La depressione adolescenziale: fenomenologia del tormento

“Vorrei morire a quest’età, vorrei star fermo mentre il mondo va, ho quindici anni”

L’implacabile intro di Charlie fa surf dei Baustelle rispecchia pienamente le forme e i contenuti sofferenti della depressione adolescenziale. Quest’ultima rappresenta un fenomeno psicopatologico ad ampio impatto sociale, in quanto (stando alle stime epidemiologiche del National Institute of Mental Health) la sua prevalenza è aumentata vertiginosamente a partire dal 2012, coinvolgendo milioni di ragazzi – ma più spesso ragazze – in maniera trasversale ai vari ceti sociali.

Una premessa fondamentale

Il termine ‘depressione’ è uno tra i più abusati del periodo contemporaneo, spesso confuso con concetti quali lo sconforto, l’eccesso di disagio (altro termine di cui si abusa), la demoralizzazione passeggera, la tristezza. La definizione ‘depressione adolescenziale’ fa invece riferimento a una condizione parafisiologica, abbastanza duratura, che è tappa imprescindibile del processo evolutivo e che solo in rare e specifiche casistiche sfocia in un processo propriamente patologico.

depressione adolescenziale
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Definizione clinica

La natura di questa confusione risiede nel fatto che non sempre è facile distinguere quando un ragazzo (o una ragazza) sta attraversando quella fase e quando invece è solo temporaneamente sconfortato; il confine tra fisiologia e patologia è dunque sfumato e poco definito. Secondo i criteri del DSM-V, i disturbi dell’umore dell’adolescenza possono essere diagnosticati con gli stessi criteri usati per gli adulti, tenendo presente però il livello evolutivo raggiunto dal soggetto; si avrà dunque a che fare con un giovane che per almeno due settimane presenta almeno due dei seguenti sintomi:

  • rallentamento psicomotorio, ideativo e della verbalizzazione, accompagnato dalla percezione della lentezza del trascorrere del tempo;
  • sintomi della sfera psico-fisica come anoressia, bulimia, marcati disturbi del sonno;
  • tristezza e apatia di entità tale da assumere caratteristiche di disperazione, isolamento, timidezza paralizzante, pianto immotivato, eccessivo adattamento alle convenzioni del gruppo a livello tale da rendere incapaci di prendere alcuna decisione personale, con totale disinteresse per le attività giornaliere;
  • angoscia e agitazione accompagnate da abuso di sostanze stupefacenti o alcool, comportamenti delinquenziali con aggressività contro gli altri e contro di sé, fino a condotte suicidarie.

Queste ultime costituiscono un rischio serio, in quanto l’adolescente tende ad agire secondo la legge del “tutto o nulla”: i più recenti dati statistici dicono che il suicidio è ormai la seconda causa di morte tra i 15 e i 19 anni, con una percentuale triplicata negli ultimi trent’anni. Spesso è una richiesta di aiuto estrema, ma questo acting-out (ovvero la transazione dall’intenzione all’attuazione) può sfuggire di mano. Si ha dunque una situazione emotivamente drammatica, che dipende sì dal soggetto in esame, ma solo fino a un certo punto. Questo video di slam poetry ne racconta il calvario in maniera particolarmente efficace.

“È questione di equilibrio, non è mica facile”

Perché la depressione adolescenziale è parafisiologica?

Si parlava di una tappa fondamentale nella crescita, infatti non è possibile capire un processo così cruciale se non lo si inserisce nel contesto dello sviluppo identitario. Si può dire che:

  • ogni soggetto nell’infanzia ha un “pensiero concreto”, poiché usa soprattutto il suo campo percettivo e quindi ogni forma di conoscenza ottenuta con i sensi rappresenta l’unica possibile verità. La coscienza si plasma dalla conoscenza esterna e coincide in gran parte con essa ;
  • con la crescita (specie con l’inizio della pubertà) il concetto della relatività inizia a insediarsi nella mente dell’adolescente, che realizza che gli altri potrebbero pensarla diversamente da lui o lei, e che quindi potrebbe non esistere una sola verità. Si inizia a dubitare, matura progressivamente il pensiero astratto, il campo di esplorazione principale diventa quello interiore (fase chiamata Periodo delle operazioni formali da Piaget) e nel frattempo il corpo cambia in maniera disarmonica, portando alla nascita di altre paure ed insicurezze;
  • si sta formando l’identità del soggetto (19-20 anni). Emerge il bisogno di avere un senso di sé (o almeno un nucleo di fondo costante) che sia unitario, capendo a poco a poco che nel corso irreversibile del tempo il cambiamento è inevitabile. Arrivano crisi e instabilità.

