Carola Rackete e la “politica” (smarrita) del buonsenso

Ci sono eventi che, a dispetto di qualsiasi significato relativo, vanno a cambiare inevitabilmente i destini di un Paese, sottolineandone precarie incertezze o dubbiose retrospettive. L’arresto di Carola Rackete, capitano della Sea Watch, avvenuto questa mattina, può risultare un perfetto esempio di quanto descritto velocemente poc’anzi. Un evento che, nella sua immediatezza, seppur perfettamente coerente con la narrazione portata avanti in questi giorni dai principali artefici della politica italiana di maggioranza, cambierà tutto. Un fatto che andrà ulteriormente a spaccare un Bel Paese già ampiamente polarizzato sul tema dell’immigrazione (sui social e non solo c’è chi inneggia alla ragazza e chi, addirittura, le augura di essere violentata o uccisa dalle stesse persone salvate) e che rende l’Italia – almeno ufficiosamente o formalmente – una Nazione ormai (quasi) inospitale per chi ha scelto di mettere al primo posto coraggio, umanità e accoglienza. Uno Stato plasmato dai valori della Resistenza e dalla lotta a potenti che non stavano nel giusto finisce per punire una ragazza che, con la forza dell’integrazione e della cultura, ha provato a stare invece dalla parte corretta della Storia contemporanea.

Come tanti prima di lei, nei passati burrascosi che hanno avvolto non solo l’Italia ma il mondo intero, Carola Rackete ha violato una legge che da molti è però ritenuta ingiusta e non congrua. Sarà ovviamente giudicata per questo e, di conseguenza, verrà messo in dubbio – implicitamente o meno – il senso di ogni sforzo per salvare, con responsabilità, vite umane destinate alla mattanza dell’incoerenza e di un finto immobilismo politico-burocratico. Nel frattempo, però, tanti sulle nostre coste sbarcano comunque (checché se ne dica) e la vita procede senza clamore mediatico, senza slogan (o, almeno, si spera), senza arresti e senza casi montati ad hoc da chi ancora non ha compreso che si può governare senza per forza fare una sfrenata propaganda.  E a chi non ha perso occasione di tratteggiarla, tra giornali e tweet, come “eroina di sinistra, viziata figlia di papà con i rasta”, volendo dunque proporre una narrazione monodirezionale se non addirittura distorta, non possiamo che consigliare di rivedere alcuni concetti ormai andati perduti, tra i quali quelli di una deontologia professionale che – forse – dovrebbe essere parte integrante del mestiere, in questi tempi in cui per raccontare qualcosa bisogna per forza modificare, calpestare, impantanare l’oggettività. Perché l’unica “politica” che bisognerebbe sostenere, al giorno d’oggi, risulta quella del buonsenso. L’unico schieramento di cui, a prescindere dalle idee, sarebbe necessario far parte, tutti insieme.

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