui abbiano partecipato degli spiriti, figure anonime e opache che si danno un nome nuovo e invecchiano il giorno dopo. Al contrario, l’alternativa non politica per ora piace e scalda gli animi, forse fa tremare anche gli avversari, ma resta, di fatto, non politica.

Cosa resta da fare all’elettore cui non piacciono Lega e FdI è un mistero piuttosto oscuro. Le Sardine non le può votare perché non si candidano. Dovrebbe votare ancora PD? +Europa? O il nuovo partito di Calenda? Davvero dovrebbe tentare con Italia Viva? Per non parlare delle infinite sigle che compongono l’area radicale. Anche se, visti gli ultimi sviluppi, il processo di scomposizione oggi sembra avviarsi anche in Forza Italia: pensiamo a Voce Libera di Mara Carfagna, che però non è nemmeno un partito. Insomma, le alternative sono troppe, e nessuna ha le carte in regola per esserlo davvero. Alcune non vogliono nemmeno essere un’alternativa. Che affollata sterilità.

L’alternativa politica

Il sondaggio di Demos & PI (La Repubblica, 8 dicembre 2019).

Le stime di voto danno la Lega in testa ai sondaggi, ma a giudicare dalla risonanza dell’appello delle Sardine, devono essere in molti a non riconoscersi nella linea di pensiero del Capitano. Dove sono quelle folle che stanno riempiendo le piazze di tutta Italia in questo sondaggio? Forse nella somma degli striminziti 3% delle ultime file, speranzosi di aver scelto, nel mare magnum delle sigle politiche, i pesci giusti. Difficile non scambiare quel voto per un azzardo, non tanto perché l’elettorato nutra incertezze su contenuti e valori, quanto piuttosto per lo stato sbriciolato, consumato, sprecato di un centro sinistra nel quale nessuno, preso singolarmente, ha un futuro che ispiri la vittoria. Cercare un solo partito tra quelle file del 3% che possa rappresentare un’alternativa vera, solida, studiata e consapevole sembra a tratti un vagare nella notte con la lanterna in mano. Sono troppi. E sono deboli. Quasi avessero anche loro la precisa sensazione che la storia stia voltando pagina e non valga la pena impegnarsi più di tanto.

Carlo Calenda durante la presentazione del nuovo movimento politico “Azione” presso la sede della Stampa Estera, Roma, 21 novembre 2019. Foto: Ansa/Angelo Carconi.

Apoliticità disfunzionale

Eppure la voglia di credere, di affidarsi a qualcuno, di scendere in piazza o semplicemente battersi per qualcosa di diverso, c’è. Altrimenti il movimento delle Sardine non avrebbe fatto così rumore. Ma qual è il risultato? Che, almeno per ora, le Sardine combattono auto escludendosi dalla politica in senso stretto. Non si candidano, non ci pensano proprio, dicono. Come se fosse una cosa sbagliata – deplorevole! – fare politica. O come se non fosse più il luogo per chi non è come Salvini o la Meloni. E nella scena italiana così com’è non facciamo fatica a credere che per qualcuno la politica non sia niente di più di quello che sono Salvini o la Meloni. Non che esista necessariamente un modo migliore di farla, ma ad oggi non c’è nemmeno un modo diverso, o che faccia il rumore sufficiente a ricordarci che esiste. Un’alternativa non c’è, e se c’è non vuole fare politica.

Settemila sardine a Rimini. Foto: Ansa.

Thomas Mann diceva che «l’apoliticità non esiste, tutto è politica». La ricerca sistematica del consenso sarà pure un’altra cosa, ma l’obiettivo delle Sardine è politico, perché parlano di politica. Difficile fare previsioni su quale sarà il futuro di questo movimento, ma possiamo scorgerne il significato e i limiti. Il linguaggio della politica, così com’è, non funziona più per chi vuole essere un’alternativa a Salvini e Meloni. E allora si cercano altre strade, escludendo la politica dal suo stesso campo d’azione. Non candidarsi, non essere un partito, non fare politica. Pur volendo essere un’alternativa politica. Ma se l’alternativa viene traslata altrove, in qualche modo, in qualche luogo, dove la politica non è più la norma, quello che si crea è un cortocircuito e i primi a sentirsi traditi saranno quelli che hanno creduto a quell’alternativa, ma semplicemente non potranno votarla. Alla fine i giochi si svolgono in cabina elettorale.

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Fabiana D'Eramo

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