theWise racconta: L’invenzione

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Gli italiani sono da sempre un popolo di santi, poeti, navigatori e – aggiungiamo noi – scrittori di prosa. Nascosto in ognuno di noi c’è uno spirito narrativo che aspetta solo un’occasione per venire fuori. Noi di theWise abbiamo pensato di dare spazio e voce alle giovani penne che popolano il Paese. Questo è lo scopo della rubrica “theWise racconta”, sulla quale ogni mese ospiteremo un racconto breve inviatoci da un nostro lettore.

Oggi la rubrica arriva alla sua sesta occorrenza, e la scelta è ricaduta sul racconto inviatoci da Orsola Bontempo: L’invenzione. «Dietro un grande uomo c’è una grande stronza»: così pensa Francesco, il protagonista della storia, alla fine di una relazione durata quindici anni. Ma come fare a levarsela dalla mente? Ci vorrebbe una nuova invenzione…

Vorresti comparire nel prossimo appuntamento? Inviaci il tuo racconto breve (massimo due cartelle word, argomento libero) a info@thewisemagazine.it, o contattaci sulla nostra pagina Facebook. Inviandoci il tuo scritto, acconsentirai implicitamente alla pubblicazione.

Francesco Spagnol


L’invenzione

C’è chi sostiene che dietro un grande uomo ci sia una grande donna. Francesco aveva cambiato questa espressione nel seguente motto: dietro un grande uomo c’è una grande stronza. Nel suo caso si sarebbe rivelato più vero che mai, ma andiamo con ordine. Nessuno aveva mai capito che studi avesse fatto Francesco, ogni volta che qualcuno glielo chiedeva la risposta era: «un po’ di tutto» ed era probabilmente ciò che si avvicinava di più alla realtà. Aveva conoscenze molto varie, che investivano numerosi campi: dalla psicologia alla chimica, dalla fisica alla meccanica e all’informatica, dalla letteratura alla filosofia e dalla biologia alla medicina. Tutto questo si univa poi a una spiccata manualità, che gli permetteva di costruire più o meno qualsiasi oggetto gli venisse in mente. Tuttavia, forse per pigrizia, forse per mancanza di stimoli, non aveva mai veramente impiegato con profitto le sue capacità. Aveva un buon lavoro, era dirigente in una filiale di una banca. Un ruolo abbastanza prestigioso, ma ne parlava come di un impiego monotono, che svolgeva quasi avesse la sensazione che se avesse messo a frutto le sue abilità avrebbe avuto troppo da fare e gli sarebbe scoppiata la testa a forza di pensare. Tutto questo sovrappiù di intelligenza non lo limitava, come spesso succede, nelle relazioni interpersonali, anzi era piuttosto socievole e di compagnia. Aveva avuto per molto tempo una fidanzata di nome Arianna. Si erano conosciuti alle soglie dei vent’anni, erano rimasti insieme per quindici anni, poi lei, quando erano in procinto di sposarsi, lo aveva lasciato, così, su due piedi, si presuppone per un altro.

Francesco aveva coniato per lei il nome di Grande Stronza, o giesse, abbreviato. Aveva poi stilato il profilo delle giesse, per cercare di capire come mai si era innamorato di una così, e soprattutto per riconoscerle in futuro ed evitare di ricaderci. Era arrivato alle seguenti conclusioni: sono carine ma non bellissime, tutto il loro fascino iniziale consiste nel fatto che fanno le difficili e sembra che siano miglia e miglia distanti e superiori a te. Quando capiscono che sei cotto di loro, e lo capiscono presto, fanno mosse contraddittorie, un giorno ti sembra di vedere un sorriso dolce sul loro volto, il giorno dopo il sorriso diventa un ghigno di scherno. Una volta che ti hanno sottomesso al loro volere, e lo fanno quasi sempre, perché tutti noi vogliamo quello che non possiamo avere, ti studiano per bene, trovano il modo di entrarti dentro e occupare dello spazio. Finita la colonizzazione forse ti si concedono, forse no. Se non lo fanno il pericolo è scampato, se lo fanno si è solo all’inizio. Naturalmente chi è dentro alla relazione pensa di vivere un sogno ma più per l’idea che ci si è fatti di lei che per quello che lei dà veramente.

Francesco visse dentro la bolla per quindici anni, anni in cui lei lo aveva decisamente colonizzato. Poi un bel giorno, a due mesi dal matrimonio, lo aveva lasciato senza mostrare nemmeno un segno di dispiacere sul viso, parlava freddamente, mentre lui si sentiva tritato a pezzetti.

Rinunciò fin da subito a inseguirla per farle cambiare idea, era troppo intelligente per abbassarsi a fare quelle che lui considerava delle cose da adolescenti. Tutta questa intelligenza e razionalità non gli impedirono però di soffrire, come se una parte di lui se ne fosse andata.

