Le sfide geopolitiche del 2020

L’anno 2020 si è aperto con una violentissima crisi in Medio Oriente, che ha visto di fronte Iran e Stati Uniti impegnati a confrontarsi sul terreno dell’Iraq, e con le elezioni croate. Queste ultime hanno visto la vittoria del candidato sfidante, il socialista Zoran Milanović, eletto con una piattaforma europeista e relativamente favorito tra i giovani. La crisi mediorientale, invece, ha raggiunto il culmine della tensione quando un drone statunitense ha eliminato il generale iraniano Qassem Soleimani. La rappresaglia iraniana ha visto diversi missili balistici colpire le basi di Erbil e di Al Assad in Iraq, al momento occupate da militari americani. I missili sono caduti lontano dalle aree nevralgiche delle strutture e non vi sono stati morti o feriti tra i soldati americani, ma l’azione ha comunque permesso a Teheran di segnare un colpo da vendere alla propria opinione pubblica (fino a due settimane prima in rivolta contro il governo a causa del pessimo stato dell’economia, gravata dalle sanzioni) come vendetta per l’uccisione di Soleimani, tra gli uomini del regime più apprezzati dall’opinione pubblica.

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Qassem Soleimani, generale iraniano ucciso da un drone americano. Foto: Wikimedia.

Le elezioni chiave del 2020

Altra elezione già alle spalle è quella di Taiwan, che l’11 gennaio ha riconfermato la presidente uscente Tsai. Lo stato insulare estremo orientale è oggetto delle mire espansionistiche di Pechino, che lo considera come una provincia ribelle della Repubblica Popolare di Cina. Tsai è al secondo mandato da presidente e il suo primo mandato si è caratterizzato per una forte contrapposizione alla Cina continentale, attuata anche e soprattutto grazie al supporto degli Stati Uniti che intendono minare la supremazia dei cinesi nel Mar Cinese Meridionale.

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Tra le consultazioni che verranno durante quest’anno, la Slovacchia (29 febbraio) anticiperà la consueta concentrazione primaverile con le elezioni parlamentari, per vedere se la rinascita liberale iniziata con l’elezione di Zuzana Čaputová al seggio di presidente si confermerà anche a livello nazionale. Il 2 marzo sarà il turno di Israele, che cercherà di sbloccare l’impasse con la terza elezione della Knesset nel giro di un anno. Il 12 aprile il Nord Macedonia terrà le proprie elezioni legislative, cariche di tensioni create dagli attriti tra la componente albanese e quella macedone del paese. Il 26 aprile sarà il turno della Serbia, paese sempre diviso tra aspirazioni europeiste e tendenze russofile. Lo stesso giorno il Cile terrà il proprio plebiscito generale: una consultazione con lo scopo di definire la volontà della popolazione in merito alla stesura di una nuova Costituzione o meno. Maggio vedrà anche le consultazioni generali della Bolivia, in cerca di un nuovo esecutivo dopo quello di Evo Morales, e quelle della Repubblica Dominicana. Infine, il 3 novembre, si terranno le elezioni presidenziali americane: il candidato democratico deve ancora essere scelto e si dovrà scontrare con il presidente uscente Donald Trump, forte di un’economia complessivamente in crescita ma che sta mostrando segnali di flessione.

Trump dovrà riaffrontare una nuova elezione a novembre. Foto: Wikipedia.

