David Hockney, l’artista vivente più costoso al mondo

È stato venduto per 90,3 milioni di dollari il quadro record di David Hockney. Si tratta di Portrait of an Artist (Pool with Two Figures), del 1972, che la sera del 15 novembre 2018 è stato venduto all’asta da Christie’s a New York. Ora il britannico è l’artista vivente più caro al mondo. Il suo record personale era di 30 milioni, ma i sempre più frequenti riconoscimenti da parte dei musei più importanti del mondo, tra cui Tat, Met e Pompidou, hanno alzato le quotazioni in modo esponenziale. A mettere in vendita il dipinto di Hockney è stato il miliardario Joe Lewis, collezionista che possiede anche opere di Picasso e Matisse.

Chi è David Hockney

Ottant’anni passati, icona gay, una carriera di sessanta anni alle spalle, con il suo particolare stile è diventato un maestro della Pop Art. È l’artista più pagato grazie a un’opera sulla vita emotiva di una coppia omosessuale, la sua, un tema non proibito nell’arte, ma poco frequente a un prezzo così alto.
David Hockney è nato a Bradford, nello Yorkshire, nel 1937. Si era già fatto una reputazione a livello nazionale a 26 anni, quando tenne la sua prima personale. E probabilmente non c’è un’artista britannico che abbia attirato tanto la stampa e abbia collezionato un numero tanto alto di interviste. Sul suo lavoro, poi, sono stati prodotti diversi cataloghi.

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David Hockney davanti a ‘Bigger Trees Near Water’, nel 2007 .

Scegliere tra arte astratta e figurativa

Hockney si ribella alle definizioni e ai limiti accademici: è la sua esperienza diretta a suggerirgli spunti per le opere. Nella sua vita viaggia molto e si lascia ispirare da ciò vede e da chi incontra. Dagli anni Settanta visita l’Italia, la Germania, la Svizzera e l’Egitto. Non è solo pittore, ma anche fotografo e incisore.
In Inghilterra cresce in un ambiente artistico conservatore, studiando alla Bradford School of Art tra il 1953 e il 1957. Lì riceve una formazione fondata sul rispetto per l’osservazione dal vero e per il disegno come unico metodo per trasferire alla tela le sensazioni percepite. Per il giovane David si pone un dilemma: seguire la tradizione figurativa o virare verso l’astrazione? Nell’impasse, risolve il problema con un prodotto ibrido: i quadri astratti contengono forti allusioni letterarie.

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Portrait Surrounded by Artistic Devices, David Hockney, 1965, Arts Council Collection.

Negli anni Sessanta l’artista ritrae anche nature morte e può sembrare che sia un’altra volta sul punto di eliminare i riferimenti figurativi. Ma questi dipinti non sono delle quasi-astrazioni, ma immagini sull’astrazione. Hockney dà così alle opere un contenuto che era assente in quelle non rappresentative dell’inizio degli anni Sessanta. Sono le sue più pure affermazioni sullo stile in quanto soggetto.
Al College si è occupato dell'”aspetto delle cose” soprattutto tramite il filtro stilistico. In California, invece, è molto più interessato all’aspetto specifico di oggetti e luoghi. Così, negli anni Settanta, rivendica una libertà di movimento che s’ispira direttamente a Picasso. Come l’anziano maestro, mette in contrasto diversi stili all’interno di una stessa immagine, elaborando una sua forma visiva per la realtà percepita.

Pittura e fotografia a confronto

«Credo che i fotografi abbiano la tendenza a pensare in due dimensioni – riflette l’artista –. Quando si guarda nel mirino si prende coscienza della cornice e della composizione dello scatto. Un pittore, invece, si preoccupa meno dei limiti dell’immagine: tiene conto della visione periferica e la include nel quadro». Negli anni Settanta la fotografia è il mezzo più usato dall’artista per impostare l’impianto compositivo, assieme a disegni e appunti. Non gli interessa la qualità dell’immagine, ma la possibilità di catturare un frammento di realtà: l’espressione di un volto, l’atmosfera dei luoghi. Così le sue fotografie sono formate dalla sovrapposizione di più stampe. Lo sguardo pittorico, che supera i limiti del formato, non si accontenta di ciò che viene colto dall’obiettivo. Ed è incline a dare a quei particolari che sono ai margini un fuoco analogo a quello dei soggetti centrali.

