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L’errore giudiziario in Italia

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Michele Corato

Nella storia giudiziaria italiana l’errore giudiziario è un’ipotesi purtroppo conosciuta, seppur non frequente. Sono infatti diversi i casi, noti anche alla cronaca, in cui un innocente è stato condannato senza motivo salvo poi, anche dopo svariati anni, ritrovare la libertà. In quest’ottica basti pensare al caso di Enzo Tortora, prima condannato a dieci anni di carcere e poi assolto in Cassazione o, ancora, ad Angelo Massaro, condannato a ventuno anni per un errore tanto semplice quanto determinante: una consonante errata in un’intercettazione.

Ai casi più gravi, che hanno raggiunto gli onori della cronaca, se ne affiancano altri che passano in sordina. Ciò accade nonostante esistano diverse e numerose misure della legge, dirette a prevenirli o, comunque, a porre ristoro alle conseguenze.

Errore giudiziario e altre problematiche

Parlando di “errore giudiziario” si rende necessaria un’importante premessa. Come tale può considerarsi solo l’errore conclamato, quello che fa seguito a una sentenza da parte del giudice. Nonostante siano considerabili errori di giustizia anche la carcerazione preventiva o altre misure di sicurezza, queste si basano su presupposti temporanei come la pericolosità sociale, la possibilità di reiterazione della condotta o il pericolo di fuga. Inoltre, è bene ricordare che l’imputato si presume innocente fino a prova contraria e, in ogni caso, fino all’emanazione di una sentenza definitiva. Ovviamente non si deve ritenere che simili ipotesi siano prive di conseguenze, soprattutto personali e private, verso i soggetti coinvolti. Per far fronte a tali casi la legge di Bilancio 2020 ha previsto che, in caso di assoluzione dell’imputato, le spese di giudizio, quindi le spese legali, saranno poste a carico dello Stato.

Processi troppo lunghi

Una differente problematica, poi, è quella dell’eccessiva durata dei processi, tanto nei giudizi civili quanto in quelli penali. Anche le lungaggini della giustizia sono un noto scoglio che contraddistingue il sistema legale in Italia e spesso determinano la scelta di molti a non voler procedere per vie legali. Se una simile soluzione (che in realtà tale non è) può avvenire nella materia civile, magari anche attraverso il ricorso a forme alternative al processo come la mediazione, la negoziazione o l’arbitrato, ciò non avviene in materia penale e, anzi, qui è ancora più grave.

La pendenza di un processo, di fatto, sospende la vita del singolo. Egli con la spada di Damocle di una possibile condanna, vede interrotta la propria libertà nonché l’incertezza del proprio futuro. A ciò si aggiunga l’impatto sociale di un procedimento penale che si riverbera sulla vita privata e sociale. Tutti questi elementi non sono indipendenti ma possono contribuire al verificarsi di ipotesi di errori giudiziari.

Il giusto processo nella legge italiana

Con riferimento alla durata dei procedimenti, sono molti gli strumenti di tutela presenti nell’ordinamento italiano, così come diversi sono gli strumenti di tipo indennitario nel caso in cui i primi fallissero. La Costituzione offre la prima e fondamentale tutela al singolo attraverso l’art. 111 che descrive e introduce il giusto processo. Il giusto processo, quindi, è quello che si svolge nella parità delle parti, nel rispetto del contraddittorio e di fronte a un giudice terzo ed imparziale, in una durata ragionevole.

La ragionevole durata del processo, dapprima solo teorica, ha trovato un riferimento normativo solo nel 2001 con la legge Pinto. Tale legge prevede che, nel caso in cui la durata del procedimenti superi un determinato lasso di tempo, ai cittadini venga riconosciuto un risarcimento del danno per la lesione del fondamentale diritto a un giusto processo. Del pari, nel caso di errore giudiziario, che nel giudizio penale si traduce nella condanna di un innocente, questi ha diritto a un risarcimento del danno patito.

Le tutele offerte dalla legge

Ai rimedi di tipo indennitario-risarcitorio si affianca una tutela di tipo preventivo. Gli stessi elementi offerti dall’art. 111 della Costituzione, analizzati singolarmente, sono diretti a ottenere un provvedimento di giustizia, privo di errori. Il contraddittorio fra le parti consente ai soggetti coinvolti di poter esprimere le proprie posizioni attraverso uno scambio di deduzioni, controdeduzioni e prove. Sullo stesso piano si possono collocare la parità delle parti e l’imparzialità del giudice, elementi diretti a garantire un processo equo e veritiero. Quanto al giudice, fondamentale è l’obbligo di motivazione per cui egli è tenuto a motivare la propria sentenza, descrivendo i procedimenti logico-giudici che l’hanno portato alla decisione.

