Ergastolo: pena efficace o mostro mitologico?

Nell’ordinamento penale italiano, sono diverse le sanzioni applicabili al soggetto che si macchia di un crimine e vanno dalle semplici sanzioni economiche fino alle pene privative della libertà personale. La pena detentiva più aspra, non sarebbe il caso di specificarlo perché, almeno per sentito dire, tutti dovrebbero saperlo, è l’ergastolo.
Tale argomento ha da sempre fatto discutere per i più svariati motivi, alcuni vorrebbero una sua certezza maggiore, altri, invece, lo vedono come una violazione inutile della vita umana. In questo clima contrastante, poi, non mancano critiche mosse alla sua mancata applicazione, al fatto che, nella prassi, sia solo una pena ad “effetto”. Come avremo modo di analizzare nel dettaglio, effettivamente, l’ergastolo contrariamente alla sua stessa definizione viene raramente applicato fino alla morte del condannato. Ma perché ciò avviene? L’Italia si conferma come quella descritta dal più becero dei populisti, ovvero ultimo fanalino di coda del mondo civilizzato in materia di diritto?

Il campo di applicazione dell’ergastolo

L’origine dell’ergastolo è particolarmente antica: esso infatti ha origini, come la quasi totalità degli istituti del nostro ordinamento, nel diritto romano. Tale pena è sempre stata presente anche successivamente e, tecnicamente, la sua portata è stata addirittura ampliata a seguito del venir meno della pena di morte.
In particolare per quei reati dove quest’ultima era prevista, la sua abolizione ha comportato il mutamento della pena nella detenzione perpetua. Al giorno d’oggi, quindi, le ipotesi che prevedono questa particolare sanzione sono diverse, almeno sulla carta. L’ergastolo infatti può essere comminato per una serie di reati particolarmente esecrabili come i crimini di guerra, la riduzione in schiavitù, gli atti terroristici o il genocidio.
Altre ipotesi, poi, lo prevedono in alcune circostanze aggravanti dell’omicidio oppure ancora in caso di commissione di una pluralità di reati quando almeno due di questi prevedano una pena superiore agli anni 24. Come è facilmente intuibile, i primi casi sono particolarmente rari, anzi, negli ultimi cinquant’anni non si sono registrate condanne all’ergastolo per queste ipotesi.
Possiamo allora affermare che, attualmente, in Italia l’ergastolo coincide nella quasi totalità dei casi con l’omicidio aggravato, salvo alcune eccezioni. Viene allora facile chiedersi perché, non raramente, diversi condannati alla pena perpetua ritornino in libertà con conseguente sdegno popolare e interviste insensate a parenti che, giustamente, esprimono il proprio disappunto.

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La questione di costituzionalità

La pena, nel sistema del diritto italiano, trova la propria ragione d’essere all’interno della Costituzione. Essa, svolge in primo luogo la funzione di deterrente, ossia di fare in modo che i soggetti dell’ordinamento trovino lo svantaggio inflitto dalla pena maggiore rispetto al guadagno derivante dall’azione illecita e pertanto evitino tali condotte. In secondo luogo, il primo fine a cui mira la pena è quello di rieducazione del reo. Nel rispetto di questo principio, chi subisce la pena ha la possibilità di comprendere appieno il disvalore delle proprie azioni e, in futuro, astenersi dal commettere nuovamente un reato. Un ulteriore punto di criticità deriva dall’articolo 27 della Costituzione nel quale viene sancito che le pene non possono essere degradanti o contrarie alla dignità umana.
In quest’ottica, dunque, è facile immaginare come mai sin dalla redazione della Costituzione la pena dell’ergastolo ha suscitato forti critiche e importanti dibattiti. Dopo accese discussioni sulla permanenza o meno di tale istituto, la costituente, non senza ricevere critiche, ha deciso per la il suo mantenimento, ma la questione è tornata in auge nel 1963. In quest’occasione, infatti, ha avuto modo di esprimersi la Corte Costituzionale stabilendo, peraltro, importanti punti di riferimento per le successive deliberazioni.

