“La pandemia ci cambierà”. E invece…

La più grande narrazione portata avanti in questi mesi di pandemia riguarda tutto ciò che potremo fare o essere in futuro. Le speranze, i sogni, soprattutto una realtà che, evidentemente, sta cambiando sotto i nostri occhi per diventare un pezzo di storia dell’umanità. Il percorso è ancora lungo (siamo forse alla metà di questa strada piena di dossi), sicuramente la fiducia muove l’animo della maggior parte di chi vuole riprendere una vita che possegga una parvenza di normalità. Sui social, al cellulare, a un metro di distanza stiamo imparando a recitare un mantra: «La pandemia di coronavirus ci renderà migliori». E, mentre lo diciamo, con quel poco di convinzione che ci resta, sappiamo bene di proferire una cazzata a denti stretti.

Il COVID-19 poteva essere davvero l’occasione, per i singoli e per le comunità, di diventare migliori. O almeno apportare un cambiamento, che non per forza deve generare un’impostazione positiva. Paradossalmente, persino questo non è avvenuto. L’essere umano, da sempre egoista e diffidente, cattivo era e cattivo è rimasto. Ha scaricato la sua rabbia su una ragazza liberata dopo un anno e mezzo di prigionia, attaccandosi al suo credo, ai suoi obiettivi e (metaforicamente ma nemmeno tanto) ai suoi vestiti, offendendo lei e la sua famiglia attraverso la scaltrezza subdola che solo i social possono regalare (dimenticando però che i social, ormai, sono un prolungamento della vita reale. E che i comportamenti, specie quando sono “pubblici”, possono essere puniti).

Ha preso in giro un Ministro “colpevole” di aver pianto lacrime di commozione per aver cercato di dare diritti a chi non li ha mai avuti. Che si tratti di italiani o stranieri.

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E ancora, l’essere umano continua a proporre il suo conflitto tra Nord e Sud, nonostante i tempi richiedano unità. Prende in giro quelli come lui per via degli interessi, del modo di vestire, di debolezze e punti di forza. Continua a preferire il populismo alle argomentazioni e ai dati, la durezza alla dolcezza, la chiusura all’apertura, la malvagità alla bontà. Di questi tempi è diventato immunologo, virologo, scienziato, professore, politico. Presto tornerà anche a essere allenatore. E quando si potrà di nuovo uscire di casa liberamente, con rischio zero o meno, continuerà a proporre tutti i comportamenti censurabili che rappesentano il fulcro del suo agglomerato di vita.

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La pandemia di coronavirus non ci ha cambiato, non ci sta cambiando e non ci cambierà. Non lo hanno fatto tragedie, catastrofi, guerre, non lo farà di certo un virus. In un mondo diverso, tutto ciò sarebbe un vero peccato. In quello attuale è semplicemente la normalità di un animale pensante che nel suo destino accoglie solo in minima parte amore e rispetto, promuovendo invece autosabotaggio e distruzione. Fino a quando l’interrogativo non sarà più «potremo mai cambiare?» ma soltanto «cosa siamo diventati?».

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