La strategia della politica social e l’importanza della libertà di stampa

Un cambiamento radicale è avvenuto nella comunicazione politica. Sono finiti i tempi in cui gli esponenti del governo si esprimevano in burocratese e parlavano di concetti astratti. Addio anche alla priorità dei canali di comunicazione ufficiali, come note dei ministeri e conferenze stampa. Ora il lessico è basilare e chiaro, e anche l’ufficioso Twitter è stato superato in favore di un social network più popolare: Facebook. È il regno di Luigi di Maio, 2 milioni di seguaci, e di Matteo Salvini, passato dai 18.000 follower del 2013 ai 3,1 milioni di oggi, diventando così il politico più seguito d’Europa. Ma come hanno fatto a raggiungere questa audience?

Rivoluzioni

I due vicepremier lasciano indietro altri leader come Renzi e Berlusconi, che si fermano a quota 1 milione. Mentre lo scorso protagonismo del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si riflette sul suo seguito nelle piazze virtuali, dove non raggiunge il milione. L’unica anomalia nel quadro dei seguaci, qui sotto riportato, riguarda i follower su Twitter di Matteo Renzi: 3,3 milioni. La spiegazione è semplice, ed è da ricercare nel fatto che i cinguettii erano la forma di comunicazione più gettonata dai politici nei governi precedenti e lui è sempre stato un leader che attira l’attenzione su di sé.

La classifica social
L’elenco dei followers dei principali leader politici.

Ma veniamo a noi, e alla recente svolta social della politica. Il primo da menzionare è lui, Luca Morisi. Anche se tanti non sanno nemmeno chi sia, c’è lui dietro al successo online di Salvini, a cui si è accodato Di Maio. Ha conosciuto il vicepremier leghista nel 2013, e ora è il capo della task force per la comunicazione del Viminale. Ha capito che la gente comune naviga su Facebook, non su Twitter, e per primo ha sfruttato questa intuizione. Consapevole che vengono preferite delle immagini corredate da semplici testi, piuttosto che post simili ad atti giudiziari. Ha sfruttato la diretta Facebook e la condivisione di video per innescare discussioni su temi caldi. E non trascura nemmeno gli altri social principali, Twitter e Instagram, arrivando a una copertura capillare di tutti gli strati sociali. Fino a dettare l’agenda al pari di un grande quotidiano.

Le squadre

Luca Morisi, 44 anni, è dottore di ricerca in Filosofia ed ex consigliere provinciale della Lega a Mantova. Dal 2009 è titolare, assieme al socio Andrea Paganella, della Sistema Intranet srl, che ha firmato un contratto da 170 mila euro l’anno con la Lega. Inizialmente si offre a Salvini come esperto del web, ma in poco tempo quest’ultimo ne fiuta il talento e lo promuove a suo principale consigliere mediatico. Grazie a un sistema informatico di sua invenzione e da lui denominato La Bestia, analizza il flusso dei dati sulla rete e imbecca il vicepremier sulla polemica o la dichiarazione che può diventare virale sui social. La task force mediatica del Viminale conta ad oggi una decina di componenti, tra cui anche Leonardo Foa, figlio del Marcello candidato alla presidenza della Rai.

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Il gruppo che cura la comunicazione del ministro dell’Interno sui social netowrk.

Nella casa digitale del Movimento 5 Stelle, invece, sono Pietro Dettori e Rocco Casalino a farla da padroni. Rispettivamente il capo della comunicazione e il responsabile dei social media per il partito grillino. Ma non sono pienamente autonomi: hanno un rapporto strettissimo anche con Davide Casaleggio, presidente della società omonima e dell’Associazione Rousseau, la piattaforma operativa del M5S. Figlio del cofondatore del Movimento, è proprio lui a dare l’ok definitivo alle strategie comunicative di Di Maio. Dettori, da parte sua, ha curato per anni il blog di Grillo e realizzato i siti moltiplicatori di notizie come La Fucina e Tze-Tze. Ora si occupa del successo delle pagine social dei componenti del partito, lavorando sugli algoritmi per diffondere al massimo il verbo.

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Pietro Dettori e Rocco Casalino, i social media manager del M5S.

La strategia della Lega

Tutto il lavoro dello staff social di Salvini è fatto seguendo i “dieci comandamenti” di Morisi. Far sembrare che i post di Salvini li scriva sempre lui stesso e che gli piaccia molto questo lavoro di interazione. Zero pause, post tutti i giorni; commentare i fatti appena accadono; punteggiatura sempre uguale, con accorgimenti percettivi (maiuscole e blocchetti). Pubblicare i contenuti a orari prestabiliti, su più pagine affiliate e allo stesso tempo monitorare le reazioni, per aggiustare eventualmente il tiro. Testi semplici e brevi, “call to action”, ridondanza; leggere i commenti e a volte rispondere, fare sondaggi al volo, su temi seri ma anche no. Sconfinare spesso in ambiti extra-politici. Cross-medialità, cioè presenza costanze in tv, rete e territorio.

