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Di coppe e triplete mancati in rossonero

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Riccardo Angori

A maggio solitamente si chiudono le stagioni sportive, ed è tutto un susseguirsi di finali nazionali e internazionali. Con un po’ di fortuna e di buon tasso tecnico, le classifiche dei campionati e le finali delle coppe potrebbero portare all’ambito triplete. Vincere nella stessa stagione la coppa nazionale, il campionato e la Champions League trascina una squadra direttamente tra le leggenda. A Manchester, Barcellona e Milano sponda nerazzurra ne sanno qualcosa.

Ma nella storia ci sono stagioni che alcune squadre vorrebbero tuttora cancellare, dopo inizi di campionato che presagivano tutt’altro esito. Due casi sportivi unici, nella loro assurdità. Uno riguarda la finale della Champions League del 2005, quando il Milan cantò vittoria troppo presto contro il Liverpool in quel di Istanbul. L’altro, invece, ci porta in Germania nel 2002. Qui il Bayer Leverkusen riuscì nella poco invidiabile impresa di perdere la Bundensliga, coppa nazionale e la Champions League. La coppa dalle grandi orecchie prese la via per Madrid in seguito al gran gol di Zinedine Zidane, lasciando la compagine tedesca rossonera a mani vuote.

Istanbul, inferno rossonero

Sono passati quindici anni dalla fatidica data del 25 maggio 2005. Allo stadio Olimpico Atatürk di Istanbul scesero in campo Liverpool e Milan. I rossoneri, forti della Champions League vinta nel 2003 nella finale tutta italiana di Manchester, arrivarono in Turchia dopo aver superato il Manchester United agli ottavi, l’Inter nel derby ai quarti di finale e il PSV in semifinale. Di contro il Liverpool staccò il biglietto per Istanbul superando il Bayer Leverkusen agli ottavi di finale, la Juventus ai quarti e il Chelsea in semifinale, tornando in finale di Champions League a vent’anni esatti dalla tragica finale dell’Heysel.

Leggi anche: Non si può morire di calcio.

Il Milan, come di consueto per le proprie finali europee, scese in campo con la maglia bianca, lasciando che il Liverpool vestisse la maglia rossa. I pronostici erano tutti a favore della compagine rossonera, sia per la caratura europea della squadra di quegli anni, sia per il buon campionato di Serie A, concluso con un secondo posto dietro alla Juventus.

Ševčenko in azione contro Dudek, portiere del Liverpool. Foto: uefa.com

Il tasso tecnico dell’undici rossonero, che spaziava da Maldini a Crespo, passando per Stam, Cafu, Pirlo, Seedorf e Ševčenko, dava quasi per certa la vittoria della Champions League del 2005 per il Milan. La squadra si portò rapidamente in vantaggio con un gol di testa di Paolo Maldini sugli sviluppi di una punizione battuta da Pirlo dal limite dell’area di rigore. Alla rete del capitano rossonero seguì un dominio della compagine milanese, con tentativi sprecati e un gol annullato a Ševčenko al quindicesimo del primo tempo. Il gioco spumeggiante del Milan continuò a dominare la scena, tanto che Crespo portò il parziale sul 3-0 con una doppietta.

Milan, missione incompiuta

Per il Milan probabilmente la questione era già chiusa. Sfortunatamente non lo era per la squadra inglese guidata da Rafa Benítez. Non sappiamo cosa disse il tecnico spagnolo a Gerrard e soci. Fu però abbastanza da poter battezzare il secondo tempo di Liverpool-Milan con un nome molto adatto: sei minuti di follia. Sei minuti in cui, dopo un’ora di dominio rossonero il Liverpool, salì in cattedra per portare il risultato parziale sul 3-3. Gerrard, Šmicer e Xabi Alonso firmarono le tre reti. Nella mezz’ora finale della partita il Milan provò a rendersi nuovamente pericoloso, senza successo. I supplementari fecero sussultare tutto lo stivale con il gol mancato di Ševčenko. L’arrivo dei rigori fece materializzare un timore manifestato da Cafu, che dichiarò:

Segnammo tre gol contro una delle squadre più preparate a livello tattico che io abbia mai incontrato e ci rilassammo. Quando subimmo le prime due reti avvertimmo lo schiaffo, poi dopo la terza non potevamo semplicemente credere ai nostri occhi. Una volta arrivati ai rigori, capii che era già persa.