Come si manifesta?

Sebbene sia quasi scontato, è bene ribadire che non tutte le persone sono uguali (da un punto di vista genetico e non), né tutte ricevono la stessa educazione, vivono le stesse esperienze o frequentano gli stessi ambienti (tutti stimoli che influenzano epigeneticamente il genoma); ciò fa sì che anche lo stesso sviluppo neurofisiologico (e, conseguentemente, l’identità) sia diverso da soggetto a soggetto. In ultima battuta ne deriva, come logica conseguenza, che non tutti reagiscono allo stesso modo di fronte a questo abbassamento del tono dell’umore. C’è chi si conforma al gruppo di persone che frequenta, chi si ripiega totalmente in se stesso fino a chiudersi, chi ancora reagisce in maniera violenta e delle volte impulsiva con contestazioni, opposizioni, trasgressioni, esibizionismo. Sono processi autoreferenziali attraverso i quali ci si distacca anche dalle figure genitoriali, con le quali il rapporto diventa in genere più dialettico (a meno che il genitore non si dimostri, anche inconsapevolmente, ansiogeno e quindi manipolatore, usando le delusioni in cui incorrono i figli come dei modi per generare dipendenza). Quindi, di fronte alla consapevolezza e al cambiamento, si ricercano in continuazione nuovi punti di riferimento, sia in base al proprio modo di riordinare l’esperienza sia in base al proprio assetto emozionale. Non tutti, però, riescono a superare la crisi da soli: si pensi, a titolo d’esempio, a un adolescente rimasto orfano da poco, oppure vittima di numerose e pesanti violenze: quelli sono traumi enormi che segnano, a volte troppo, fino a sfociare nella malattia.

Disturbi associati

Spesso la depressione adolescenziale è solo il primo (seppur principale) dei problemi di questa fase della vita: essa infatti è spesso accompagnata da altri disturbi psichici, leggeri o importanti, che possono essere concausa o conseguenza residuale della depressione. Tra questi si ricordano:

  • i disturbi d’ansia, quindi condizioni di irrequietezza e tensione, fino alla paura somatizzata con l’angoscia (che porta a sintomi somatici quali tremori, palpitazioni, senso di oppressione toracica, mal di stomaco, ecc);
  • il disturbo bipolare, ovvero un disturbo dell’umore che affianca gli episodi depressivi a momenti di euforia. Se è presente in forma attenuata, si parla di ciclotimia;
  • il disturbo dell’adattamento, dunque l’incapacità di trasformare le interazioni e gli stimoli esterni in informazioni utili a mantenere il proprio ordine interno;
  • la distimia, quando dopo la reazione depressiva l’abbassamento dell’umore diventa cronico in maniera lieve per due anni;
  • i disturbi psicotici, che fanno la loro insorgenza proprio in questi anni delicati della vita e che portano a profonde alterazioni a livello cognitivo, emotivo e affettivo tali da alterare il linguaggio, i sensi, l’affettività e la percezione di se stessi.

Correlati neurofisiologici

Alle alterazioni comportamentali corrispondono altrettante e variegate modificazioni a livello dell’encefalo. L’adolescenza rappresenta un periodo della vita in cui il soggetto presenta una notevole neuroplasticità, in quanto è in grado di modificare dinamicamente ed efficacemente le sinapsi delle varie aree cerebrali (corticali e non) al fine di garantire un’adeguata risposta agli stimoli esterni emergenti, acquisendo così schemi idonei all’adattamento e alla crescita. Tutto ciò fa parte del neurosviluppo, e i processi maggiormente coinvolti sono:

  • proliferazione sinaptica (sinaptogenesi), che avviene nella preadolescenza e che porta alla formazione di un numero grandissimo di sinapsi;
  • pruning, ovvero la “potatura” delle sinapsi in eccesso e/o aberranti finalizzata al mantenimento delle connessioni più adatte;
  • mielinizzazione, quindi aumento della sostanza bianca atta, tra le altre cose, a favorire il passaggio di informazioni.

