Carichi ingombranti: la Russia, l’Europa, il coronavirus

A quasi due mesi dall’inizio della quarantena, nel nostro Paese sembra finalmente intravedersi un barlume di speranza. I report sui numeri dei contagiati mostrano un trend in calo, seppur lievemente. Diminuisce anche il numero dei decessi giornalieri, mentre è in aumento il numero dei guariti. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in un post pubblicato su Facebook il 18 aprile, afferma come i rappresentanti dei governi locali abbiano aderito al disegno dell’Esecutivo di adottare un piano nazionale caratterizzato da linee guida omogenee per tutte le regioni, così da «procedere, ragionevolmente il 4 maggio, a una ripresa delle attività produttive sospese».

La Russia e il coronavirus

Mentre strategie simili a quella italiana sono state adottate dalla maggioranza degli Stati europei, spostandosi più a est emerge la situazione russa. Nel marzo scorso, Anastasia Vasilyeva, a capo del sindacato russo dei medici, aveva accusato il governo di stare mentendo sulla situazione reale. «Mentre il mondo sta affrontando questo nuovo coronavirus, la Russia sta lottando contro una polmonite interna alla nostra popolazione», ha affermato. «Siamo di fronte alle bugie diffuse dalle autorità».

Un portavoce del Cremlino aveva poi ribadito come non ci fosse nessuna epidemia in corso. La situazione è però rapidamente degenerata. La mappa interattiva prodotta dal New York Times mostra come il numero dei contagiati in Russia sia superiore alle quarantamila unità. Questa cifra è stimata al raddoppio ogni cinque giorni.

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Il Paese si trova ora sotto un lockdown. Solo le attività fondamentali rimangono aperte, bar e ristoranti offrono servizi a domicilio e chi può lavora da casa. Per settimane, la linea portata avanti dal Cremlino e dai media affiliati è stata quella di un Paese che avrebbe potuto affrontare i disagi derivati dall’epidemia senza grossi problemi, a differenza di quanto successo in Europa, dove l’economia sta rallentando vistosamente. La realtà è però ben diversa e la situazione di crisi si sta aggravando.

Il presidente Vladimir Putin ha da qualche settimana lasciato la capitale, nonché zona più colpita dalla pandemia, e si trova ora nella sua tenuta fuori Mosca. Lunedì 13 aprile ha dichiarato che potrebbe rivelarsi necessario l’intervento dell’esercito nel combattere la diffusione del virus, affermando come le risorse schierate dalle forze armate fossero «solo una frazione di quanto a disposizione del ministero della Difesa».

Russia
Il Presidente russo Vladimir Putin. Foto: Wikimedia Commons.

Una nuova opposizione a Putin?

Nel frattempo, a Mosca la situazione continua ad aggravarsi. Il sindaco Sergei Sobyanin ha dovuto prendere misure speciali. È stato infatti introdotto un sistema di permessi speciali per regolare i movimenti in città. Un provvedimento necessario, «specialmente vedendo come non tutti i cittadini stiano rispettando le restrizioni imposte», ha poi dichiarato.

Sobyanin risulta una delle persone più responsabili durante questa crisi. «Mosca è l’epicentro dell’epidemia e la città più grande della Russia» ha affermato Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice dell’ISPI. Il presidente Putin sta tenendo un profilo basso. Come già detto, ormai da qualche settimana si trova nella sua residenza fuori dalla capitale. «Sembra essere un tentativo per assumersi meno responsabilità possibili in quella che vede come una situazione potenzialmente catastrofica».

È certo che il comportamento delle autorità allo scoppio della pandemia potrebbe avere ripercussioni agli occhi della popolazione. A soffrirne potrebbe esserne soprattutto l’immagine del leader Vladimir Putin. «Quando sorge la necessità di mantenere un alto livello di popolarità, d’obbligo anche in un sistema autoritario, una possibile strategia è quella di sparire, lasciando che siano altri ad assumersi la responsabilità della gestione di una situazione difficile». Il consenso di Putin è across the board. Va dai ceti medio-bassi che godono di politiche assistenzialiste ai dipendenti della Pubblica Amministrazione fino agli oligarchi.

