Ubuntu: la leadership politica in Africa

Un detto africano sostiene che «nessuno lascia il governo vivo in Africa». Tale proverbio fa riferimento alla natura, spesso conflittuale, della gestione del potere politico a sud del deserto del Sahara, dove difficilmente i cambi di regime avvengono con una transizione pacifica. Anche un semplice cambio di governo provoca timori e preoccupazioni, nonché ricorsi alla locale Corte costituzionale nel tentativo di far passare una legge, approvata con metodi dubbi, che prolunghi di n mandati la possibilità del presidente attuale di rimanere in carica, grazie ad elezioni altrettanto dubbie. Nel peggiore dei casi (che avviene in modo decisamente frequente) vi è anche il ricorso allo strumento militare. La varietà di strutture tribali, confessionali ed etniche è decisamente varia, ma si possono intravedere dei pattern comportamentali piuttosto consistenti che attraversano tutta l’Africa.

L’amministrazione del potere politico, in un sistema democratico africano, deve ragionare su più livelli: quello etnico, religioso, economico e tribale. Nel corso del XX secolo, tra tutti questi, quello che ha causato il maggior numero di conflitti è quello etnico, che è diretta conseguenza della colonizzazione e di come sono stati divisi i territori durante il processo di occupazione e sfruttamento economico del continente da parte delle potenze europee. Per certi versi è possibile considerare la Conferenza di Berlino del 1884, quella incentrata sulla spartizione dell’Africa, come uno dei cardini dello spostamento dei conflitti dall’Europa al continente nero. I confini tra le colonie delle potenze europee vennero tracciati senza tenere conto del fattore etnico, specie considerando che a quei tempi l’antropologia e l’etnologia erano scienze ancora molto giovani e troppo influenzate dalle scienze positive. Gli europei si spartirono tra loro il continente, tracciando linee che raramente seguivano confini naturali o etnico-politici, ma che seguivano piuttosto logiche di equilibrio di potenza: la miglior testimonianza di tale mentalità si trova guardando la cartina geografica della Namibia. A nord-est è possibile notare una striscia di terra senza alcun senso geografico, che parte dall’angolo nordorientale del paese e connette il paese allo Zambesi e al Lago Livingstone: questa bizzarria geografica è detta il “dito di Caprivi”, dal nome del cancelliere tedesco che nel 1890 negoziò il trattato di Helgoland-Zanzibar e che ottenne il diritto d’accesso alle due importanti vie d’acqua per la propria colonia. Precedentemente il territorio apparteneva alla colonia britannica del Beciuanaland ed era abitato dai Lozi: dopo la spartizione tale etnia si trovò divisa tra lo Zambia meridionale, l’Angola portoghese, la Namibia e il Botswana.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 10-13.

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