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Spettacolo

Il narratore del Novecento: Svevo e Pavese

Published by
Bianca Coluccio

Perché il narratore

Considerare il Novecento come il secolo breve o il secolo lungo lascia decisamente il tempo che trova. Soprattutto in letteratura quando, al di là di ogni denominazione di sorta, è impossibile non concordare sugli sconvolgimenti morfologici che investono il testo. Più interessante ancora si rende quest’analisi quando si decide di accostare e confrontare Italo Svevo, e il suo Senilità, a Cesare Pavese con La casa in collina. L’uno e l’altro, infatti, vivono un momento storico quantomai complesso. Considerare il narratore dell’uno e dell’altro romanzo non significa dare luogo a una giustapposizione né creare un confronto che lascia il tempo che trova. La modernità dei romanzi non è infatti da intendersi come semplice connotazione figlia dei tempi, ma come una delle chiavi di lettura a cui il romanzo novecentesco si presta. Ed è in quest’ottica che trova ragione l’attenzione nei confronti del narratore e del suo rapporto col personaggio.

Leggi anche: Rayuela. Nel labirinto di Julio Cortazár.

Italo Svevo e il romanzo sperimentale

Il grande romanzo ottocentesco di matrice storica o naturalistica è allo stesso tempo inattuale e inattuabile.  Le verità alle quali perveniva non sono neanche più auspicabili adesso: Freud ha dimostrato quanto poco l’uomo conosca di sé stesso, la teoria della relatività ha scardinato completamente le categorie di spazio e tempo, Bergson ha tracciato la distinzione netta tra tempo e durata. Senilità contiene al suo interno tanto caratteristiche puramente novecentesche quanto ancora tipicamente ottocentesche. Le une e le altre appartengono allo sguardo indagatore del lettore. È un romanzo che guarda ai modelli naturalistici e tardo-romantici ma allo stesso tempo è vicinissimo a quell’abbandono del canone precedente che la modernità non mancherà di imporre.

Uno dei caratteri che evidenziano la modernità di Senilità è certamente il rapporto che il protagonista Emilio intrattiene con la voce narrante. La prima osservazione da fare è la rinuncia in Senilità di alcuni motivi di ispirazione tipicamente ottocenteschi: il racconto non conclude nel solito solco del racconto di formazione a causa di un bovarismo imperante nel romanzo.

Nonostante le frequenti incursioni del narratore, i commenti che egli rivolge a Emilio non propongono un modello di comportamento alternativo né lasciano intendere quale sia il suo quadro di valori di riferimento. Questa osservazione, lungi dal dimostrare la gratuità dei giudizi, vuol lasciare intendere quanto in verità Senilità sia una sorta di requisitoria che specificamente si riferisce a un certo modello di comportamento, un certo atteggiamento esistenziale. Scrive Savelli nell’introduzione:

Emilio dovrebbe essere, in effetti, un altro – e non solo comportarsi altrimenti caso per caso. Il compito che si assume il narratore non consiste nel ristabilire, a favore del lettore, una verità che il protagonista nega o ignora, e che il lettore non potrebbe scorgere se il suo sguardo passasse solo per il punto di vista del protagonista stesso. Il narratore, piuttosto, contesta a Emilio la sua stessa natura, diventando così, all’interno del testo, una istanza radicalmente antitestuale: se Emilio fosse come lui lo esige, non ci sarebbe niente da raccontare. […] La voce del narratore emerge come tale solo nel momento della polemica, scomparendo altrimenti nel filo dei pensieri del protagonista. Di solito (l’unica eccezione, forse, sono le prime pagine del capitolo) il commento del narratore è inserito proprio in una piega del discorso indiretto libero di Emilio […] in alcuni casi risulta difficile distinguere le due voci, tanto sono intrecciate in un unico tessuto discorsivo e tanto intima appare la loro relazione

Pavese narratore: la tensione interno-esterno

Cesare Pavese, incarnando la figura dell’intellettuale impegnato, riesce a definire un nuovo rapporto che leghi la cultura al mestiere. La posizione di Pavese come redattore per Einaudi, dunque, va da sé. L’idea è quella di non escludere dalle offerte alcun tipo di lettore, di avvicinare in questo modo quanto più possibile le persone all’oggetto libro, in un meccanismo che conduca poi all’avvicinarsi alla cultura in genere, al crearsi una consapevolezza autonoma perché culturale. Una posizione, quella di Pavese, talmente onesta e talmente forte da procurargli degli attriti con Muscetta e Martino durante la realizzazione della Collana Viola: i collaboratori di Pavese non vedono il valore scientifico delle opere contestate, notano piuttosto lo stridore con l’ideologia comunista. Ma ciò a cui Pavese  mira è la creazione di una letteratura inclusiva, fruibile non solo da un pubblico specializzato.

La dimensione esistenziale-personale coincide quindi con quella politico-collettiva, in una corrispondenza che trova dove riflettersi anche nella produzione letteraria. Quando Pavese scrive la guerra è finita da poco ma il senso di colpa è ancora bruciante: Pavese, per sfuggire ai bombardamenti, si è trasferito da Roma a casa della sorella, sulle colline del Monferrato. Già a partire da questo dato è evidente che esista un punto di contatto almeno biografico tra narratore e personaggio.

Ma lungi dal considerarsi una mera trasposizione autobiografica, la storia de La casa in collina è più simile al luogo letterario dello scontro tra ritiro contemplativo intellettuale e partecipazione attiva alla storia comune, con le sue urgenze. In questa prima sensazione di colpa pare trovarsi il più vistoso punto di contatto tra Corrado, il protagonista, e Cesare. Corrado è certamente il professore che per sfuggire ai bombardamenti della guerra si trasferisce da Torino in collina, presso la casa di Elvira e di sua madre.

Se si tralascia il riscontro autobiografico, il racconto non è altro se non la fedele registrazione dell’atteggiamento dell’intellettuale borghese durante la guerra. Ed è lo stesso Pavese a delineare perfettamente la natura di Corrado, rispondendo a un testo di Rino dal Sasso:

il personaggio di Corrado, oltre alla viltà davanti all’azione, rappresenta anche l’estremo problema di ogni azione – l’angoscia davanti al mistero. Discutibile sarà l’aver fuso i due motivi in un’unica persona (benché non ne sia convinto), non certo – mi pare – averli sentiti come una realtà di oggi.

Il punto di contatto

Pare quindi che sia questa stasi il reale punto di contatto tra la figura di Corrado e quella di Emilio. Tanto ne La casa in collina quanto in Senilità si è davanti a protagonisti tacciabili di un immobilismo che tuttavia affonda le sue radici in motivazioni diverse. Emilio è vittima di quella senilità preannunciata dal titolo che il narratore altro non fa che evidenziare con le sue incursioni nella vicenda.

L’inerzia di Emilio è denunciata dalla voce narrante, talvolta in maniera evidente, altre volte in maniera quasi subliminale, tramite insinuazioni che non cadono subito sotto l’occhio del lettore ma che piano piano cooperano a creare nella sua coscienza la sensazione di un delirio di immobilità. Diversamente, il narratore de La casa in collina è l’autore stesso che cerca nella retrospezione la chiave dell’introspezione. La pratica della scrittura non riesce ad essere un’esperienza catartica: né Pavese né Corrado risultano assolti e liberati dal loro senso di colpa.

Tanto Corrado quando Emilio credono di trovarsi ancora nel proprio periodo di preparazione.

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Bianca Coluccio

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