Proteste non politiche ma economiche

Il nucleo principale dei critici del presidente è da individuarsi in un determinato tipo di classe media che vive nelle città, la cui situazione è ben diversa da quella delle zone più rurali del Paese. Ma è un processo in continua evoluzione. «Il peggioramento degli standard di vita della popolazione si traduce in una crescente opposizione anche nei ceti più bassi della società. Il fatto che siano motivi economici e non politici a muovere le proteste contro Putin non dovrebbe sorprendere. Se c’è una cosa per cui i russi sono disposti a scendere in piazza a protestare sono i diritti economici», ha proseguito la ricercatrice.

Russia
Da sinistra: il vicepresidente russo Dimitrij Medvedev, la moglie Svetlana Medvedeva, il presidente Vladimir Putin e il sindaco di Mosca Sergej Sobjanin. Foto: Wikimedia Commons.

La Federazione Russa è caratterizzata da un’economia fragile e strutturalmente debole, che pone le sue radici sull’export di idrocarburi, settore colpito dall’abbassamento dei prezzi di petrolio e gas a livello globale. Le conseguenze potrebbero essere molto pesanti. «I mutamenti nella situazione socio-economica potrebbero portare la popolazione a scendere in piazza», conclude Eleonora Tafuro Ambrosetti.

Vladimir Putin si trova quindi a dover affrontare una situazione delicata e alquanto spinosa. Il continuo aumento dei contagiati mostra come la retorica dell’uomo forte tenuta dal Cremlino durante le prime fasi della pandemia si stia ritorcendo contro la leadership del Paese. Le parole del portavoce del Cremlino sull’inesistenza di un’epidemia nel Paese risuonano ora come infondate e prive di qualsivoglia consistenza. A rischio non c’è solo l’economia russa, ma anche l’immagine del presidente Putin negli anni a venire.

Come destabilizzare l’Europa e influenzare felici

Una delle circostanze che più hanno impatto sull’economia russa sono le sanzioni imposte dai Paesi europei. Esse sono uno dei molti motivi che definiscono l’atteggiamento di Mosca verso il resto del continente. Quando cominciano i tentativi russi di destabilizzare l’Unione Europea? Nel 2013 Mosca interviene negli accordi di associazione (DCFTA, primo passo per l’adesione) tra Bruxelles e Kiev. La Russia compie pressioni sul presidente ucraino Janukovic che chiude improvvisamente i negoziati suscitando la reazione dell’opinione pubblica ucraina.

Quest’ultima legge l’interferenza di Mosca nella politica estera e protesta in piazza. Nasce così Euromaidan (letteralmente Europiazza) che convoglierà non solo la voglia d’Europa di Kiev, ma anche le istanze per una maggior trasparenza nelle attività del governo, considerato corrotto, e una moderazione delle attività della polizia. Le proteste si conclusero con la cacciata di Janukovic, l’elezione di Poroshenko e la firma degli accordi di associazione. L’anno successivo, con un colpo di mano, la Russia annette la Crimea. Inizia, in Ucraina orientale, un conflitto tra il governo centrale e i ribelli delle repubbliche popolari di Donec’k e Luhans’k che perdura tutt’oggi e che ha provocato migliaia di morti, dispersi e profughi.

L’avvenimento rappresenta forse la prima massiccia operazione di propaganda russa sullo scenario mediatico europeo. Le frecce all’arco russo sono diverse. Ci sono le varie agenzie di stampa direttamente collegate al Cremlino declinate in ogni versione nazionale (Sputnik e Russia Today su tutte) e il finanziamento ai partiti che presentano programmi avversi all’integrazione tra Paesi europei. Tra questi ultimi, i tre casi principali e di maggior interesse sono il Front National (ora Rassemblement National) in Francia, la Lega in Italia e Alternative für Deutschland in Germania.

