Inizialmente Weinstein poi Kevin Spacey, Steven Segal ed un susseguirsi esponenziale di nomi importanti tanto stranieri quanto italiani, solamente nelle ultime settimane. Sono sempre di più, almeno sembra, le accuse di violenza sessuale mosse da più o meno giovani vittime nei confronti di attori, produttori o comunque personaggi di fama internazionale. Ciò su cui si vuole porre l’attenzione, tuttavia, non è l’esistenza di un sistema marcio Hollywoodiano, ma la particolare forma di violenza, apparentemente, posta in essere in questi casi. Esiste infatti una forma alquanto subdola e sicuramente più diffusa, rispetto alla costrizione fisica, di violenza carnale. Tali ipotesi sono quelle che vengono definite, tanto in Italia quanto all’estero, acquaintance rape o date rape. Esse, come già detto, sono particolarmente sordide al punto che la vittima e, alle volte, addirittura l’aggressore non si rendono conto del caratterizzarsi della violenza. Ciò che viene in rilievo qui non è la costrizione fisica, ma l’assoggettamento della vittima all’aggressore che, a seconda dei casi, può trovarsi in una posizione di fiducia, di supremazia o comunque di condizionamento psicologico. Data appunto la mancata percezione o comunque l’ambito ristretto in cui questi casi avvengono la risonanza mediatica non è elevata. Infatti, a differenza degli stupri di gruppo, delle violenze perpetrate per strada, il più delle volte passano in secondo piano finché, come nei casi di cronaca odierna, non coinvolgono personaggi di spicco. In realtà gli studi in materia hanno iniziato a svilupparsi in America già negli anni 80 e hanno avuto come oggetto sia la diffusione dei comportamenti che legalmente integrerebbero lo stupro, sia la differente percezione degli stessi in capo alla vittima e al soggetto agente.
Molestie o violenza?
La previsione dei reati sessuali come genere lesivo della libertà e dell’autodeterminazione è relativamente recente. La formulazione originaria del codice penale, infatti, prevedeva gli stessi delitti sessuali non come dannosi per le vittime, ma come offesa alla pubblica morale. Successivamente, nel 1996, questo insieme di delitti ha trovato espressa formulazione negli articoli 609-bis e seguenti del codice penale. Preliminarmente occorre delineare un confine tra la violenza e la molestia sessuale. Diversamente da quanto saremmo portati a pensare, in Italia non esiste una specifica norma per la molestia sessuale. La scelta del legislatore dell’epoca infatti è stata quella di prevedere un reato generico di molestia al quale può essere ricondotta la molestia sessuale.
Il reato di molestie punisce chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, per petulanza o biasimevole motivo rechi a taluno molestie o disturbo. Del medesimo reato, poi, risponde chiunque ponga in essere tali condotte mediante telefono o altri mezzi di comunicazione. Tale norma tutela contemporaneamente la pubblica tranquillità e la sfera privata dei singoli soggetti. Come vi rientrano allora le molestie sessuali? Semplicemente queste sono una categoria giurisprudenziale. I giudici, nel corso degli anni, minuziosamente individuano le varie condotte che possono integrare quella che viene definita molestia sessuale. A solo titolo esemplificativo vi rientrano condotte come il corteggiamento insistente, sia telefonico sia reale o espressioni volgari. Va da se che in realtà, a differenza del comune pensiero, questa ipotesi di reato è particolarmente rara. Nella pratica, come analizzeremo meglio a seguire, è molto più facile incorrere nell’ipotesi di violenza sessuale o comunque nel tentativo della stessa. In quest’ottica è possibile affermare che il reato di molestie (sessuali), a differenza della violenza, sia volto a punire una condotta ancora lontana dall’effettiva lesione alla sfera intima, più che altro un semplice “disturbo”.
Volendo, infine, tracciare una linea di confine tra i due reati, in linea con la Corte di Cassazione, si hanno molestie quando il soggetto attivo, colui che compie il reato, non abbia intenzioni soggettive di appagare i propri istinti sessuali. A questo criterio di tipo soggettivo deve necessariamente integrarsi un criterio oggettivo dato dalla effettiva possibilità di ledere la sfera di autodeterminazione della vittima. In ogni altro caso, qualora non si compia la violenza, si ricade nella differente ipotesi del tentativo di violenza sessuale. Ipotesi che, come tutte le fattispecie tentate, trova specifica disciplina nell’art. 56 del codice penale ossia la pena base per il reato diminuita da uno a due terzi.
