Lo chiamavano Signor Bonaventura

Dopo le feste, è necessario per tutti ritornare alle proprie occupazioni, con la speranza che i propri sforzi vengano ricompensati. Un buon voto per lo studente universitario o una promozione in ufficio per l’impiegato sono di certo un bel modo per iniziare l’anno. Un secolo fa invece, nel 1917, al signor Bonaventura bastava un foglio di carta con su scritto “Un Milione” a ricompensa dei propri sforzi, raccontati nelle storie pubblicate sul Corriere dei Piccoli.

Signor Bonaventura, lo Yellow Kid italiano

Signor Bonaventura
Sergio Tofano nei panni del Signor Bonaventura a teatro. Foto Guida al Fumetto italiano

Il Signor Bonaventura nacque dalla fantasia di Sto, pseudonimo del poliedrico artista Sergio Tofano, attore, regista e scrittore vissuto a Roma, che diede vita al personaggio vestito di bombetta rossa e marsina, accompagnato in ogni storia dal suo fedele bassotto giallo. Le storie, articolate in tavole composte da otto vignette, a differenza delle comic strip americane erano prive dei balloon, che ora sono caratteristica inequivocabile del fumetto in genere, a favore di didascalie costituite da versi in due strofe, che ai piedi della vignetta iniziavano solitamente con: «Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura…». Puntualmente la storia, la sventura che capitava al personaggio ingenuo creato da Sto finiva con il successo e con il guadagno del solito “Milione”, in un susseguirsi di tavole adornate dalle rime baciate, dal 1917 fino agli anni Sessanta. Il Signor Bonaventura è senza dubbio il personaggio più famoso dei fumetti italiani di inizio Novecento, sebbene non sia stato il primo personaggio ad apparire sul Corriere dei Piccoli. La prima storia pubblicata nel 1908 da Attilio Mussino prese ispirazione dall’attualità dell’epoca, in particolar modo dalla colonizzazione dell’Eritrea, dando vita a Bilbobul, un ragazzino africano protagonista di svariate vicissitudini. Il personaggio creato da Sto invece apparve soltanto sul numero 43 della rivista supplemento del Corriere della Sera, nel 1917, quando Silvio Spaventa Filippi, direttore del Corrierino,  notando le elaborazioni grafiche di Sergio Tofano su alcune pubblicazioni di moda lo invitò a sfogare le proprie capacità artistiche sulle pagine della rivista, occupandosi dei testi e dei disegni. Sto acconsentì, raccontando storie non poco assurde e improbabili, ma che si concludevano sempre con un guadagno fortunoso, dando modo al piccolo lettore di sognare e divertirsi, senza annoiarsi con le morali leziose imposte dalla letteratura per ragazzi come Cuore di De Amicis. Sul personaggio creato da Tofano, che con la propria semplicità e l’animo naïf nelle storie rese il fumetto italiano popolarissimo, si sono scomodati paragoni con Yellow Kid (1895), ritenuto il capostipite della cosiddetta nona arte, il Fumetto. Il personaggio creato da Richard Felton Outcault si trovò nel posto giusto al momento giusto, e con le proprie tavole satiriche diede nuova vita alla narrazione per mezzo di immagini, facendo sì che gli editori investissero in questa forma di espressione dando vita, attraverso le vignette, le strip e gli inserti domenicali, all’industria dei comics americani, da cui sono transitati centinaia di autori e personaggi passati alla storia come i Peanuts, Wonder Woman, Calvin e Hobbes e molti altri.

Signor Bonaventura, ultima maschera dell’arte e primo cinecomic della storia

Signor Bonaventura
Il Signor Bonaventura si prestò a molte pubblicità, come questa della Barilla. Foto: Pinterest.

