Coronavirus: la fase due che (non) ci aspettavamo

Il momento è arrivato: la conferenza del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte del 26 aprile sancisce l’ufficiale inizio della fase due del contenimento dell’epidemia da coronavirus SARS-CoV2 a partire dal 4 maggio. Fase due vista da molti come un principio di ripartenza, tanto che, nonostante la completa assenza di informazioni dettagliate, il termine era sulla bocca di tutti già da qualche giorno.

Molte parole, pochi fatti e cambiamenti

Molte parole e pochi fatti. In quasi trenta minuti, il Presidente del Consiglio ha parlato poco e nulla di strategie sanitarie, ripartenza del settore ospedaliero, universitario e culturale. Ha toccato maggiormente argomenti nazionalpopolari quali attività sportiva professionistica e non, visite ai congiunti/parenti di sangue (unica controversa concessione rispetto al passato), esame di maturità e riapertura delle piccole attività commerciali (nella maggior parte dei casi posticipata almeno al 18 maggio). Al netto dei fatti permane una forte limitazione delle attività personali e commerciali e il divieto degli spostamenti interregionali. Da questi è escluso il rientro presso il proprio domicilio.

conte coronavirus conferenza
Nella lotta al coronavirus mascherine, sanificazione e rarefazione dei rapporti interpersonali saranno indispensabili e obbligatori anche ben oltre l’esordio della fase due.

Una riapertura graduale e lenta, che in realtà non desta alcun sospetto in chi si occupa sul campo della gestione dell’epidemia da coronavirus. Sono poche le differenze concrete rispetto alla fase uno. Immediate le proteste da parte di esponenti politici e non. Ci si aspettava riaperture robuste, se non un paradossale ritorno immediato alla normalità. Tra le voci più rumorose, la ministra Bellanova, che richiede misure più coraggiose. Le fanno eco vari presidenti regionali (Bonaccini e Fontana su tutti) per la mancanza di norme concrete sulla gestione di scuole estive e asili nido e i vescovi italiani, a loro dire per la compromissione della libertà di culto causata dall’assenza di pubbliche messe.

La voce del Paese reale

Risulta a suo modo interessante analizzare anche le critiche provenienti dal Paese reale. Giustificano infatti, da un punto di vista sociale e non solo sanitario, l’atteggiamento attendista del Governo. L’isolamento forzato è una scelta dura, estrema, facilmente polarizzante con uno sforzo minimo. Non ci si riferisce alle masse che, in piena crisi economica, hanno persino il diritto di non capirne di argomenti di importanza nazionale. Ci si riferisce alle testate giornalistiche che hanno deciso negli scorsi giorni di intavolare un vero e proprio toto-fase due. Sono state pubblicate supposizioni, soffiate esclusive e voci contrastanti che nei fatti hanno illuso l’utenza riguardo a un prossimo ritorno alla normale vita di relazione. Imbarazzante anche la successiva confusione su norme già non ben definite, come l’intero dibattito su terminologie utilizzate dal Presidente del Consiglio durante la conferenza. Primo su tutti, il corretto significato del termine congiunti.

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La cronologia delle modifiche di una delle principali testate italiane sul corretto significato del termine “congiunti”.

Volendo ricercare la voce più rumorosa all’ingresso nella fase due, occorre anche puntare il dito contro la nutrita schiera di intellettuali (da tastiera e non) che da diverse visioni politiche giunge ad argomentazioni banalmente comuni. Nella smania di soppesare il trade-off tra salute/libertà e salute/profitto, social network e passerelle televisive di dubbio gusto si riempiono di saggi parziali e non richiesti di critica sociale ed economica della gestione del lockdown affiancati da miti ormai intramontabili come la ricerca dell’immunità di gregge (di cui al momento non abbiamo evidenza nella letteratura medica), da ottenere sacrificando a tutti gli effetti le fasce più deboli della popolazione, o i divisori di Plexiglas per ristoranti e spiagge (anch’essi frutto più di una fortunata serie di articoli giornalistici che di norme governative).

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Nella maggior parte dei casi, tali utenti hanno seguito ridotto. Parliamo anche semplicemente di parte della lista contatti di Facebook dello scrittore di turno, personaggi che hanno in comune la volontà di innescare la scintilla del mancato rispetto delle regole imposte per un ritorno forzato alla normale vita di relazione, esprimendo a tutti gli effetti la funzione di istigatori della rabbia sociale in un momento di sforzo collettivo non da poco. La crescita dei sovranismi e i meccanismi per cui un contenuto ha la forza di propagarsi per le vie del web in un periodo storico in cui chiunque può essere un influencer dovrebbero metterci in allerta. Non è nulla di diverso dalla disperata propaganda attuale del Salvini di turno, solo con personaggi appartenenti a fasce politicamente più eterogenee, ognuno col proprio microcosmo di contatti esasperati fino all’inasprimento della situazione sociale.

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L’introduzione di un prezzo calmierato di € 0,50 per le mascherine chirurgiche ha generato dibattito e proteste da parte dei venditori. Da inizio crisi erano reperibili, spacchettate e senza etichette,  con rincari anche del 2000% rispetto al prezzo iniziale di circa € 0,20.

Autonomie regionali e individualismo italiano

Proviamo a ragionare a mente fresca sulla genericità delle disposizioni descritte da Conte alla luce delle polemiche. Risulta evidente come l’intera fase due sia una timida e disarticolata risposta a una (peraltro giustificata) mancanza di fiducia nei confronti degli atteggiamenti della popolazione italiana. È anche un contentino e insieme un freno alle regioni del Nord, Lombardia e Piemonte su tutte. Sono il traino industriale del Paese e allo stesso tempo le principali fautrici della crisi che stiamo lentamente superando. Regioni responsabili di una gestione più che scellerata di RSA e residenze ospedaliere, e insieme capaci di tenere economicamente in ostaggio una nazione intera.

Il problema delle autonomie regionali sulla gestione della crisi diventa causa ed effetto delle incertezze governative sui piani di riapertura e uno dei principali fattori di rischio nell’estinzione dell’epidemia, in mancanza di una linea comune e centrale forte e limpida. Risultava impraticabile una riapertura immediata, persino scaglionata per regioni. Permetterlo significherebbe non tenere conto dell’andamento epidemiologico dell’infezione, che non può sparire da un giorno all’altro neanche con un lockdown totale. Permetterlo significherebbe soprattutto non tenere conto degli atteggiamenti fortemente individualistici delle giunte regionali e della popolazione italiana.

La strada per tornare a una vita di relazione normale è lunga e complicata. Dovremo aspettarci l’utilizzo efficace di mascherine e guanti monouso come norma obbligatoria. Dovremo aspettarci probabili fasi di temporanea limitazione delle libertà personali. Un migliore esordio della fase due e una presentazione più decisa e concreta delle misure da intraprendere per proteggerci dal coronavirus avrebbero giocato a favore del Governo. Addossare però solo ad esso le colpe della situazione significherebbe negare che più spesso il problema si annida in noi stessi.

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