Nat-Cat e percezione del rischio: come prepararsi al prossimo disastro?

Il clima e l’ambiente sono indissolubilmente legati alla vita dell’uomo: è sintomatico il fatto che per descrivere le antiche civiltà, come ad esempio quella egiziana, si utilizzi il riferimento macroscopico al dato naturale; o che il Barone di Montesquieu, in De esprit des lois, avesse sostenuto che il clima rientri tra i fattori in grado di caratterizzare peculiarmente un popolo e le sue leggi. Così come il clima ha influenzato la nascita e lo sviluppo delle civiltà, ne ha segnato anche alcuni dei momenti più difficili: dal declino del regno di Minosse, alla fallita invasione dell’Inghilterra da parte dell’Armada Invencible, fino al disastro che si sta consumando in questi giorni nel Centro Italia, gli sviluppi estremi di clima e ambiente possono rappresentare un fattore di rischio non trascurabile. Apparentemente è una banalità: ma se così fosse, probabilmente oggi a Mosca la lingua ufficiale non sarebbe il russo. Questo excursus storico evidenzia il fatto che, quando l’uomo non considera clima e ambiente, i risultati possono essere disastrosi. La domanda da porsi dunque è: «come ci possiamo preparare alla prossima catastrofe naturale?»

La risposta cambia in base alla prospettiva. Nella prospettiva degli interventi pubblici, sono stati spesi fiumi di inchiostro: dalla prevenzione (necessaria e spesso mancata), agli interventi post-disastro, al mancato compito di protezione posto in capo allo Stato. E gli esempi negativi non mancano. Nella prospettiva degli interventi dei privati, dei singoli cittadini, sembrano mancare prospettive. Certamente, il singolo cittadino non ha la capacità economica di sostenere i costi degli interventi strutturali, ma è davvero privo di ogni mezzo per proteggersi dalle Nat-Cat o, almeno, prevenire le conseguenze negative di un disastro naturale?

La percezione dei rischi corsi e della loro reale entità è la chiave di volta: ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), in diversi studi, ha dimostrato che sia le istituzioni che i cittadini non sono adeguatamente consapevoli dei rischi corsi, e che la cultura del rischio non è ancora radicata nella mentalità italiana. Se la cultura del rischio può essere espressa in cifre, il rapporto premi assicurativi/PIL in Italia sfiora il 2%, contro il 5% della Nuova Zelanda, caratterizzata da un indice di rischio identico a quello italiano. È sufficiente un piccolo esercizio mentale per comprendere la scarsa consapevolezza dei rischi reali corsi: se doveste fare una classifica di rischio alluvionale tra le città (hinterland inclusi) di Bologna, Milano e Roma, quale mettereste al primo posto? Se la risposta non è Milano, ho pessime notizie: la città della Madunina è esposta a gravi rischi alluvionali ed esondazioni, determinate dall’impianto urbanistico, dall’incuria dei bacini idrici (Lambro e Seveso, in primis) e dalla limitatezza dei sistemi di prevenzione.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 8-9.

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