L’11 gennaio 2020 i ventiquattro milioni di abitanti della Repubblica di Cina, meglio conosciuta informalmente come Taiwan, andranno al voto per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica e per il rinnovo del parlamento, lo Yuan Legislativo.
Da una parte la Repubblica Popolare Cinese, mai così forte e con uno Xi Jinping che ha dichiarato, non più tardi di qualche mese fa, che Taipei verrà riannessa allo stato centrale perchè questo è ciò che vuole la Storia e che non esclude «l’uso delle forza» per fare «tutto ciò che è necessario» a combattere «le forze esterne e il modesto numero di separatisti» che vogliono l’indipendenza.
Dall’altro lato gli Stati Uniti, da sempre alleato di Formosa in funzione anti-pechinese e obbligati da una legge del Congresso degli Anni Settanta, il Taiwan Relations Act a difendere l’isola in caso di attacco da parte della Repubblica Popolare, che negli ultimi mesi, sotto l’amministrazione Trump e contrariamente al generale abbandono diplomatico del resto dei paesi occidentali, ha visto un aumentare degli scambi con il governo di Taipei, soprattutto per ciò che riguarda gli armamenti militari, tra cui 66 caccia F-16 di produzione statunitense.
I candidati principali che combattono per il governo dell’isola del Mar Cinese sono tre.
Tsai Ing-wen (DPP; Centro-sinistra | Liberale), Presidente della Repubblica di Cina in carica.
Avvocato, Tsai ha servito per la Commissione sul libero scambio e il Copyright, come consulente per il Consiglio degli affari con la Terraferma e per il Consiglio della Sicurezza Nazionale di Taiwan.
Nel 2000 Tsai è stata eletta a capo del Consiglio degli affari con la Terraferma, per poi unirsi al Partito Democratico-Progressista nel 2004.
È stata eletta, sempre nello stesso anno, in Parlamento e ha servito come capo del Partito dal 2008 al 2012 e nuovamente dal 2014 al 2018.
Tsai ha corso, perdendo, per le presidenziali del 2012, per poi concorrere nuovamente nel 2016 e vincerle, diventando la prima donna Presidente di Taiwan.
La Presidente è diplomaticamente schierata a favore del mantenimento delle attuali relazioni con gli Stati Uniti e a favore di un aumento della capacità militare della Repubblica.
Han Kuo-yu (KMT; Destra | Nazional-Conservatore)
Han è il candidato del partito nazionalista del Kuomitang.
È stato eletto in Parlamento nel 1992 come indipendente ed ha servito come deputato fino al 2002.
Ha corso, senza successo, alla carica di leader del partito nel 2017 arrivando quarto e nel 2018 è stato eletto sindaco di Kaohsiung, posizione che ancora detiene.
Le politiche chiave di Han includono la difesa della Repubblica di Cina e dei suoi valori tradizionali, tramite la promozione della cultura storica cinese, e il mantenimento della democrazia e della libertà di Taiwan.
Supporta un aumento della spesa pubblica per il Labor Insurance Fund e un incremento degli scambi economici con la Cina continentale.
Ciononostante, Han si oppone al firmare un trattato di pace con Pechino fintanto che resiste il rischio potenziale di un’invasione di Taiwan da parte della Repubblica Popolare.
James Soong Chu-yu (PFP; Centro-destra | Conservatore)
È il candidato alla carica presidenziale del Partito Prima il popolo.
Soong è stato il segretario di lingua inglese del Premier Chiang Ching-kuo dal 1974 al 1979 ed il direttore generale dell’Ufficio dell’Informazione del Governo dal 1979 al 1984.
Segretario generale del Kuomitang dal 1989 al 1993, ha corso infruttuosamente come Presidente alle elezioni del 2000, dopodiché ha fondato il PFP.
Negli anni successivi si è candidato, senza grossi risultati, come vice-Presidente nel 2004, sindaco di Taipei nel 2006 e ha corso alle presidenziali del 2012 e del 2016.
Soong vorrebbe un ampliamento dei principi democratici dell’ordinamento taiwanese e un graduale avvicinamento a Pechino, con la speranza di raggiungere una futura unificazione delle due Cine sotto un unico governo democratico.
Stando ai sondaggi, la Presidente in carica, Tsai Ing-wen sarebbe fortemente vicina ad una rielezione.
Durante la campagna elettorale ha denunciato una serie di attacchi sessisti nei suoi confronti da parte dei concorrenti alla carica e anche una pressione cinese con una serie di fake news, a suo dire, commissionate dal governo di Pechino.
Chiunque sarà il vincitore, avrà una bella gatta da pelare nella gestione dell’ennesimo fronte della guerra a bassa intensità, commerciale e non, tra Washington e Pechino.
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