Julio Cesar Benítez: il (triste) destino di un campione

Il 4 marzo del 2018 è una data che difficilmente verrà dimenticata. Quella mattina ci si svegliò chi con la mente alle elezioni politiche che si svolgevano quel giorni, chi triste e chi felice per i risultati degli anticipi del campionato di Serie A. E poi lo si seppe: aprendo i profili social, accendendo la radio o semplicemente facendo distrattamente zapping fra i canali televisivi. Davide Astori, capitano della Fiorentina, non c’era più. Era andato a dormire la sera prima e non aveva più aperto gli occhi. Se n’era andato in punta dei piedi, così come si era affermato nel mondo del calcio. Tutti i campionati professionistici d’Europa gli hanno dedicato un commosso ricordo: in Inghilterra, in Francia e anche in Spagna dove, esattamente cinquant’anni fa, il Barcellona si ritrovava orfano di Julio Cesar Benitez, difensore uruguaiano, scomparso alla vigilia del Clásico.

Julio Cesar Benítez Amuedo, nato a Montevideo il 1° ottobre del 1940, giocò in carriera in tutte le zone del campo, da attaccante a centrocampista, per poi affermarsi come difensore. Da difensore, sia centrale che laterale destro, non si era dimenticato come fare gol: negli anni spagnoli riuscì a mettere a segno 17 gol, alcuni dei quali da punizione. I più anziani lo ricordano come una sorte di antesignano di Dani Alves. Proprio grazie alle sue doti difensive abbinate a un certa inclinazione offensiva, riuscì ad affermarsi nel campionato spagnolo, dove giunse nel 1959 dal Racing Montevideo, una delle tante squadre della capitale uruguaiana.

È la stagione 1959/60 e un diciannovenne Benítez approdò nell’allora Primera División venendo acquistato dal Real Valladolid, insieme ad altri tre connazionali. Qui marcò presenza ben 26 volte, mettendo a segno ben cinque gol: non male per essere il suo primo anno. Dello stesso parere fu il Real Zaragoza, che lo acquistò solamente un anno dopo il suo arrivo in Spagna e dove Benítez giocò tutte le partite del campionato della stagione 1960/61, condendola con due reti. Ma anche la sua permanenza in Aragona durò solamente una sola stagione: era di nuovo il tempo di preparare le valigie e traslocare, questa volta in direzione della Catalogna. La stagione 1961/62 fu la prima delle sette stagioni in cui Julio Cesar Benitez indossò la camiseta blaugrana del Barcellona.

Quando si pensa al Barcellona, viene subito in mente un club imbattibile e irresistibilmente vincente, ma questo non era vero negli anni Sessanta. Pur avendo in bacheca otto titoli nazionali, in quel decennio il Barça viveva all’ombra del grande Real Madrid, che vinse tutti i campionati del decennio – con l’eccezione della stagione 1965/66, vinta dai rivali cittadini dell’Atlético Madrid. Sotto la presidenza di Santiago Bernabeu, quel Real Madrid poteva contare in rosa, fra gli altri, gente del calibro di Alfrédo Di Stefano, Ferenc Puskás e, soprattutto, di Francisco Gento, capitano e simbolo delle merengues. Il Barcellona soffriva questa situazione di subalternità e non solo per ragioni sportive: erano gli anni del franchismo, del soffocamento dell’identità politica della Catalogna, della sua cultura, della sua lingua e delle sue tradizioni. Il Madrid, dal canto suo, rappresentava il centralismo franchista, autoritario e fascista. Il Clásico, allora più che mai, si tingeva di forti connotati politici, sociali e identitari.

Julio Cesar Benítez, al Barcellona, impiegò poco tempo per farsi amare dai suoi tifosi. Di poche parole ma tanti fatti, in campo si fece apprezzare da subito per la propria tecnica e per quella tipica garra che sembra essere consustanziale all’essere giocatore sudamericano. Ma, soprattutto, divenne idolo del tifo catalano in occasione dei vari match disputati contro il Real Madrid: era deputato alla marcatura di Gento, che, nelle varie partite in cui dovette affrontare Benítez, venne costantemente annullato dall’uruguaiano. Il giovane e vigoroso difensore dei catalani aveva azzerato il capitano castigliano. Era difficile non vederci una piccola grande rivalsa politica, specialmente per un pubblico allora a corto di grandi soddisfazioni sportive. Soddisfazioni che, per quanto fugaci, comunque arrivarono anche per Benítez, nei suoi sette anni di militanza blaugrana: una Coppa delle Fiere, antenata della Coppa UEFA/Europa League, nel 1965/66 e una Coppa del Generalissimo (oggi Coppa del Re) nel 1962/63. Anzi, due Coppe del Generalissimo: vinse anche quella del 1967/68, anche se non poté disputarne la finale.