L’adolescenza è dunque una finestra di opportunità, ma al tempo stesso è anche una finestra di vulnerabilità, qualora stimoli esterni di varia natura (magari agenti su una predisposizione genetica tendente alla vulnerabilità psichica) producano alterazioni tali da comportare una brusca perdita dell’equilibrio psichico. A essere coinvolti sono soprattutto tre sistemi neurotrasmettitoriali: serotonina, noradrenalina e, in minor misura, dopamina.

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L’immagine sopra riportata mostra che le vie serotoninergiche e noradrenergiche permettono il collegamento di varie aree, tra cui sistema limbico e corteccia prefrontale. In maniera semplificativa, si potrebbe dire che il sistema limbico permette la generazione e la gestione iniziale delle emozioni, mentre la corteccia prefrontale è deputata allo svolgimento delle funzioni superiori e quindi anche al controllo parziale delle emozioni. L’amigdala infine è il centro limbico in cui viene prodotta la paura. Durante l’adolescenza, per capire i suoi aspetti più caratteristici, è cruciale un dato di fatto: l’amigdala matura prima del lobo frontale. Si ha quindi uno squilibrio che perturba i rapporti tra i neurotrasmettitori appena menzionati, cosa che porta il “cervello emotivo” a imporsi sulla razionalità, causando quindi i comportamenti analizzati precedentemente. L’immagine sottostante riporta gli effetti dei deficit neurotrasmettitoriali nell’adulto: come si può notare, c’è somiglianza nell’alterazione dei processi, che però nell’adolescente rappresentano un transito parafisiologico e soltanto temporaneo.

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Terapie

Le strade percorribili sono molte, relativamente alla gravità della situazione e alle dinamiche multifattoriali entro cui la stessa depressione si svolge. Si può andare dal semplice bisogno di essere ascoltati e capiti ad approcci più seri, dati dalla psicoterapia e dai farmaci. In tutto questo è assolutamente importante che il ragazzo mantenga un sufficiente rapporto di fiducia nei confronti del curante, altrimenti ogni approccio terapeutico sarebbe ben poco efficace; peraltro, lo stesso curante non deve essere invadente o presentarsi come mediatore tra il paziente e le figure genitoriali, per evitare di compromettere lo spazio terapeutico. In linea di massima si può dire che, se l’adolescente risponde ai criteri diagnostici riportati sopra con una intensità medio-alta, tali da interferire pesantemente con la quotidianità della sua vita, allora la psicoterapia sarà difficilmente efficace da sola e si dovrà ricorrere a un adeguato approccio farmacologico. Riguardo la scelta del farmaco per la depressione, si terrà conto della gravità della condizione, degli effetti collaterali, dell’efficacia; tra i più usati, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (tra cui la Paroxetina della canzone dei Baustelle citata all’inizio). Se il quadro è invece più lieve, ma comunque il ragazzo non viene ritenuto del tutto capace di superare la crisi da solo, allora la psicoterapia rappresenta la migliore soluzione. Lo psicoterapeuta a sua volta può percorrere diverse strade, sempre tenendo conto degli aspetti soggettivi del paziente in modo tale da ristabilire un nuovo equilibrio fisiologico.

Le nuove forme: gli Hikikomori

Per concludere, come emerso dalla recente conferenza Depression: state of the art 2016, si vuole citare una peculiare forma di condizione adolescenziale che dal Giappone sembra espandersi a macchia d’olio, e che possiede tratti pericolosamente patologici: la sindrome Hikikomori. Questo è il termine con cui si riferiscono a se stessi gli adolescenti che si autoisolano dalla realtà sociale per almeno sei mesi, chiudendosi nel segreto delle proprie stanze e acquisendo progressivamente tratti di timidezza, insicurezza, mutacismo. Sulla collocazione clinica della condizione c’è ancora dubbiosità: secondo le conclusioni del sopracitato convegno, essere Hikikomori significa essere vicini (se non dentro) alla depressione adolescenziale, mentre secondo altre fonti è un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle moderne società individualistiche.

Altre fonti:

Bellantuono-Nardi-Mircoli-Santone, Manuale essenziale di psichiatria, Il Pensiero Scientifico, 2009.

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