In fuga dall’orrore: una recensione di Prey

Prey

Lo scorso 5 maggio è uscito in tutti i negozi di videogiochi Prey, nuova fatica di Bethesda e degli Arkane Studios, autori di Bioshock 2 e della saga di Dishonored. Inizialmente si riteneva che si sarebbe trattato di un seguito del primo Prey, uscito nel 2006 e sviluppato dagli Human Head Studios, ma in realtà questo nuovo capitolo rappresenta un nuovo (possibile) punto di inizio per la saga. Qui di seguito troverete la recensione della versione Xbox One di questo titolo.

La trama

Alex e Morgan Yu sono due fratelli scienziati che lavorano per la Transtar Corporation, multinazionale leader nel settore medico e inventrice delle neuromod, dispositivi che – se impiantati nell’occhio di una persona – permettono o di aumentare l’aspettativa di vita oppure di guadagnare conoscenze e competenze da zero. Grazie alle neuromod, ad esempio, è possibile imparare a suonare alla perfezione uno strumento in maniera immediata. L’unica controindicazione che hanno le neuromod è, in caso di espianto, quella di cancellare la memoria dell’utilizzatore fino al momento in cui quest’ultimo ha utilizzato la suddetta neuromod. Le neuromod vengono sviluppate e fabbricate sulla stazione spaziale di Talos I, dove lavorano e conducono esperimenti anche i fratelli Yu. Ma su Talos I non si lavora solamente alle neuromod convenzionali. Il vero scopo della stazione è quello di studiare i Typhon, organismi alieni dotati di poteri speciali, e di creare neuromod contenenti proprio le abilità e i poteri di queste creature. Il gioco inizia con il protagonista, Morgan Yu, che si sveglia all’interno di una Talos I, in completo stato di abbandono e devastata dai Typhon che ormai hanno invaso completamente la base, senza memoria di quello che è successo.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 39-41.

Impostazioni privacy