Dopo un periodo di dolore misto a rabbia cieca, dove non faceva altro che struggersi e maledirla, contornando il tutto con alcol a fiumi, tornò lentamente in sé. I ricordi dei momenti con lei però lo tormentavano regolarmente e sembravano non sbiadire mai. Perciò decise di dare fondo a tutte le sue capacità intellettuali e manuali per porre fine alla sofferenza: decise di ideare una nuova invenzione, di creare una macchina che fosse in grado di cancellare il ricordo di lei. L’aveva visto in un film ma, contrariamente a quanto avevano pensato tutti, credeva che fosse possibile. L’unico rischio era quello di perdere altri ricordi che invece avrebbe voluto serbare, e qui il compito si faceva particolarmente arduo.

Grazie alle sue capacità riuscì a elaborare un metodo che permetteva di concentrare tutti i ricordi che la riguardavano e che erano connessi a lei e poi di distruggerli. Stava dando concretezza all’espressione “toglitela dalla testa”, il suggerimento che molti amici gli avevano dato.

Iniziò a costruire la macchina, prevedendo anche un tasto per regolare l’entità della cancellazione: mettendolo su ‘superficiali’ si cancellavano i ricordi poco importanti, su ‘medi’ quelli abbastanza importanti, su ‘profondi’ si faceva pulizia completa.

Dedicava tutto il suo tempo libero all’invenzione. Finalmente, tre mesi dopo, a tempo di record, era finita.

Francesco la guardava con timore reverenziale, ora che era terminata aveva quasi paura ad utilizzarla. Si fidava molto delle sue capacità ma se qualcosa fosse andato storto avrebbe potuto danneggiare irreparabilmente il suo cervello. Aveva la mezza idea di testarla su qualcun altro, ma il pensiero di fare del male a qualcuno lo intimoriva e lo intristiva moltissimo, così per qualche giorno la lasciò a riposo. Poi però gli capitò di ripensare ad Arianna e tutto tornò a galla come se fosse accaduto il giorno prima, quindi decise di provare su di sé la macchina.

Regolò il tasto su ‘superficiali’, si mise gli elettrodi intesta e accese l’apparecchio. Questo svolse il suo dovere, quando la luce verde lampeggiò si tolse gli elettrodi, si sentiva un po’ svanito ma più felice.

Dopo qualche giorno di libertà dal passato la giesse tornò a fare capolino nei suoi pensieri, così utilizzò di nuovo la sua invenzione, stavolta regolando il tasto su ‘medi’. La sensazione era quella di essere svuotato, ma presto si trasformò in leggerezza e ilarità. Proprio quando pensava di parlare a qualcuno della sua invenzione – fino a quel momento non lo aveva fatto – Arianna gli telefonò.

Era morto il padre di lei, che Francesco aveva conosciuto e che anzi aveva sempre trovato simpatico e disponibile. Decise di andare al funerale, non era colpa sua se aveva una figlia che era una giesse. Alla cerimonia la intravide e basta, senza osare avvicinarsi, ma lei doveva averlo notato perché il giorno dopo lo ringraziò di essere venuto tramite sms.

Questo però lo fece vacillare di nuovo, di nuovo il ricordo dei momenti passati insieme tornò a tormentarlo, finché un giorno, spazientito, sistemò il tasto su ‘profondi’, mise gli elettrodi e avviò la macchina. Cadde in un profondo e improvviso sonno. Quando si svegliò non sapeva perché avesse degli elettrodi in testa, li tolse e andò a coricarsi. Ebbe la febbre per qualche giorno, poi riprese la sua vita normale. C’era solo una cosa che non riusciva a capire. Tutti quelli che passavano a casa sua per un motivo o per l’altro gli chiedevano che cosa fosse quel macchinario sulla poltrona del soggiorno. Francesco non sapeva cosa rispondere. «Eppure non assomiglia a niente che conosco» ribattevano tutti, «lo avrai inventato tu! Dai, non fare il misterioso e dicci che cos’è e a cosa serve quel tasto ‘superficiali-medi-profondi’». Francesco non sapeva cosa rispondere. Chissà se l’amnesia era dovuta al fatto che il macchinario era collegato ad Arianna nei ricordi o se era solamente un problema di rimozione avvenuta troppo estesamente. Fatto sta che non riusciva più a ricordare cosa fosse e più glielo chiedevano più si adombrava. Però lo lasciò lì sulla poltrona del soggiorno, come su un trono.

Un giorno era tutto preso a creare un’altra invenzione delle sue, un nuovo tipo di falcia erba, ma si accorse che gli mancava un pezzo per terminare. Cercò per tutta la casa, senza trovare niente di utile. Si ricordò della macchina in soggiorno e senza pensarci troppo la smontò e trovò effettivamente il pezzo che gli serviva.

Successe così altre cinque, dieci, venti volte, finché la macchina non fu praticamente smontata del tutto.

Così Francesco aveva costruito un’invenzione che avrebbe potuto cambiare il mondo, ma non se ne ricordava, e finì per smontarla poco a poco.

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