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Vaccini e interessi economici (per tutti noi)

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Domenico Beccia

Nell’ambito dell’informazione – e, troppo spesso, disinformazione – riguardante la questione vaccini in Italia, si parla quasi esclusivamente dei guadagni delle aziende farmaceutiche, trascurando un aspetto fondamentale: la convenienza economica per lo Stato. A questo proposito è necessaria un’immediata premessa, al fine di scongiurare ipotesi di natura complottistica: l’interesse economico statale è sempre il nostro interesse. I soldi risparmiati o sprecati dalla pubblica amministrazione, infatti, provengono direttamente dalle nostre tasche. I calcoli sono complicati e certamente approssimativi, in relazione al fatto che si tratta in gran parte di stime relative alla spesa media per ogni ipotetico malato. A ciò si aggiunge poi il fattore confondente, dovuto all’imprevedibilità dell’evoluzione clinica di determinate patologie.

Gli studi in tal senso riguardano in gran parte i vaccini per i quali, all’epoca dello svolgimento di detti studi, non era prevista l’obbligatorietà, ma vigeva solo la raccomandazione medica per la popolazione generale o per specifiche classi di popolazione. Tra questi, alcuni sono entrati a far parte dei dieci per cui il Decreto Lorenzin ha previsto l’obbligatorietà. Il simbolo di questa rivoluzione nella copertura vaccinale è stato il vaccino anti-morbillo, disponibile dal 1979, la cui introduzione ha portato a un decremento considerevole del numero di casi registrati: si stima un numero vicino ai due milioni di casi evitati. Questo, stimata una spesa media per caso di morbillo approssimabile a 190 dollari USA (valore monetario riferibile al 2003), ha comportato un risparmio di 12 milioni di dollari l’anno, a fronte di una spesa vaccinale compresa tra i 2,5 e i 3 milioni.

Casi di morbillo in Italia negli ultimi 5 anni.

Un caso esemplificativo riguarda il virus dell’epatite B. Lo studio degli effetti di questo vaccino è particolarmente importante perché, data la sua introduzione tra gli obbligatori nel 1991, ci permette di valutare le differenze tra pre e post obbligatorietà con dati relativamente recenti. Si stima che nel primo ventennio siano state evitate 127.000 infezioni, 14.600 casi di epatite acuta, 4.100 casi di epatite cronica, 70 cirrosi compensate, 5 cirrosi scompensate, 64 epatocarcinomi primitivi e 17 trapianti di fegato. Il risparmio stimato è di circa 81 milioni di euro. I dati sono incoraggianti, ma ancora poco rappresentativi di quello che sarà il vero impatto del vaccino sull’epidemiologia della malattia. La popolazione coperta, infatti, ha nel 2018 un’età inferiore ai trent’anni. Ricordiamo che il virus dell’epatite B si trasmette tramite contatto con sangue infetto e rapporti sessuali non protetti. È evidente, pertanto, che la popolazione protetta da vaccino avrà avuto meno occasioni di poter contrarre il virus per una questione anagrafica, motivo per cui i dati sulle infezioni e sui costi risparmiati vanno osservati nel lungo periodo. Estendendo la proiezione fino al 2059, il risparmio per le casse dello Stato è stimato in una cifra compresa fra 1,1 e 1,2 miliardi di euro.

Uscendo dalla categoria dei vaccini obbligatori, particolarmente sottovalutato è l’impatto sulle casse dello Stato della comune influenza. Il vaccino è fortemente raccomandato per le fasce d’età più a rischio, ovvero bambini e anziani, ma in termini di costi anche la fascia centrale ha un peso non indifferente. Questo è dovuto al fatto che l’adulto, che costituisce la cellula produttiva della società, comporta un maggiore costo indiretto (ad esempio dovuto all’improduttività lavorativa, dati i permessi per malattia). Uno studio del 2010 ha messo in evidenza come il costo complessivo dovuto alle infezioni influenzali per il Sistema Sanitario Nazionale ammonti a ben 2,86 miliardi di euro. Lo stesso studio mostra come, vaccinando l’intera popolazione di età superiore ai 18 anni, la spesa complessiva scenderebbe a 1,56 miliardi, con un risparmio netto di 1,3 miliardi. Questi numeri sono probabilmente destinati a essere drammaticamente rivisti al rialzo, visto l’impatto che la devastante forma influenzale che ha colpito l’Italia tra il dicembre del 2017 e i primi mesi del 2018 – ricordiamo che il virus influenzale muta annualmente – ha avuto sulle richieste di assistenza pubblica presso i Pronto soccorso e gli ospedali italiani.

Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute.

Esempi del genere fanno assumere un sapore amaro alla scelta di lasciare alcuni vaccini alla libera scelta individuale, benché lo Stato ne eroghi comunque la somministrazione in maniera gratuita. È il caso del Meningococco B, imputato dei numerosi casi di meningite batterica saliti agli onori della cronaca tra il 2016 e il 2017, sebbene l’incidenza della malattia si stia mantenendo pressoché costante negli ultimi anni. Secondo uno studio relativamente recente, considerata una spesa media di 484.762 euro per malato, moltiplicando per i 90 casi medi annui si arriva a una spesa di circa 44,5 milioni di euro. Pertanto, una copertura vaccinale completa, con un’efficacia di circa l’87%, comporterebbe un risparmio annuo superiore ai 38 milioni di euro. Inoltre è bene sottolineare che, nei casi in cui l’infezione avvenga ugualmente, questa si presenterà, con ogni probabilità, in maniera più blanda. Insieme al Meningococco, nella lista di microrganismi relegati alla non obbligatorietà compare il Rotavirus: il responsabile, sconosciuto ai più, di forme di gastroenteriti particolarmente gravi nei bambini di età inferiore ai cinque anni. Per i soli costi diretti la spesa annua supera i 31 milioni di euro, e la vaccinazione porterebbe a un risparmio di oltre 26. Ma il dato inquietante è la spesa stimata con i costi indiretti, superiore ai 140 milioni di euro.

Pur evitando di elencare tutte le possibili infezioni limitabili oggigiorno, e i miliardi risparmiabili dal nostro efficiente (ma troppo spesso dispersivo) Sistema Sanitario Nazionale, può sorgere il dubbio che lo Stato punti all’obbligo vaccinale per far cassa. Il risparmio economico – e, quindi, di ciò che noi versiamo allo Stato – è lo specchio della riduzione delle ospedalizzazioni, delle assenze da scuola e dal lavoro, delle richieste di prestazioni nei Pronto soccorso e nelle complicanze nel medio-lungo periodo. Qualsiasi trattazione riguardante i vaccini non può prescindere dall’avere come caposaldo la convenienza in termini di salute: i miliardi risparmiati sono soltanto un’altra vittoria in una battaglia nella quale, a quanto pare, vinciamo sempre.

Resta la certezza che questi dati vadano a impattare violentemente sul dibattito politico odierno, ma ne restino colpevolmente estranei. È evidente come il braccio di ferro politico finisca per ripercuotersi negativamente sul funzionamento di un SSN che per assistenza al pubblico non ha nulla da invidiare a nessun altro Paese europeo e mondiale, ma che troppo spesso viene stretto nella morsa dei tagli, che spingono sempre più verso i servizi privati, e delle battaglie ideologiche.

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Domenico Beccia

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