Dalla Russia con il furgone (pieno di soldi)

Nel primo caso, il Cremlino concesse nel 2014 un prestito attraverso la First Czech Russian Bank pari a undici milioni di euro. La banca venne poi chiusa (insieme ad altre) nel 2016, in quanto minaccia per la stabilità economica della Russia. Il debito passò di mano diverse volte fino ad arrivare all’Aviazapchast, azienda russa che tratta ricambi per aeromobili. L’azienda all’inizio di febbraio 2020 ha persino citato in giudizio Marine Le Pen. Secondo un’inchiesta del Washington Post, tuttavia, il prestito è solo la superficie di un qualcosa di ben più marcio.

L’inchiesta delle autorità ha rivelato che il tesoriere del Rassemblement National Wallerand de Saint-Just effettuava ogni pochi mesi un versamento di circa centosessantamila euro verso tale signora Romanova, che il tesoriere stesso ha ammesso di non conoscere. Nel 2016 le autorità russe e degli altri Paesi europei iniziano a guardare con estremo sospetto questa banca, dopo alcune operazioni sospette di essere una copertura per attività di riciclaggio di denaro. Sotto pressione, le autorità russe scavano nelle attività della banca. Ne rivelano i legami con magnati, oligarchi facenti parte della cerchia di Putin e capi della malavita.

E la Lega che fa?

La Lega ha ricevuto accuse (supportate da un’inchiesta de l’Espresso e di Buzzfeed) di aver ricevuto finanziamenti occulti dal Cremlino . Per questi è in corso un’inchiesta da parte delle autorità italiane. L’ipotesi è che un’importante società petrolifera russa abbia venduto a ENI un’ingente partita di idrocarburi (intorno alle tre tonnellate). La cessione sarebbe avvenuta attraverso una serie di intermediari che avrebbero applicato uno sconto fino a creare un fondo extracontabile di quasi sessanta milioni di euro. Gli incontri riportati dall’Espresso con Dimitry Kozak, ministro dell’energia russo e parte di una lista di politici non ammessi all’interno dell’Unione Europea a causa delle sanzioni per l’annessione della Crimea, avrebbero avuto come oggetto proprio questo contributo.

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Russia
Il deputato tedesco Markus Frohmaier. Foto: Wikimedia Commons.

Germania e Russia improbabili alleate

Per quanto concerne AfD, la BBC ha riportato un documento del Cremlino che definiva il deputato Frohmaier (uno dei più in vista del partito) come un asset di grande importanza. Frohmaier ha smentito ogni legame con il Cremlino. I suoi viaggi in Crimea e nei territori controllati dalle repubbliche di Donec’k e Luhans’k sono però piuttosto noti. Tra questi spiccano gli incontri con gli emissari della Giovane Guardia, la sezione giovanile del partito di Putin, Russia Unita. L’AfD inoltre appoggia, all’interno del parlamento tedesco, la linea sulla nuova policy per la Siria. Questa politica prevede il totale appoggio al regime di Bashar al-Assad e la legittimazione dell’intervento russo in Medio Oriente.

Tutti questi partiti sono qui citati come casi più eclatanti, ma altri sono diffusi su praticamente tutto il territorio europeo. I fils rouges sono la richiesta di rimozione delle sanzioni alla Russia (al momento alle prese con una crisi economica ulteriormente aggravata dalla pandemia) e la costante critica alle attività delle istituzioni europee, nel tentativo di screditarle e spaccare il fronte europeo. Questo fa gioco alla Russia non solo per quanto riguarda le sanzioni attribuite dopo l’occupazione e annessione della Crimea e del supporto continuo ai ribelli nell’est dell’Ucraina, ma anche nei singoli rapporti giornalieri con ogni altro Paese europeo. Il peso specifico in termini negoziali vede svantaggiata Mosca nel trattare direttamente con Bruxelles, rispetto al trattare singolarmente con ogni Paese.

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