La realtà irriverente di Ian McEwan

L’evoluzione umana ha raggiunto uno dei punti più alti della sua espressione, nel momento in cui ha scoperto la trasmissione scritta. Le parole, fonte inestimabile di una conoscenza riservata a pochi prima, a molti poi, hanno creato quello che è un piacere per il cuore e per la mente: la lettura. È stata la scrittura a darle vita ma, il dono di riuscire a incastrare tempi verbali e descrizioni illuminanti tra un personaggio e l’altro, è qualcosa che non appartiene a tutti. McEwan si insinua in questa difficoltà di costruzione di mondi, di racconti di una vita, di un sogno, di una storia o di un’assurda irrealtà; fino a riuscire nel suo intento, quello più complicato: riuscire a raccontare il mondo reale.

La penna irriverente di Ian McEwan

Ian McEwan è un maestro di dialettica, che si diletta a forgiare mentalità irriverenti nei confronti di un mondo, a sua volta irriverente verso i personaggi stessi. Le sue creazioni appartengono a quelle fantasie reali dalle quali tutti noi emergiamo, che necessitano del nostro pensiero per poter vivere e sopravvivere alla loro inconsistente bellezza.

Ci si affeziona alla loro personalità, al loro candore, interrotto tra un capitolo e l’altro da quelle peripezie che non sono mai romanzate a tal punto da perdere la loro insulsa ma reale veridicità. Resistono imperterrite alla struttura della storia, grazie alla loro ordinaria vita portata allo stremo con una certosina scelta terminologica, mai banale e sempre ricercata.

Un giovane Ian McEwan. Foto: senteziosamente.wordpress.com

Ma lo scrittore inglese è nelle pieghe della normalità apparente che nasconde l’inaspettato delle sue storie, facendo passare agli occhi del lettore un semplice gesto, o una più che giusta situazione, come un qualcosa che non poteva far altro che delinearsi in quel modo stravagante e improvviso.

Nonostante i suoi molti scritti, McEwan è riuscito a inquadrare il mondo odierno e i suoi molteplici livelli con tre titoli in particolare, editi con Einaudi nel nostro paese: Amsterdam (1998), Bambini nel tempo (1987) e L’ amore fatale (1997).

Amsterdam e l’etica della morte

La morte. Esorcizzarla è la cosa più complicata che si possa fare. A meno di malattie o altre situazioni, è inevitabile cedere sotto il ticchettio del tempo; e, per quanto questo renda difficile l’accettazione di tale destino, la capacità dell’uomo dev’essere quella di sorridere a chi lo porterà via dal mondo. Nel suo romanzo, lo scrittore inglese è stato in grado di trasformare un funerale in una decisa presa di posizione, dell’uno nei confronti dell’altro, dei personaggi principali.

Quattro uomini di successo (il marito della defunta, un compositore famoso, il Ministro degli Esteri e il direttore di un quotidiano) che amavano, in maniera differente ma ugualmente profonda e disinibita, la stessa donna, protagonista delle esequie che aprono il libro. All’insegna del saper essere distinti e del non fidarsi più come prima delle persone, in queste pagine si trasforma la socialità umana in una ricerca imperterrita della nozione di giustizia, nei confronti di un’etica che McEwan lascia decidere al lettore stesso.

Chi è nel giusto? Chi no? E soprattutto, perché?

Nell’ottica di queste domande chiave, si evolve la storia, che lascia spazio a continui cambi di posizione a discapito di un personaggio piuttosto che un altro, fino a trovare la sequenza moderata che porta al termine del romanzo. Chi perde la vita tra un capitolo e l’altro, è in qualche modo quanto più possibile vicino a noi che leggiamo, poiché l’autore riesce a traslitterare, in termini di pensiero, situazioni che appartengono fortemente a una realtà che si cerca di evitare. Ma con la quale, inesorabilmente, bisogna fare i conti.