Il punto principale della sentenza emessa dalla Corte riguardava la nozione di pena “fissa” così come prevista dal nostro ordinamento che, a causa di istituti come le circostanze attenuanti o i vari benefici della pena, è in realtà “fissa” solamente in astratto. Questa sentenza tuttavia non ha interrotto le critiche che, conseguentemente hanno portato ad ulteriori questioni costituzionali e relative sentenze. Per quanto riguarda la funzione di rieducazione, la Corte ha più volte precisato che, per esigenze di difesa dello Stato, questa non può essere intesa in maniera assoluta, in altre sentenze si è poi affermato che questa rieducazione debba intendersi in senso “spirituale” prima ancora che pratico. A tali statuizioni, tuttavia, vi è stata e vi è tutt’ora un’autorevole opposizione che può essere riassunta in un’equiparazione tra l’ergastolo come una pena di morte mentale, in altre parole, un’eliminazione del soggetto pericoloso più che una vera e propria rieducazione.

In questo clima contrastante è utile ricordare che, decorsi 26 anni dall’applicazione della pena, l’ergastolano, qualora abbia espresso ravvedimento, può essere ammesso alla libertà condizionale. Appunto su questa previsione si può ammettere tale pena non è in contrasto non solo con la Costituzione, ma nemmeno con la Carta dei Diritti dell’Uomo; nel caso non ci fosse, invece, apparirebbe più logico propendere per le tesi “abolizionistiche” traducendosi la stessa come un’indiretta pena di morte.

Merita infine particolare attenzione, nell’ordinamento italiano, l’ipotesi di quello che viene definito ergastolo ostativo. Questa particolare forma di ergastolo si distingue dalla forma ordinaria per il diverso regime penitenziario imposto al detenuto. Mentre nell’ipotesi basilare questi può godere di permessi premio, semi libertà e libertà condizionale, nell’ergastolo ostativo tali situazioni sono precluse. Questa forma tuttavia non si pone in contrasto con quanto appena detto: infatti il detenuto oggetto di ergastolo ostativo, attualmente l’associato mafioso che compie un’omicidio, può rientrare nell’ordinario regime della pena solo a seguito di un particolare requisito. Quello che la legge richiede è che esso sia divenuto collaboratore di giustizia, quello che è informalmente detto “pentito”. In questo modo risulteranno pacificamente applicabili i termini per l’accesso alla libertà condizionale ma, questa volta, decorreranno dall’accesso al regime ordinario.

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Un breve excursus dell’ergastolo in Europa

Appare utile, al fine di una trattazione completa, osservare la normativa europea per determinare se il sentire diffuso circa l’inadeguatezza generale del sistema penale italiano è fondato.
Iniziamo subito con un’affermazione tanto oggettiva quanto semplice: l’Italia è il Paese con il maggior numero di norme che prevedono l’ergastolo.
Emblematico, in materia, è l’esempio della Spagna. La penisola Iberica infatti vanta il primato di stato europeo con la Costituzione più giovane e, conseguentemente, con il più giovane Codice Penale. Esso, da un punto di viste delle singole pene, è particolarmente innovativo, volto al più totale recupero sociale del colpevole: comprende l’abolizione di ogni pena definitiva, quindi non solo l’abolizione della pena di morte, ma addirittura dell’ergastolo.
Ciò nonostante, il primo luglio 2015, circa vent’anni dopo la sua abolizione, la pena dell’ergastolo è stata sostanzialmente reintrodotta con la Ley de Seguridad Ciudadana prendendo il nome di Prision Permanente Revisable. Tale scelta del nome è dovuta a un pericolo di incorrere in un vizio di costituzionalità in modo equivalente a quanto avviene in Italia. La pena è sostanzialmente a vita, ma può essere ridotta a venticinque o trentacinque anni. I crimini per cui l’ergastolo è stato reintrodotto sono ipotesi particolarmente efferate o esecrabili di omicidio. Esse, nel dettaglio, sono l’omicidio del minore di sedici anni, quella a seguito di un reato sessuale sulla stessa vittima, la sua commissione da parte di un organizzazione criminale, il pluriomicidio e gli atti violenti di terrorismo, questi ultimi in linea con l’attuale pericolo mondialmente diffuso.