In materia penale, poi, la condanna dell’imputato deve avvenire al di là di ogni ragionevole dubbio e comunque, citando l’importante sentenza Thyssekrupp, con un elevato grado di credibilità razionale. L’impianto normativo delineato così dalla Costituzione e dai codici è diretto a evitare la possibilità di errori. Nel caso in cui si verificassero, a ciò si aggiunga che nel sistema italiano vi sono tre gradi di giudizio. Al primo grado segue il giudizio d’appello, diretto alla correzione di eventuali errori da parte del giudice di primo grado. Infine, il giudizio di Cassazione permette ad un giudice superiore di vagliare la corretta applicazione della legge. Eppure, tutto ciò sembra non essere sufficiente a reprimere completamente il rischio del verificarsi di un errore giudiziario.

Le possibili cause dell’errore giudiziario

Nonostante le tutele esistenti, gli errori giudiziari si verificano e la previsione, sempre maggiore, di tutele risarcitorie ne è la conferma. Ma da dove possono derivare questi errori?

Tralasciando ipotesi patologiche e dolose, dove l’errore è determinato dalla condotta di una parte del giudizio, di un terzo o, peggio, dallo stesso giudice, per le quali comunque esistono specifici titoli di reato, l’errore giudiziario può semplicemente attribuirsi alla natura umana, presente in tutte le parti in causa. Il giudice è infatti un essere umano e, come tale, può sbagliare: è inevitabile che ciò accada.

L’opinione pubblica e l’errore giudiziario

Tale eventualità, però, può essere determinata anche da fattori esterni, alcuni dei quali particolarmente diffusi al giorno d’oggi. Il riferimento, qui, va alla stampa e all’opinione pubblica. Troppo spesso già in fase di indagini l’indagato viene venduto al pubblico come colpevole, quando un simile titolo è subordinato aduna sentenza di condanna non più impugnabile.

Particolarmente recente è la prassi, diffusa tra gli utenti dei social network, di andare a commentare post o foto dell’indagato o dell’imputato vomitando offese gratuite in una specie di versione rivisitata dei due minuti di odio descritti da Orwell. In un simile clima, accompagnato da servizi martellanti alla TV, articoli di giornali dedicati, è più che possibile che un giudice, uomo come tutti, possa farsi un’idea allineata al pensiero comune. La realtà viene così distorta e si crea una sorta di realtà parallela. Qui il soggetto è già venduto come colpevole, concorrendo a determinare, in capo al giudice, un’erronea distorsione cognitiva e, da qui, l’errore nel giudizio.

Un simile sistema è strettamente collegato anche alla citata problematica dei tempi della giustizia. Essa risponde alla necessità del popolo abituato ora più che mai all’immediatezza di trovare una risposta ai propri quesiti in tempi brevi. La giustizia deve fare il suo corso ma i suoi tempi, già di per sé lunghi, non coincidono con il bisogno del singolo di trovare un colpevole in un batter d’occhio. Oltretutto, la vita è diversa dalle serie televisive. Spesso non esiste alcun indizio chiave, non c’è una prova schiacciante che consenta l’individuazione certa del colpevole.

L’errore giudiziario in breve

In conclusione, l’errore giudiziario è un problema reale a cui è difficile porre un rimedio assoluto per una serie di fattori che concorrono al determinarlo. Da un lato la tutela risarcitoria prevista dal legislatore, pienamente legittima e dovuta, consente un rimedio economico. Dall’altro, la stessa si traduce in un aggravio per le casse dello Stato, nell’ottica di milioni di euro all’anno.

Oltretutto occorre considerare che lo scopo del risarcimento è quello di ristorare i danni patiti dall’innocente che, tuttavia, vede la propria vita stravolta e difficilmente recuperabile. Una condanna con detenzione, al di là del solo ristoro economico, porta con sé una serie di conseguenze negative e impossibili da ripristinare. Oltre agli anni di vita perduti, vi è uno stravolgimento dei rapporti tipici dell’uomo: quelli personali e sociali.

In particolare, se l’errata condanna è accompagnata da un forte impatto mediatico della vicenda, dove l’individuo è dipinto come colpevole sin dal primo momento, la macchia subita non potrà mai essere del tutto lavata. Alla fine, infatti, un’assoluzione o la scoperta di un errore giudiziario in un successivo grado di giudizio non fanno altrettanta notizia e il popolo, una volta ottenuta la risposta alle proprie domande, dimentica in fretta e passa al prossimo caso.

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Michele Corato

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