Terra nullius: l’Europa Orientale dalla politica ai traffici illegali

Era impensabile augurarsi che la caduta, al termine della guerra fredda, di una delle due superpotenze che avevano spaccato a metà il mondo avvenisse senza ripercussioni sulla cartina geografica politica di quella regione che Mosca ha considerato per diverso tempo il proprio giardino di casa, ovvero l’Europa Orientale. Con il crollo dell’Unione Sovietica, infatti, non sono solo sorte alcune nuove realtà statuali (si pensi ad esempio alla Slovacchia e all’Ucraina), ma si sono anche generati pesanti conflitti per la definizione dei confini, ereditati da quelli definiti dai russi dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Alcuni di questi confini sono stati ridisegnati pacificamente, ma altri hanno creato l’insorgenza di guerre civili e tensioni tra paesi che hanno generato delle zone di nessuno, in cui la sovranità (ovvero la capacità di applicare le leggi) dello stato d’appartenenza è notevolmente limitata.

In queste zone si è installato un governo autonomo, spesso fantoccio di una potenza estera. Tali governi “burattino”, tuttavia, spesso non sono in grado di applicare la legge in modo estensivo sull’intero territorio dell’exclave, che diventa quindi un pericoloso ricettacolo di traffici illegali di ogni tipo. Queste zone vengono poi usate come utili teste di ponte all’interno del ricco continente europeo, oppure verso zone di conflitto nel caso del traffico d’armi. Lo status di testa di ponte non solo non è ostacolato dalle élite, ma ne è persino incoraggiato, dato che una quota dei proventi va a loro per non aver ostacolato il transito. In scienza politica queste tipologie di stato si definiscono failed state.

Nuova Russia

L’esempio più eclatante e più recente di questa struttura risiede in Ucraina orientale: nel novembre del 2013 il presidente ucraino Janukhovic (spiccatamente filorusso) decise di sospendere gli accordi con l’Unione Europea, che avrebbero previsto lo stabilimento di un’area di libero scambio. L’indomani la piazza iniziò a scaldarsi, e nel giro di una settimana scoppiò la rivolta: alla fine del mese la protesta non riguardava già più i rapporti con l’Unione Europea (o, almeno, li riguardava solo in parte), ma toccava anche temi quali la corruzione del governo, il rispetto dei diritti umani e la situazione economica. Le proteste sono passate alla storia con il nome di “Euromajdan”: letteralmente “Europiazza”, dal fatto che le proteste che si tenevano a Majdan Nezaleznosti, Piazza dell’Indipendenza.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 7-10.

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