Alessandro Iori, la telecronaca e la figura guida del giornalista

Tra i telecronisti più attivi e ormai riconosciuti del calcio moderno, Alessandro Iori ha saputo ritagliarsi un suo importante spazio dopo anni di gavetta, sudore, sacrificio. Adesso, per la pay tv DAZN, continua a regalare emozioni ai tifosi di tutta Italia (e non solo). Proprio con lui, oramai affermato professionista del settore, abbiamo proseguito la nostra indagine già iniziata con il punto di vista di Raffaele Auriemma sulla telecronaca e il modo di raccontare eventi sportivi, specialmente quelli calcistici, da sempre affascinanti e carichi di significato.

Alessandro Iori su telecronaca, tormentoni e gol da ricordare

Da quando hai iniziato, cosa è cambiato nel mondo della telecronaca?

«Non sono più particolarmente giovane, ho compiuto quarantuno anni. Ho iniziato con una radio di Reggio Emilia io sono emiliano, originario della provincia di Reggio in particolare con una radiocronaca della Reggiana dell’8 marzo 1998. La partita era appunto Treviso-Reggiana, finita 0-5. Sono più di vent’anni che tra radio e televisione faccio questo mestiere. Il vero cambiamento credo sia stato con l’avvento delle pay-tv. Io mi sono inserito in una tendenza già in compimento, che ora ha un approccio più enfatico e partecipato rispetto alla tradizione precedente e istituzionale della Rai, con racconti molto più asciutti dal punto di vista emotivo. Ora ci sono più partecipazione ed enfasi. Prima era molto netto il confine tra radiocronaca quindi linguaggio descrittivo che suggeriva l’azione che non si poteva vedere e telecronaca. Adesso c’è necessità di avere molta enfasi: a volte le telecronache diventano radiocronache per quanto sono ricche di parole, infatti spesso paiono ridondanti rispetto all’immagine che lo spettatore può avere a disposizione. Bisognerebbe, invece, essere bravi per guidarlo nella scelta di qualche dettaglio in più, anche se questo è un esercizio particolare. Le pause in questo senso sono importantissime, sono parte del racconto. Anche i silenzi hanno un’importanza fondamentale, così come ce l’hanno nella musica. Si tende invece a riempire molto negli ultimi anni. A difesa di una telecronaca più essenziale ci sono senz’altro Sandro Piccinini che io considero un maestro e un riferimento e Massimo Callegari, che hanno uno stile quasi fuori tempo ma che in realtà denota un controllo della partita davvero raro».

Quanto abbiamo ascoltato di Alessandro Iori persona in queste telecronache negli anni e, nello specifico, quanto è giusto far ascoltare sé stessi al telespettatore?

«Credo che in una telecronaca sia giusto portare la propria partecipazione ed emotività ma anche un certo background extrasportivo, con riferimenti che possono essere cinematografici, musicali, storici o letterari. In telecronaca si portano una serie di nozioni che vanno ben oltre lo sport: credo siano cose che possano arricchire il racconto. Anche saper riconoscere la melodia di un coro com’è capitato a me durante una partita di Championship credo sia un plus importante da offrire agli spettatori».

Il gol più bello ed emozionante che ti sia capitato di raccontare?

«Quello di Sergi Roberto contro il PSG è senza dubbio il più emozionante. Io generalmente in telecronaca mantengo un certo controllo ma in quel caso no, è stata un’impresa epica e leggendaria, forse andava raccontata così. Fu una cosa inattesa, impossibile, un 4-0 in Champions League non era mai stato rimontato. Peraltro, tre gol del Barcellona arrivarono negli ultimi otto minuti di gara. In quel caso mi sono emozionato come mai nella mia carriera. Ogni tanto riguardo quel gol, una bella scarica di adrenalina ancora oggi. Per quanto riguarda il gol più bello, l’anno scorso ho avuto la fortuna di raccontare il gol in rovesciata di Cristiano Ronaldo contro la Juventus. Ricordo anche di averne raccontati tanti di Totti. Già nel mio primo anno a Mediaset Premium raccontai il pallonetto a San Siro contro l’Inter, dopo una grande azione personale. O anche, l’anno dopo, il sinistro al volo contro la Sampdoria e, in seguito, la semirovesciata nel Derby. Nei miei gol più belli c’è tanto Totti».

Quali sono i gol che, invece, avresti voluto commentare?

«Credo che siano gol delle finali. Magari quello di Milito contro il Bayern Monaco in Champions League. Così come anche i gol di Grosso, in semifinale a Dortmund e in finale contro la Francia. Anzi, forse più uno in semifinale: ai rigori, in qualche modo, il gol può essere un epilogo atteso. La rete contro la Germania, a due minuti dalla fine dei supplementari, credo sia stato il gol più emozionante da raccontare negli ultimi trent’anni».

Il telecronista è riconoscibile alle orecchie di un radio/teleascoltatore per via di un tormentone (e anche tu ne hai avuto uno): credi che sia uno strumento imprescindibile per essere compresi da chi guarda la partita?

«Non credo. Se viene, dev’essere una cosa che nasce spontaneamente e su cui dopo si può giocare. Se invece viene calcolata a tavolino risulta forzata. Il mio il gol, il gol, il gol! nacque per caso in un Lione-Real Madrid di Champions League e me lo sono portato dietro per un po’ di anni. Devo però dire che l’ho lasciato alle spalle: da quando sono a DAZN ho deciso di abbandonare quella coperta di Linus per sperimentare».

Cosa vedi nell’evoluzione del racconto sportivo in futuro?

«Difficile capirlo, perché il mercato è molto fluido, quindi bisogna anche valutare quale sarà l’offerta di sport in televisione. Io credo che si sia raggiunto un certo punto di saturazione oltre il quale sarà difficile andare e che sarà necessario adeguare il linguaggio ai nuovi media e all’immediatezza dei social network, senza però mai perdere la propria autorevolezza che si fonda su studio, approfondimento e sulla certezza degli argomenti che si portano nelle discussioni globali. In un mondo in cui i pareri tendono ad appiattirsi e le discussioni diventano sempre più urlate, credo che il ruolo del giornalista e nello specifico del telecronista sia quello di mantenere un distacco, figlio delle proprie competenze, in grado di guidare la discussione per non diventare parte della zuffa social che vediamo quotidianamente. Mi sembra che, tendenzialmente, il giornalismo sportivo adesso vada più dietro a quello che scrivono i social network piuttosto che guidare i temi e l’agenda di ciò di cui si dovrebbe discutere».

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