Un insolito spettacolo – quarta parte

Un insolito spettacolo – prima parte
Un insolito spettacolo – seconda parte
Un insolito spettacolo – terza parte


Veronica, la dirimpettaia, si era invece presentata spontaneamente: forse sapeva che stavo indagando o forse era stata presa da un improvviso senso di colpa che l’aveva portata davanti alla porta di casa, nervosa, con la magliettina di seta al rovescio mentre con le dita arricciava la gonna a pois. Mia madre, che dopo l’immersione nei vecchi ricordi di Giovanni era un po’ provata, l’aveva accolta con un sorriso stanco, certa che anche lei aveva qualcosa da confessarle.

Il pollo aveva attirato nella nostra casa i segreti e i rimpianti dei nostri vicini. Io, nel mentre che mamma faceva accomodare la signora Veronica, avevo preso come al solito il mio taccuino, certo che questa confessione sarebbe stata decisiva per risolvere il mistero. Veronica, giovane, solare e sempre impeccabilmente vestita, oggi appariva cupa e trasandata. Aveva portato avanti l’attività della mamma per qualche anno: aveva un negozietto di abbigliamento femminile, nel quale mia madre comprava spesso. Un giorno però aveva dovuto chiudere per un certo pizzo.

A me il pizzo piace molto negli abiti delle signore, e non ero mai riuscito a capire per quale motivo a lei non piacesse così tanto da dover chiudere il negozio. Dunque, la signora Veronica, seduta sul nostro divano giallo, appariva come un pulcino tremante e pavido. Mi dispiaceva per lei e per la storia del pizzo, ma comunque era libera di non venderlo questo pizzo, se proprio a lei non piaceva! Glielo volevo dire, ma mamma iniziava già con i suoi convenevoli e la sua ospitalità: «Tesoro, vuoi un the caldo? Non ti trovo molto in forma oggi».

Un the caldo con quarantacinque gradi fuori non era sicuramente il massimo, ma lei lo aveva accettato volentieri. E si vedeva anche da lontano che c’era qualcosa che le prudeva, qualcosa che voleva far uscire, voleva parlare. Si mordicchiava le labbra e ogni tanto avvicinava la tazza calda alla bocca, senza però berne il contenuto.

«Sono venuti a chiedermi il pizzo» ha esordito. Mia madre poi ha iniziato come al solito a darsi i pizzicotti alle guance urlando «Maronna mia!». Io, sinceramente, non capivo affatto la scena. Insomma, che c’era di male in questo pizzo? Erano venute a chiederglielo sicuramente le signore che frequentavano il suo negozietto chiuso da poco. Forse, se lei avesse portato almeno qualche abitino di pizzo o anche solo qualche camicetta col colletto di pizzo, la situazione si sarebbe risolta. Veronica era una donna molto fragile e problematica, ma mia madre di certo non la incoraggiava a migliorare. «E adesso come faccio? Il pollo era sicuramente per me! Vogliono il pizzo, ne sono sicura. Ma io non posso assolutamente darglielo… ho anche chiuso il negozio, cosa devo fare?». Io continuavo a rimanere molto perplesso e pensavo che queste signore, che volevano così tanto questo benedetto pizzo, potevano comprarlo in qualche altro negozio, senza importunare la signora Veronica che mi sembrava devastata da tutto questo.

«Sarebbe meglio andare alla polizia con Rosario che ci potrà aiutare, che ne dici piccirì? Vedrai che qualcosa la risolviamo. Intanto forse è meglio se inizi a mettere qualche soldo da parte». Si vedeva che mamma non era troppo sicura di quello che diceva e lo diceva anche con un certo timore. Ma Veronica sembrava non vedere e nemmeno sentire l’insicurezza della mia genitrice, e si beveva tutto quello che diceva, apparendo molto più rassicurata. Mentre andavano via, sono rimasto solo a pensare, cercando di trovare un filo logico. Il pollo era stato messo davanti alla nostra finestra (per sbaglio) da delle signore impazzite che volevano a tutti i costi che Veronica vendesse il pizzo nel suo negozio, come segno di minaccia. La cosa non mi quadrava affatto, ma mi sembrava una spiegazione più concreta di quelle che gli altri vicini mi avevano dato. Forse il caso era risolto? Era il momento di lasciare tutto nelle mani di Rosario? Mentre disegnavo dei polli vestiti di pizzo, mi sono deciso: andare da Rosario e lasciargli i miei appunti era la cosa migliore. Così ho di nuovo salito quella lunga fila di scale, col mio taccuino in mano, contento che tutto si era risolto, anche senza che io avessi capito tutto fino in fondo. Ma si sa, capire è una cosa da grandi, io avevo tutto il tempo ancora per imparare.

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