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Autoritratto, Serie “Joiners” (combinazione di foto Polaroid), David Hockney, primi anni ottanta.

Ritratto di un’artista (Piscina con due figure)

La stretta connessione tra le fotografie e i dipinti degli anni Settanta è evidente in molti esempi. Tra questi, Portrait of an artist (Pool with two figures), l’opera dal prezzo record. I problemi formali, quali l’impianto della composizione e la scelta della luce, qui sono risolti attraverso una lunga indagine fotografica sul soggetto prescelto. Hockney esegue molte riprese in diverse ore del giorno, con lo scopo di studiare le variazioni dell’ombra, della rifrazione della luce e la trasparenza dell’acqua nella piscina. Il personaggio sul bordo, Peter Schlesinger, tiene lo sguardo fisso verso la piscina, quasi a indicarci quale sia il soggetto principale. Al centro c’è il nuotatore, interpretato da Nick Wilder, e la distorsione del suo corpo data dal movimento dell’acqua.

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“Portrait of an artist (Pool with two figures)”, David Hockney, 1972, acrilico su tela. 84 x 120 in (2,1×3 m).

In un certo senso questa è un’istantanea-ricordo dell’esperienza dell’artista in America e, specificatamente, della subcultura omosessuale di Los Angeles. Peter, uno studente che Hockney aveva conosciuto insegnando all’UCLA, era il suo nuovo partner. E Nick, il proprietario della piscina, era un mercante specializzato in arte contemporanea con cui l’artista aveva vissuto quell’anno. L’artista è libero di suggerire la profondità spaziale senza rinunciare alla realtà letterale dell’immagine. Questo dipinto, quindi, non è la mera trascrizione d’una singola fotografia.
Dagli anni Ottanta l’interesse predominante di Hockney diventa lo studio del modo in cui i nostri occhi immagazzinano dati visivi, che il cervello, poi, interpreta in termini di distanza e di forma tridimensionale. In questa ricerca il suo strumento principale è stata la macchina fotografica.

La serie delle piscine

Una delle serie più importanti della produzione di Hockney è quella delle piscine. Nello specifico tre quadri realizzati tra il 1966 e il 1967: The little splash, The splash, A bigger splash. In questi risulta evidente il rapporto tra l’immagine pittorica e l’immagine fotografica. Il soggetto, poi, è ripreso da un libro che spiega come costruire piscine.
Tra le variazioni, vengono eliminati i particolari superflui e la composizione tende a sbilanciarsi su linee costitutive elementari. Quindi una scena ridotta all’essenziale, come se l’artista volesse evidenziare l’evento centrale, lo schizzo d’acqua provocato da un tuffo nella piscina. «Ho impiegato due settimane per dipingere un evento che dura due secondi – racconta –. Quando si vede uno spruzzo d’acqua dipinto è ancora più impressionante che non vederlo fotografato, perché si sa che una fotografia si può scattare in un secondo o anche meno. L’acqua infinitamente volatile diventa un’esplosione catturata».

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“A Bigger Splash”, David Hockney, 1967, Tate Modern Museum, acrilico sul tela,2.4x 2.4 m.

Le nuove tecnologie nelle opere recenti

Negli ultimi anni l’artista britannico, pur restando legato alla figurazione, decide di esplorare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Così prova a creare opere usando l’iPhone e l’iPad sin dal loro arrivo sul mercato, rispettivamente nel 2008 e nel 2010. La compattezza e la portabilità dei dispositivi, infatti, consentono all’artista di lavorare in modo immediato e estemporaneo. Ed ecco che ora si ritrova a catturare paesaggi, nature morte e scenari nel momento stesso in cui li sperimenta.

Sin da quando era giovane, Hockney si è trovato sotto i riflettori della scena artistica contemporanea. Ma la popolarità e il successo commerciale, anche se non hanno distrutto la sua integrità, si sono tuttavia dimostrati una forza inibente durante la sua carriera. «Viene un momento in cui consideri cosa irrilevante essere un artista famoso per la gente – ha concluso –. Ma non è facile fare i conti con la popolarità».

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