Bambini nel tempo e la paura di ricominciare

Uno dei terrori più grandi per un genitore, è senza dubbio quello di perdere il proprio figlio. In svariati modi si possono veder andar via le persone: allontanandoci da loro per motivi tra i più vari; vederli portar via dalla morte; o, come nel caso del libro, vederli sparire da sotto i propri occhi. La scomparsa di Kate nel supermercato, rappresenta un racconto vero e proprio della società odierna con cui dobbiamo rapportarci, dove siamo noi stessi i protagonisti di queste situazioni paradossali quali, appunto, la reiterata scomparsa dei bambini a opera di sconosciuti.

Le varie attenzioni che cerchiamo di perpetuare nella mente dei nostri eredi, sono all’insegna di un’educazione che ha come obiettivo quello di renderli pronti per il mondo del quale faranno parte. McEwan descrive la sensazione di noncuranza che Stephen, uno scrittore di libri per bambini, prova davanti alla perdita di sua figlia. Terrore, disprezzo per sé stesso, fiducia. Si, perché uno dei termini chiave che rimbomba costantemente è la continua fiducia che il protagonista cerca di trasmettere per un tempo lungo più di tre anni, a chiunque faccia parte della sua vita.

Benedict Cumberbatch nella trasposizione cinematografica del romanzo di McEwan. Fonte: mymovies.it

Perché quando scompare qualcosa dalle mani, dalla cosa più insignificante a ciò che abbiamo di più importante, ci sentiamo in diritto di insistere nella sua ricerca. Insieme a due amici che lo hanno visto diventare un uomo e a un amore ritrovato con la madre della sua figlia scomparsa, Stephen lavora sulla difficoltà di ricominciare a vivere lasciando andare il passato, per lui ancora troppo presente. Prendendo nuovamente in mano la sua vita, riesce lentamente a vedere avanti: la morte dell’amico, la continua pressione del Primo ministro, la subito spenta speranza di aver ritrovato Kate.

Tutto questo porta McEwan a descrivere il futuro come roseo, nonostante le incredibili criticità, un po’ a voler dimostrare che anche dalle tribolazioni più grandi si può rinascere con fenicea bellezza. La capacità per farlo, risiede interiormente, in quel sottile limbo di pensiero tra cuore e speranza.

L’amore fatale e la difficoltà del non corrisposto

Chiunque nel corso della vita ha avuto una relazione particolare con l’amore e con la sua realizzazione. Nelle sue varie forme, l’attrazione è il sentimento più complicato e naturale che esista all’interno della psiche umana. L’ottusità dell’uomo ha portato a non concepire determinate forme di amore come naturali e universalmente corrette, e nel romanzo di McEwan si gioca in maniera particolare con due innamoramenti: uno che è il fulcro iniziale della storia, un altro che è l’evoluzione di una situazione del caso, trasformatasi poi in esasperata ossessione.

Quella che inizialmente si credeva fosse un’amicizia particolare, nata da una tragica situazione fortuita, si trasforma in un assillo continuo da parte di Jed nei confronti di Joe. Il primo, vittima della sindrome di de Clérambault, tende a credere, durante l’evoluzione della conoscenza di Joe, di essere ricambiato sotto ogni punto di vista. Ma ben presto le cose degenerano, tanto che Jed comincerà a essere disposto a tutto pur di poter stare con il suo amore platonico, spaventato da una situazione per lui nuova e decisamente di complicata gestione.

In queste righe, lo scrittore inglese ha reso semplice una grande e complessa dimostrazione di casualità, che nessuno pensa mai di potersi trovare ad affrontare, mettendo in questo modo una pulce nell’orecchio al lettore. Ci si trova così a cambiare punto di vista più volte, tanto da entrare nella testa di tutti e tre i personaggi principali, riuscendo a percepire le stesse sensazioni lasciandosi trasportare.

Il racconto del mondo

La scrittura di McEwan regala un’intuizione continua a chi legge. Ci si ritrova in una dimensione talmente sottile, a cavallo di ciò che si vuole e ciò che si vorrebbe trattenere da quelle righe, che ci s’innamora di ogni personaggio. La bellezza dei suoi libri è data dal fatto che sono quanto di più vicino alla realtà che si vive, tanto da rendere il lettore parte integrante dell’irrealtà di quei mondi creati da un genio. Quello stesso genio che continua a creare un piacere continuo per il cuore e per la mente.

Impostazioni privacy