Si chiama Nawal Soufi, ma è conosciuta dai media come Lady SOS, la donna italo-marocchina, classe ’87, che dal 2013 offre il suo aiuto ai migranti sia in Italia che all’estero. Nota anche con il nome di “mamma Nawal”, attraverso il suo cellulare presta soprattutto soccorso a chi è in mare. Il suo numero di telefono passa di mano in mano, da una pagina Facebook all’altra, e viene usato per chiamarla spesso quando la nave sta annegando: le telefonate dal mare che riceve le permettono poi di avvisare la Guardia Costiera per dare le coordinate dei barconi.
Quando tutto è iniziato
Nawal è sempre stata, sin da adolescente, volontaria nella raccolta di abiti, cibo e soldi per i rifugiati. Proveniente da una famiglia immigrata a Catania, con lei piccola di appena venti giorni, è stata cresciuta con il valore dell’ospitalità e l’accoglienza verso i migranti. Spesso il padre rientrava a casa la sera con qualche immigrato appena arrivato e la madre era sempre pronta con tovaglie e asciugamani di riserva per chi in quel momento avesse bisogno di un posto sicuro dove stare. Nawal è diventata però il vero angelo dei migranti nel 2013: in quell’anno a Catania sono cominciate ad arrivare le prime barche che trasportavano i siriani. Questa rappresentava solo una tappa intermedia per il loro viaggio che aveva come obiettivo il Nord Europa. Punto di snodo nevralgico della città era la stazione della città etnea, che si trova nelle vicinanze dell’università frequentata da Nawal, la quale insieme ad altre persone decise di aiutare i primi siriani giunti in Italia. Spirito umanitario, esperienza come mediatrice culturale, ma soprattutto la conoscenza del francese e dei vari dialetti arabi hanno permesso a Lady Sos di aiutare i migranti. Aiuto necessario a evitare di far cadere gli immigrati nelle trappole di persone che lucrano su queste disgrazie, come gli scafisti di terra che con circa 1.500 euro organizzano viaggi verso la Svezia. La facilità di comunicazione l’ha resa un punto di riferimento per chi è appena sbarcato, ma anche per chi decide di partire: dalla prima chiamata il suo telefono non ha più smesso di squillare. Adesso, ha due telefoni: uno col numero sul quale riceve le telefonate dalle persone in pericolo in mare, l’altro che utilizza per chiamare allo stesso tempo la Guardia Costiera. Quest’ultima non ha un servizio di operatore arabo 24 ore su 24 e, anche se è vero che i profughi potrebbero comunicare in inglese o in francese, nelle situazioni di panico, col gommone che inizia a fare acqua nell’oscurità della notte, chiedere aiuto nella propria lingua è tutta un’altra cosa.
Devozione e altruismo la guidano in questi grandi gesti, spesso dalle emozioni difficili da gestire. Infatti, nelle chiamate, che registra sempre per motivi di sicurezza e per consegnarle eventualmente alla Guardia Costiera, ci sono voci di persone in preda al panico nel vedere la loro imbarcazione in procinto di affondare, con il terrore di morire da un momento all’altro e che spesso non arriveranno a terra. Come Nawal stessa ha dichiarato, è necessario avere polso per non aumentare il panico di queste persone e dare sfogo alle proprie emozioni solo in un secondo momento: il tempo a disposizione è pochissimo, la linea potrebbe cadere, la batteria scaricarsi o il credito esaurire, ogni minuto è prezioso per prendere le coordinate del gommone e salvare vite. Spesso, prima di riattaccare, ricorda loro di non muoversi troppo quando vedranno l’imbarcazione della Guardia Costiera per evitare movimenti che potrebbero far ribaltare il gommone. Infine, conclude con un «ci vediamo a terra», che, per quanto incerto possa essere, può comunque alleggerire il terrore dei migranti.
Oltre alle telefonate, aiuta i migranti nei loro primi passi in Italia, dal biglietto del treno per proseguire il loro viaggio verso un altro Paese, alla ricarica telefonica, a una visita medica o una traduzione in ospedale. Il profilo Facebook di Nawal, dove posta notizie e richieste per i rifugiati, ha migliaia di follower. Per esempio, scrive post per reperire un medicinale dopo essere stata contattata da persone nei Paesi arabi che non riescono a trovarlo, o cerca di aiutare chi è bloccato alle frontiere tramite la ricerca di avvocati o persone esperte per risolvere la situazione. Riceve inoltre donazioni dai singoli, ma tendenzialmente non vuole essere affiliata ad alcuna organizzazione: vuole essere un’attivista indipendente, come lei stessa si definisce, per operare sia da terra che da mare. Questo ha fatto sì che, tra le tante cose da lei fatte, sia andata da volontaria nell’isola di Lesbo, dove adesso molti migranti vengono bloccati nel loro viaggio verso l’Europa, e abbia soccorso migranti ai confini in Macedonia e in Grecia.
La sua voce a livello internazionale
Ha ricevuto il premio Arab hope makers 2017, assegnato a Dubai dal primo ministro degli Emirati Arabi a chi dedica la propria vita a servire le persone e la comunità, ma prima ancora ha ottenuto la menzione speciale del Premio volontario internazionale 2015 Focsiv (Federazione o.n.g cristiane). È stata poi ricevuta, nel giugno 2016, a Rabat, dal re del Marocco Muhammad VI. Nel settembre 2016 ha ricevuto il premio dell’UE come cittadina europea dell’anno: proprio al Parlamento europeo, nel marzo precedente, aveva tenuto un discorso sulla necessità di avere una risposta concreta da parte dell’Europa. Un discorso toccante – che è possibile rivedere in questo video, a partire dal minuto 20’ 50’’ – iniziato con due bottiglie di plastica legate da un paio di calze per mostrare a tutti il salvagente “fai da te” che i migranti sono costretti a farsi perché impossibilitati a comprarsene uno. In questa occasione ha parlato anche di uno dei suoi cavalli di battaglia, ribadito anche in questo suo discorso al Parlamento, è la creazione di corridoi umanitari per migliaia di persone, non solamente per poche centinaia di fortunati. Cercare di creare vie legali per entrare in Europa, un’Europa che è diventata impermeabile se non attraverso le mafie dei trafficanti, è l’unica soluzione per porre fine a questa tragedia che dipinge il Mediterraneo di rosso.
La sua la biografia e le sue prove di coraggio sono state raccontate dal giornalista Daniele Biella nel libro Nawal. L’angelo dei profughi (Paoline 2015), si parla di 20mila persone salvate. Alla domanda «chi te lo fa fare», lei risponde: «È il cuore che mi paga».