Le storie raccontate da Sto si basavano tutte su un canovaccio tipico e molto semplice: si parte dalla sventura per il nostro eroe, a cui segue il beneficio altrui per poi concludersi con un premio. Per esempio, il Signor Bonaventura si improvvisa negoziante di calze, rovescia il lume che scatena un incendio, i pompieri arrivano in soccorso bagnando le calze e la storia si conclude con il Signor Bonaventura che appende le calze e durante la notte vengono riempite di doni dalla Befana. Oppure, portando in testa un vaso di colla, dei balilla lo rompono a sassate, il Signor Bonaventura cade nel cesto di piume di un pollaio e, con tutte le piume incollate al corpo, viene scritturato come uomo uccello da un impresario circense. Storie semplici, delle favole, che a volte finivano non con il guadagno bensì con la perdita del ricorrente Milione, incorrendo perfino in proteste da parte dei bambini seguaci delle gesta del personaggio di Tofano, che pretendevano il rispetto del gioco e il ripristino del Milione finale per quella che è stata definita “l’ultima maschera” della commedia dell’arte. Sto è stato un artista che con le proprie storie surreali e leggere ha dato vita a un personaggio che è un ossimoro vivente. Fuori dal tempo ma attuale, senza un background vero e proprio, che interagisce con re e miserabili, a cui nel giro di una tavola porta dei benefici che puntualmente vengono ricompensati, con il canonico foglio “Un Milione” divenuto poi miliardo, diverso dalla fortuna che guadagna il disneyano Zio Paperone. “Un Milione” che nella cultura italiana è più simile a quello cantato nelle canzoni come Mille lire al mese o da Rino Gaetano, che in Ma il cielo è sempre più blu canta «Chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo / Chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo»: un’iperbole, una sorta di grande ricchezza tipica di un’ingenuità nazionale che si accontentava del poco, a cui bastava donare un Milione per rendere felice l’eroe di carta che allietava i pomeriggi dei bambini che da grandi avrebbero preso ispirazione per le proprie storie, come Gianni Rodari o Italo Calvino per il suo Marcovaldo. Quello creato da Sergio Tofano è un personaggio che poteva essere a suo agio ovunque, senza chiedersi troppo perché si trovava in un determinato luogo, tant’è che come stava bene sul Corriere dei Piccoli ebbe anche diverse trasposizioni teatrali e addirittura una capatina sul grande schermo con il film Cenerentola e il Signor Bonaventura (1942), che lo rende probabilmente un cinecomic ante litteram, dato che forse è il primo film della storia con protagonista un personaggio tratto dai fumetti.

L’eredità di Sergio Tofano e del suo Signor Bonaventura

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L’omaggio di Corrado Mastantuono al Signor Bonaventura, tratto dalla storia Nel Bum dipinto di Bum Bum. Foto: corradomastantuono.com

Quello che resta a cent’anni di distanza dall’esordio di questo personaggio bizzarro e ingenuo che fece sognare generazioni di bambini italiani è un’eredità raccontata dai discendenti di Tofano nel sito dedicato all’opera di Sto, che con il suo personaggio più celebre viene tutt’ora citato anche per tematiche sociali come la disoccupazione e il famigerato “Milione di posti di lavoro” a volte decantato nelle promesse elettorali. L’influenza di Sto è sentita anche in ambito artistico, sia in un disco come Cicciput di Elio e le Storie Tese sia nei fumetti, con il vulcanico Leo Ortolani che diede vita sulle pagine di Rat Man a Brick Tempesta, un supereroe generico ricalcato sul Signor Bonaventura, che ottiene la somma di un milione come compenso per i suoi sforzi ma con cui gli è impossibile pagare qualcosa di pratico come una cena al ristorante. Altre citazioni degne di nota sono quelle di Massimo Bonfanti in Cattivik e quella di Corrado Mastantuono, che con il suo Bum Bum Ghigno omaggiò Sto e Bonaventura nella tavola di apertura della storia Nel Bum dipinto di Bum Bum (2001). L’eroe in marsina e bombetta rossa continuò a vivere anche attraverso nuovi media come il 3D e con alcune tavole pubblicate sul Sole 24 Ore che, alla fine degli anni Novanta, decantavano i pregi della nuova moneta unica che da lì a poco sarebbe entrata in vigore in tutta Europa, l’Euro. Un personaggio semplice e candidamente ingenuo, figlio di un artista che, oltre a portarlo in teatro (un media ben più familiare per Tofano), da pioniere ha aiutato a fondare un nuovo mestiere come quello del fumettista in Italia, contribuendo a far nascere realtà che vivono tutt’oggi e prendendosi di diritto la paternità del fumetto italiano, così come Yellow Kid si è giustamente preso quella per il fumetto americano e internazionale.

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