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Curiosità

Matteo Bassetti: tutti corrono verso il vaccino, ma l’Italia cammina

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Marco Capriglio

Nato a Genova nel 1970, Matteo Bassetti è direttore della Clinica Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova e componente dell’Unità di crisi Covid-19 della regione Liguria. Oggi theWise Magazine lo ha incontrato per parlare della campagna di vaccinazione in Italia, tra ritardi e inneggiamenti al lockdown.

Matteo Bassetti. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

Oggi si parla tanto di varianti del virus SARS-CoV-2, responsabile della malattia Covid-19. Cos’è una variante?

«Una variante non è altro che un virus che è cambiato rispetto al virus originale. Questo cambiamento è insito nella capacità che ha il virus stesso di evolversi. Noi cresciamo di altezza, ci vengono i capelli bianchi e cambiamo parti strutturali del nostro fisico. Lo stesso fa il virus.

Lo fa per uno scopo molto preciso, ovvero da una parte resistere ai sistemi immunitari che lo vogliono combattere e dall’altra avere più capacità infettiva. In queste varianti del coronavirus, ci sono piccole mutazioni a livello della proteina spike, ovvero l’anello di congiunzione tra il nostro organismo e il virus».

Come può influire una variante sull’efficacia di un vaccino?

«Per quanto riguarda l’efficacia dei vaccini, bisogna vedere di cosa stiamo parlando. La variante inglese, la più frequente, è perfettamente coperta da tutti i vaccini a disposizione. Potrebbero esserci varianti, come quella brasiliana e quella sudafricana, sulle quali – in qualche modo – i vaccini potrebbero non funzionare. Queste hanno la capacità di sfuggire al nostro sistema immunitario. Questo vale sia per chi è stato vaccinato, sia per chi ha contratto in precedenza il virus».

Leggi anche: Guida al vaccino Pfizer, una nuova tecnologia

I vaccini non arrivano o rimangono nei depositi. Cosa sta succedendo?

«È successo un disastro con la distribuzione. Noi siamo andati ad affrontare la più grande campagna vaccinale della storia con la mentalità di una normale vaccinazione antinfluenzale. Questo è il risultato. Non abbiamo avuto la testa e lo spirito di affrontare la campagna vaccinale con una determinazione e un’idea totalmente diversa da quelle che abbiamo avuto. Oggi ci sono vaccini inutilizzati nei depositi perché qualcuno non ha capito che, se non siamo in grado di vaccinare rapidamente la gente, non ne usciremo. Tutti corrono e noi camminiamo. Passeggiamo».

Produrre vaccini in Italia sarebbe possibile e vantaggioso?

«Sicuramente sarebbe una cosa possibile e vantaggiosa. I tempi però sarebbero troppo lunghi. Si parla di circa sei mesi e non abbiamo assolutamente tempo da perdere».

Matteo Bassetti. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

Un tema molto discusso è l’obbligo vaccinale e il passaporto vaccinale. Cosa pensa a riguardo?

«Credo che per alcune categorie, come i sanitari, non aver fatto una legge sull’obbligo vaccinale sia stata una cosa demenziale. Ci troviamo alcuni ospedali con il venti per cento degli operatori sanitari non vaccinati. E questo non è accettabile. Addirittura i non vaccinati vogliono andare a lavorare e vogliono avere indennizzi in caso di malattia contratta sul lavoro. Su questo la politica ha totalmente sbagliato.

Per le altre categorie non ci saranno obblighi vaccinali, ma evidentemente arriveremo a una sorta di green card con cui si potranno fare determinate attività. Qualcosa di simile sta già avvenendo. Se vuoi entrare in Sardegna occorre un tampone negativo e in Israele si sono aperti i gli alberghi ai soli vaccinati. Sei libero di non vaccinarti, ma se non lo fai stai chiuso in casa».

Zone colorate e rischio di lockdown totale. Quale sarebbe stata la soluzione migliore?

«La soluzione migliore sarebbe stata avere più vaccini e non arrivare così impreparati, dal punto di vista dell’immunizzazione, a questa terza ondata. Non mi aspettavo di arrivare al primo di marzo con il due per cento della popolazione italiana vaccinata. Avremmo potuto vaccinare molto di più, soprattutto i soggetti più deboli e fragili. Questa è una grande colpa.

Non ci siamo posti in maniera adeguata sul mercato internazionale per trovare più dosi. All’E.M.A., il dossier per l’approvazione del vaccino russo non lo presenta un’azienda italiana, ma una tedesca. Non siamo nemmeno stati in grado di fare scouting. Abbiamo perso tempo dietro alle primule, senza pensare che la cosa più importante fosse l’approvvigionamento dei vaccini, nascondendoci dietro l’Europa».

A un anno di distanza dal paziente di Codogno, cosa abbiamo imparato dal virus? Di cosa invece non siamo riusciti a fare tesoro?

«Dal virus abbiamo imparato tanto dal punto di vista scientifico. Abbiamo sviluppato protocolli e la ricerca scientifica ha fatto grandi progressi. Non abbiamo però imparato che gli ospedali vanno rafforzati e che bisogna investire di più nel personale sanitario. Bisogna fare una programmazione attenta per quello che sarà il futuro degli ospedali. Fondamentalmente, la sensazione che emerge dalla politica è passata la festa, gabbato lo santo. Passato il problema, ci si scorda di chi ha contribuito a risolverlo. Se non rafforzeremo il sistema sanitario, arriverà qualcos’altro che ci farà molto peggio di quello che ha già fatto il Covid-19».

Grazie a Enrico Trinelli per l’aiuto.

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Marco Capriglio

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