Il medesimo problema, quello della costituzionalità, ha coinvolto, oltre a Italia e Spagna, la legislazione del Regno Unito. Qui, al pari del resto dell’Europa, le ipotesi dell’ergastolo sono connesse principalmente alle circostanze aggravanti dell’omicidio.
La pena della detenzione perpetua, nell’ordinamento inglese, è formata da un termine minimo, che si concretizza in un determinato periodo di anni stabilito dal giudice, decorso il quale al reo può essere concesso un rilascio su licenza. Durate il periodo di rilascio, in relazione alla condotta o alla pubblica sicurezza, può intervenire una sospensione dello stesso con conseguente reincarcerazione. In ogni caso la pena dell’ergastolo può essere annullata da commissioni speciali o dalla grazia del re. Quello appena definito come termine minimo, chiamato tariff nell’ordinamento inglese, è particolarmente regolamentato, in particolare in seguito a una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Attualmente il minimo viene fissato in generale a quattordici anni, senza circostanze attenuanti e senza circostanze aggravanti.
La sentenza in cui il giudice fissa il minimo è appellabile, e deve essere definitiva. Questo in seguito alla sovra citata condanna da parte della Corte Europea. In questo caso, il condannato a una pena minima prima della possibilità di licenza di quattordici anni si era visto aumentare la stessa fino a un periodo di vent’anni, decorsi sei anni dall’applicazione della prima. La pena stabilita per l’ergastolo, dunque, non è fissa: essa è caratterizzata da una serie di linee guida determinate nel 2003, che influiscono in presenza di alcune aggravanti, per i soggetti adulti, quindi di età superiore a ventuno anni sul minimo generale precedentemente accennato.
In ogni caso l’applicazione dell’ergastolo, inteso in termini di morta sopraggiunta in carcere, nell’ordinamento inglese è particolarmente rara. Basti pensare che, i casi in cui è avvenuta, coincidono con i più famosi serial killer britannici.

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Come abbiamo avuto modo di osservare, allora, al di là delle dicerie e dei luoghi comuni la pena dell’ergastolo è sostanzialmente uniforme in tutta Europa.
Tale pena, attualmente, mantiene principalmente una funzione simbolico-protettiva e la rigidità della sanzione è commisurata direttamente alla riprovevolezza dei crimini per cui è prevista. In una situazione mondiale in cui, giustamente, i diritti umani vengono posti in primo piano, non si può certo pensare ad una sua applicazione tout court quale forma di pena di morte indiretta.
La riabilitazione si pone, quindi, come fondamento nella nostra società, correzione che porta a una seconda opportunità. Volendo rifarsi alle parole del giudice di Milano che ha firmato la scarcerazione di Pietro Maso, ognuno ha diritto a una seconda vita, con l’augurio che non la sprechi. Sicuramente la più grave delle condanne, la fama, non potrà essere cancellata, ma ciò prescinde dal potere della legge.
Possiamo, dunque, concludere che il sistema, così com’è strutturato, molte volte funziona. Un regime sanzionatorio rigido, inoltre, non si traduce nell’inutilità sociale, nella degradazione dell’uomo. La pena detentiva, seppur tendente al perpetuo, non equivale, quindi, alla morte certa del reo, né socialmente né fisicamente. Coadiuva un processo di riabilitazione personale del soggetto, dove la spinta motivazionale può partire soltanto dalla sua volontà e non dallo Stato.

 

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