 

Il Liverpool alza la coppa della Champions League nel cielo di Istanbul. Foto: liverpoolfc.com

Il balletto del portiere del Liverpool, Dudek, e l’errore dal dischetto di Ševčenko consegnarono la coppa dalle grandi orecchie alla squadra sfavorita alla vigilia, capace di ribaltare un risultato parziale che la dava per sconfitta. Nel 2007 ci sarebbe stata un’altra finale di Champions League tra Milan e Liverpool. Ma ad Atene la volontà di cancellare la figuraccia di Istanbul prevalse. consegnando al Milan il trofeo. Se una squadra rossonera è riuscita a rivalersi, un’altra non è stata purtroppo altrettanto fortunata. A Leverkusen il mancato triplete è ancora un mistero.

Bayer Leverkusen, dall’Aspirina al mancato triplete

 

La formazione titolare del Bayer Leverkusen della finale di Champions League del 2002.

Maggio 2002. In quel di Glasgow, Zidane decise la finale di Champions League con un gran gol da fuori area, tanto da finire negli highlights pubblicitari dell’edizione successiva. Ma ogni gol da cineteca ha una squadra che lo subisce. Il Bayer Leverkusen del 2002, guidato da Klaus Toppmöller, è diventato l’esempio classico del “piovere sul bagnato”, dopo aver perso in sequenza il titolo di campione di Germania, la DFB Pokal e, in ultimo, la Champions League.

La Bayer è conosciutissima per il suo prodotto più famoso, l’Aspirina. Dalla squadra di calcio aziendale è nato e cresciuto il Bayer Leverkusen, che milita in Bundesliga da quarant’anni senza averne mai vinta una (ma andando molto vicino a vincerla in cinque diverse occasioni, come nella stagione 2001-2002). La rosa agli ordini di Toppmöller poteva contare su un giovane Michael Ballack, il difensore Lucio, Zé Roberto, Bernd Schneider e Oliver Neuville, quest’ultimi due nel giro della nazionale tedesca.

Bayer Leverkusen, 0 su 3

Il gol di Zinedine Zidane passato alla storia.

Una rosa di qualità che diede vita a un campionato di Bundesilga stupefacente, restando in testa alla classifica per buona parte della stagione. Con un gioco molto fluido e veloce, il Bayer riuscì ad avere la meglio in Europa vincendo il secondo girone di qualificazione davanti a Deportivo La Coruña, Arsenal e Juventus. Le vittorie ai quarti e in semifinale contro Liverpool e Manchester United avevano lanciato la squadra tedesca dritta in finale, a un passo dal triplete. Il cammino in coppa di Germania, la DFB Pokal, andò di pari passo, e la finale con lo Schalke 04 sembrava essere alla portata della squadra rossonera. Sembrava.

 

Il finale di stagione fu una tragedia su tutti i fronti per il Leverkusen. In Bundesliga un pareggio con l’Amburgo e due sconfitte con Werder Brema e Norimberga fecero mettere la freccia al Borussia Dortmund. Il Borussia superò i rossoneri e vinse il titolo all’ultima giornata con un punto di vantaggio sul Bayer Leverkusen, che fino a poche giornate prima aveva dominato il campionato.

Il primo appello per salvare la stagione e sperare in una conclusione dolceamara arrivò pochi giorni dopo la fine del campionato, con la finale della coppa di Germania. A Berlino ad aspettare il Bayer c’era lo Schalke 04. Il primo tempo sorrise alla compagine rossonera, che andò negli spogliatoi con il parziale fissato sul 1-0. Così come il Liverpool a Istanbul tre anni dopo, lo Schalke 04 rimontò il risultato segnando quattro reti.

Klaus Toppmöller sconcertato, basito dopo il triplete mancato.

A nulla valse la seconda rete siglata da Kirsten a tempo scaduto. Il triplete era ormai sfumato. Il 15 agosto il Bayer di Toppmöller volò a Glasgow per l’ultimo atto della massima competizione continentale per club, tornando in Germania con le medaglie d’argento. Il Bayer aveva perso tutto ciò che si poteva perdere. Un vero e proprio triplete al contrario, dovuto probabilmente a una rosa inadeguata a far bene su tre fronti distinti, tanto da scoppiare in vista del traguardo. La storia del calcio solitamente la fanno i vincitori: questi due casi accomunati dal rossonero ci fanno ricordare come il confine tra la vittoria e la sconfitta nel campo da calcio sia molto sottile.

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Riccardo Angori

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