Era l’aprile del 1968. Il Barcellona era secondo a tre punti dal Real Madrid e mancavano quattro giornate alla fine. Si doveva giocare la ventisettesima giornata di campionato, fissata per il 7 aprile. Il turno di campionato prevedeva proprio il Clásico e, per i catalani, era l’occasione perfetta per avvicinarsi ulteriormente alla testa della classifica, per così tentare di agguantare quel titolo che mancava al pubblico del Camp Nou da ormai troppi anni. Approfittando di un giorno di pausa concesso ai giocatori, Benítez partì per partecipare a un matrimonio ad Andorra, ma, già sulla strada del ritorno, non si sentiva bene: probabilmente del pesce mal conservato – cozze, pare – gli deve aver fatto male. Il venerdì prima del match venne ricoverato d’urgenza. Troppo tardi: il 6 aprile 1968, Julio Cesar Benítez morì.

L'annuncio della morte di Benítez. Fonte: alchetron.com
L’annuncio della morte di Benítez. Fonte: alchetron.com

Il Barcellona aveva così perso uno dei giocatori più rappresentativi della sua storia, proprio il giorno prima della partita simbolica per eccellenza. Inutile dire che la partita venne rinviata. Al Camp Nou venne allestita una camera ardente, dove centomila tifosi blaugrana (e non) accorsero per porgere l’ultimo saluto. Anche Gento, capitano del Real Madrid e suo acerrimo rivale in campo, andò a omaggiare l’unico uomo in grado di fermare le sue incursioni ferali. Per la cronaca, qualche giorno dopo si disputò il Clásico, in un clima surreale, e la partita terminò 1-1, mantenendo intatto il distacco e permettendo così alle merengues di aggiudicarsi il titolo. A Benítez venne invece dedicata la vittoria blaugrana della Coppa del Generalissimo, grazie alla vittoria in finale per 1-0, proprio contro il Real Madrid.

I giorni seguenti alla tragedia furono, come comprensibile, carichi di domande. Com’è possibile che un giovane atleta sia morto così, all’improvviso, per un’intossicazione alimentare? Si disse che Benítez, che in passato aveva sofferto due volte di epatite, non fosse conosciuto come un ragazzo che svolgeva una vita da atleta. Si diede la colpa a un pneumococco e il pesce avariato del matrimonio a cui partecipò pochi giorni prima di morire rimase il principale indiziato. Negli anni seguenti, però, emersero dei dettagli che gettano qualche misteriosa ombra su questa vicenda. Per esempio, il medico che era con lui al momento della morte sosteneva che non vi fossero ragioni cliniche per credere che la morte del calciatore fosse dovuta alle cozze avariate. La moglie, inoltre, sostenne di aver chiesto più volte che venisse effettuata un’autopsia, ma queste richieste vennero sempre respinte. Strano, soprattutto perché Julio Cesar Benítez, al matrimonio, non aveva mangiato cozze, ma solo verdure e carne. La vicenda si tinge di paranormale quando, qualche anno più tardi, un altro laterale destro uruguaiano del Barcellona, Alfredo Amarillo, disse di essere in contatto con lo spirito di Benítez. Amarillo sosteneva che l’ex calciatore si incarnasse nel corpo di sua moglie e, parlandogli con la propria voce, gli diceva di essere morto avvelenato.

Ad ogni modo, è difficile credere a queste cose, così come resta complicato capire le ragioni per cui il ragazzo sarebbe stato avvelenato. Certo la vicenda non è del tutto chiara, ma, con ogni probabilità, sono solo le comprensibili, umanissime reazioni di chi ha paura a pensare che non si è mai abbastanza giovani, amati e rispettati per sfuggire a quello che il destino, o chi per lui, ha in mente per noi.

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