Morisi e soci solo su Facebook scrivono e promuovono in media 80-90 post a settimana, contro i 60 di Luigi Di Maio e i 10 di Matteo Renzi. Uno dei trucchi più importanti è utilizzare sempre le stesse parole, colloquiali: “Amici” (A sempre maiuscola), “alla faccia di…”, “non si molla di un millimetro”, e varie emoticon. Poi si usano slogan semplici e comprensibili a tutti. Ed epiteti come “Capitano”, inventato proprio da Morisi, per appellare il leader del Carroccio sui social. Post con duri attacchi si alternano con post più pacati e spesso non a sfondo politico, in un continuo sovrapporsi di pubblico e privato. Morisi cavalca gli algoritmi di Facebook e mette in campo strategie per massimizzare visualizzazioni ed engagement.

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Due post sulla pagina Facebook di Matteo Salvini: quello a sinistra è del 17 settembre, quello a destra del 16 settembre.

La strategia del Movimento 5 Stelle

Per diffondere efficacemente la notizia dell’abolizione del cosiddetto Air Force Renzi, Di Maio ha deciso di girare lo spot direttamente dentro all’aereo. Ebbene, il video ha ottenuto in pochi giorni oltre 5 milioni e mezzo di visualizzazioni sulla pagina di Di Maio, ma prendendo in esame tutte le pagine grilline si superano ormai i 10 milioni. La risposta di Renzi, messa a punto insieme al social media manager del partito, Alessio De Giorgi, evidenzia però la differenza tra l’abilità dell’apparato propagandistico del governo e quello dell’opposizione. Nel video, con molte meno visualizzazioni, il leader dem si difende assiso dietro a una scrivania, mostrando in bella vista proprio il modellino dell’Airbus. L’effetto finale è quello di un autogol.

Un altro esempio negativo potrebbe essere Toninelli, che il 15 settembre ha pubblicato su Instagram una foto in cui appare sorridente dal suo parrucchiere. Il problema però era l’infelice didascalia: «Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere». Non è stata una bella idea quella di ironizzare sulla ipotetica revoca della concessione ad Autostrade e di conseguenza sulla tragedia del ponte Morandi. È stato lui stesso finora a dare il maggior contributo per il danneggiamento della sua immagine. A cominciare da quella foto che pubblicò su Facebook nei giorni della trattativa sul Contratto di governo, accompagnata da una sventurata frase: «Questa foto forse può dimostrare la massima concentrazione con cui stiamo affrontando questa importante missione». E così da quel giorno, per molti, lui è “il concentrato”.

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Il post che costò a Toninelli le canzonature del web.

La libertà di stampa è democrazia

Nessun governo è immune dalla paranoia del “tutti contro di me”. L’elenco dei leader politici che hanno esternato la loro avversione per la critica giornalistica è universale, dai “gufi” di Renzi ai giornalisti “criminosi” di Berlusconi. Ma nel mondo occidentale nel quale viviamo, la vitalità dei giornali è considerata un indice di civismo. «L’incondizionata libertà di stampa costituisce elemento portante e fondamentale della democrazia – ha affermato in questi giorni il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo. Tale consapevolezza guidi le istituzioni». Difficile, davanti a queste parole, non cogliere un avvertimento a quanti tentano attacchi per delegittimare la stampa «nemica».

Basta pensare al vicepremier Luigi Di Maio, che sul blog delle Stelle ha scritto: «l’odio dei media nei nostri confronti è l’elemento di continuità dal 2014 a oggi. Ma anche per loro sta arrivando il momento di dire addio ai finanziamenti pubblici indiretti da parte delle aziende partecipate dello Stato». O al sottosegretario Vito Crimi, che annuncia la «fine della pacchia», minacciando lo stop ai fondi pubblici per la stampa (che tuttavia mancano già da molti anni per i grandi giornali). Ma se «ammutolire i critici e la stampa avversa è la soluzione più naturale» scrive il giornalista Vittorio Zucconi, «così, giorno dopo giorno, giornale dopo giornale, boccheggia e muore non la libertà di stampa, ma la libertà di tutti, garantita meglio dal più scalcagnato e fazioso dei critici che dal più brillante degli adulatori».

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L’Italia è al 46° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa di Reporters sans Frontieres.

Forse in molti non hanno mai sentito parlare delle “veline” di Mussolini durante il ventennio fascista. Erano istruzioni inviate quotidianamente alle redazioni per indicare loro cosa e come dovevano scrivere, tacendo le notizie negative e la cronaca nera. Questa era la libertà di stampa quando il governo controllava i media: un esempio che dovrebbe farci capire l’importanza del diritto a diffondere e ricevere un’informazione libera e documentata.

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