Il 6 settembre 2020 vi sarà un altro referendum sull’indipendenza che potrebbe portare alla creazione di un nuovo stato: dopo la consultazione dello scorso anno che ha visto la vittoria dell’indipendenza a Bouganville, quest’anno sarà il turno della Nuova Caledonia, che al momento gode di uno status da “territorio d’oltremare” della Repubblica Francese, quindi con un regime notevole di autonomia. Secondo gli accordi di Noumea del 1998 la Nuova Caledonia avrebbe avuto diritto a tre referendum: il primo si è tenuto nel 2018 e ha visto la vittoria degli unionisti con il 56% delle preferenze. Uno ulteriore è stato convocato nella speranza delle forze indipendentiste di un cambiamento consistente nei sentimenti dell’elettorato. Un altro referendum per l’indipendenza si terrà anche a Chuuk per la secessione dalla Micronesia, ma in questo caso non vi sono precedenti accordi con il governo centrale e un eventuale voto può produrre diverse tensioni nell’arcipelago.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, anche quest’anno ci saranno due presidenze di turno del Consiglio (Croazia da gennaio a giugno e Germania da luglio a dicembre). Il 31 gennaio il Regno Unito uscirà dall’Unione: l’esecutivo di Boris Johnson avrà il compito di traghettare Londra in una nuova era, ma soprattutto di tenere unito il Regno, considerando gli spifferi secessionisti che soffiano da nord (Scozia) e da nord ovest (Irlanda del Nord). La stessa economia del Regno Unito subirà notevoli modifiche, secondo la maggioranza degli esperti, in senso restrittivo.

Un 2020 green

Sicuramente, anche nell’anno 2020 l’ambiente continuerà a essere un pilastro fondamentale del discorso politico, sia interno ai vari paesi che internazionale. La Liberia ha promesso di fermare il taglio degli alberi sul proprio territorio. In cambio la Norvegia ha promesso aiuti per 150 milioni di dollari. Il 2020 è stato definito inoltre dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite come un anno soglia per il cambiamento climatico e per la salvaguardia dell’ambiente in generale, con una conferenza già programmata il cui evento centrale si svolgerà a Kiev, ma che ospiterà i partecipanti solo online per ridurre l’inquinamento prodotto dagli spostamenti.

Il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keïta, in un incontro con l’ex Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini. Foto: Flickr.

Nuovi conflitti

Tra i dossier di politica estera che riguardano più da vicino l’Italia e che si svilupperanno nel 2020, la Libia è quello più urgente, con uno stato di conflitto interno al paese che perdura quasi ininterrottamente dal 2011. L’ingresso turco nel conflitto ha aumentate notevolmente le possibilità di una stabilizzazione della situazione, con Haftar che ha imposto alle proprie forze un cessate il fuoco già la sera dell’11 gennaio, ma con una rapida ricaduta dopo gli scontri di Sirte. La mediazione europea ha inoltre ripristinato il cessate il fuoco con prospettive migliori di quanto fatto in precedenza.  La fine delle ostilità è possibile solo con l’interessamento di ulteriori potenze, in quanto nessuno degli schieramenti in gioco ha la forza per prevalere. Per l’Italia è un’occasione persa che testimonia, una volta di più, la completa paralisi della nostra politica estera.

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In Siria la situazione rimane calda: sebbene lo Stato Islamico abbia ormai perso buona parte dei propri territori ed effettivi una completa ricomposizione del conflitto non è ancora in vista, e sebbene i maggiori attori ancora non abbiano trovato una soluzione per l’assetto del paese post guerra civile, il secondo ingresso turco nel teatro di conflitto sembra aver ricompattato gli animi, se non altro per quanto concerne curdi e governo di Damasco. Un’ulteriore area che minaccia di diventare parecchio instabile nei prossimi mesi sarà il Sahel. Per prevenirlo la Francia sta inviando truppe nella regione, in particolar modo in Mali che ha già dimostrato di avere una scarsa capacità di controllare l’interezza del proprio territorio derivante dalla vastità di quest’ultimo e dai numeri (notevolmente ridotti) del proprio esercito.

Anche per il 2020 lo scenario politico internazionale finirà per avere alcune zone di tensione che minacciano di esplodere, mentre altre invece estingueranno la propria carica conflittogena e si avvieranno alla ricomposizione. Il vero pericolo risiede nell’isolamento e nel rovescio dei processi di globalizzazione che tendono a promuovere procedure di collaborazione tra i vari paesi e aree geografiche anche molto distanti tra loro.

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