James Hook, il pirata che navigò in cielo: la rivisitazione di Capitan Uncino

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito di una collaborazione con l’ufficio stampa Il Taccuino. In data successiva alla sua pubblicazione, questa collaborazione è stata interrotta a causa della scarsa professionalità e della condotta di tale ufficio stampa, da cui ci dissociamo. Gli articoli già pubblicati, come il presente articolo, non sono stati rimossi per correttezza verso gli autori intervistati.


La storia di Peter Pan è nota veramente a tutti, tanto a chi conosce pagina per pagina il romanzo originario di James Matthew Barrie quanto a chi ne ha seguito le gesta attraverso le innumerevoli trasposizioni audiovisive. Ma praticamente nessuno si è mai realmente chiesto cosa ne sarebbe stato di Capitan Uncino – acerrimo nemico dell’arcinoto bambino volante – se i suoi trascorsi biografici fossero stati altri da quelli che sarebbe lecito supporre, sia viaggiando con la fantasia (arma dall’efficacia troppo spesso dimenticata, al giorno d’oggi) che, soprattutto, passando in rassegna interessantissimi documenti d’archivio per andare alla ricerca di figure realmente esistite e potenzialmente prese come ispirazione dal romanziere britannico. Ebbene, ha provato a farlo – con un certo successo in termini contenutistici – l’esordiente Mario Petillo con il suo James Hook. Il pirata che navigò in cielo (edito da Scatole Parlanti).

James Hook: la nuova psicologia di Capitan Uncino

Niente soprannomi o identificazioni fiabesche, per non dare l’impressione di avere a che fare con l’ennesima ricostruzione fantasiosa (o almeno non soltanto) in qualità di spin-off della celeberrima storia firmata da sir James Matthew Barrie. Bensì tracciamento di un profilo inedito e affascinante di una figura troppo spesso relegata al semplice ruolo di villain, in contrasto con il desiderio di mantenimento di quell’eterna purezza cantata da Barrie attraverso le sembianze del suo giovane protagonista. Giovane protagonista che invece è un personaggio cardine da approfondire per ritrovarsi al cospetto di una psicologia estremamente affascinante, ricca com’è di sfumature e ombre da scandagliare all’infinito, accorgendosi di avere a che fare con una caratterizzazione che avrebbe meritato fin da subito una trattazione ulteriore.

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Mario Petillo, l’autore di James Hook. Il pirata che navigò in cielo.

Attraverso le pagine di James Hook. Il pirata che navigò in cielo, Mario Petillo dona vita a una biografia immaginifica. Crea anche un’ipotesi storiografica di valorizzazione dei tratti più ambigui e oscuri, ma al contempo interessanti e attraenti, di una figura non più rappresentata unicamente come metafora dell’uomo in lotta col tempo che scorre. Questa figura è descritta anche e soprattutto in qualità di essere umano vittima di eventi biografici che contribuiscono a conformarne, certo, la caratura di oppositore, ma invitano anche a considerare un retroterra emotivo troppo facilmente messo da parte dalle varie trasposizioni succedutesi nel corso del tempo.

Il raggio d’azione di Petillo, allora, si estende fino a donare enorme respiro proprio ai lati più nascosti dell’esistenza di James Hook e non di Uncino in quanto mera raffigurazione. Arriva a donare pregio e sostanza a un’esistenza trascorsa all’insegna di un profondo dolore, in eterna lotta con un inaspettato amore per la vita. Il tutto costruendo uno spessore psicologico di grande nobiltà sulla base di documentazioni oggettive. James Hook. Il pirata che navigò in cielo è un romanzo denso di una spiritualità e nobiltà d’animo non seconda a nessun altro tentativo di salvaguardia individuale di personaggi “negativi” e apparentemente funzionali allo svolgersi di vicende che conducono altrove.

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