La difficile formulazione della violenza sessuale
Come abbiamo avuto modo di anticipare, la violenza sessuale viene specificamente prevista e punita dall’articolo 609-bis del codice penale. Tralasciando la necessità di tutela e il comune sdegno che tali reati suscitano, la norma così com’è statuita risulta particolarmente infelice. Elementi centrali della stessa norma, infatti, sono violenza o costrizione e atti sessuali, definizioni che, anche grazie all’opera di dottrina e giurisprudenza, hanno raggiunto dimensioni e proporzioni fantascientifiche.
Focalizzandosi, in primo luogo, sulla condotta necessaria, questa viene integrata mediante violenza, abuso di pubblica autorità, costrizione o minaccia. Questo non è l’ordine strutturale della norma, ma quello problematico: infatti, gli ultimi due elementi sono quelli che si sono prestati più facilmente alle interpretazioni giurisprudenziali più articolate.
La minaccia, intanto, non deve intendersi in modo oggettivo, ma soggettivo. Non è richiesto, dunque, che questa sia effettivamente una minaccia per i più, ma viene considerata “dagli occhi della vittima”. La ragione di questa interpretazione è data dalla vulnerabilità del soggetto passivo e, di conseguenza, integrerà il carattere della minaccia anche ciò che oggettivamente non lo è per l’uomo medio. A titolo di esempio, può tranquillamente considerarsi minaccia la fine di un’amicizia se posta nei confronti di un bambino o per un anziano solo.
Particolare attenzione merita anche la costrizione, ossia l’assenza del consenso da parte della vittima. Particolarmente famoso e diffuso, in tema di consenso, è l’esempio della tazza del tè, un famoso video che ormai ha fatto il giro del mondo. Gli elementi spiegati in questo video sono senz’altro corretti, ma al contempo dimostrano sostanzialmente l’ipertrofica produzione degli studiosi riguardo questo punto. Basti pensare che gli elementi richiesti attualmente per la formulazione del consenso in materia sessuale sono i medesimi necessari per il consenso medico-chirurgico, anzi, vengono addirittura rafforzati. Il consenso, quindi, dovrà essere: pacifico, libero, puntuale quindi formato senza alcuna interferenza e al momento del compimento dell’atto. Inoltre dovrà essere perdurante, espresso e ininterrotto.
Alla luce di quanto esposto, quindi, trova facile conferma quanto espresso in apertura: potenzialmente la maggior parte degli atti sessuali ordinari è considerabile come violenza sessuale.
Passando poi all’atto sessuale in quanto tale, anche in questo campo dottrina e giurisprudenza già da 1998 hanno centralizzato l’oggettività dello stesso. Questo significa che l’atto sessuale viene slegato dall’effettivo soddisfacimento del piacere dell’agente o comunque dalla sua volontà di concupire. Tali sentenze sono derivate, sostanzialmente, da un bacio a stampo. Si è arrivati, dunque, a ritenere come atto sessuale qualsiasi interazione con una zona erogena del corpo della vittima. In questo caso la definizione, in realtà, nulla definisce posto che qualsiasi parte del corpo può essere considerata come zona erogena. In questo senso è sufficiente che vi sia anche la minima costrizione come, ad esempio, un abbraccio.
Ulteriore e finale evoluzione della pregnanza dell’oggettività nel reato è data dalla smaterializzazione del contatto fisico. Il riferimento, qui, è all’evoluzione tecnologica e al web o meglio, alla webcam o casi equiparabili. In questo caso se un atto sessuale viene compiuto mediante costrizione in via telematica, sicuramente integrerà l’ipotesi di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis.
Dall’analisi appena svolta è facilmente intuibile l’attuale livello di tutela e la diffusione, sempre maggiore, di violenze sessuali slegate dal classico aggressore-mostro violento.
Non c’è alcuna intenzione, qui, di voler rinnegare l’esistenza di ipotesi violente o comunque di sminuire tale esecrabile reato. La logica evolutiva del legislatore in tema di consenso e costrizione, d’altronde, è parallela all’evolversi delle forme delittuose precedentemente indicate come acquaintance rape o date rape. In questo senso, dove la costrizione non è necessariamente fisica, ma soprattutto psichica, la risposta dell’ordinamento è sicuramente adeguata. Difficile ipotizzare una soluzione alternativa, ma, questo è un dato oggettivo, tale estensione pressoché incontrollata della norma lascia aperti spazi pericolosi. Da un punto di vista rende ipotizzabili delitti che nella realtà dei fatti non sono tali. Dall’altro, invece, nel caso concreto e al fine di escludere il precedente punto, si tenderà a sottoporre la vittima a inutili stress. Il riferimento, qui, è a un ipotetico calvario processuale, con domande mirate e insistite o analisi del fatto il più delle volte, svilenti della vittima.