Lo scrittore e alfiere del lavoro Gianni Antonio Palumbo, classe 1978, torna nelle librerie con un’opera dark che lascia con il fiato sospeso fino alle ultime pagine: Per Luigi non odio né amore.
Palumbo, originario di Molfetta, ha conseguito il dottorato di ricerca in Italianistica a Messina per poi intraprendere la carriera di docente universitario di Letteratura Italiana presso l’Università di Foggia dove è attualmente in carico oltre a insegnare materie letterarie presso il Liceo Matteo Spinelli di Giovinazzo. Insieme alle pubblicazioni scientifiche in ambito letterario, tra cui l’edizione delle Rime di Isabella Morra (2019) e la monografia Vestali in un mondo senza sogni (SECOP, 2011), collabora con diverse riviste e periodici e ha creato il blog di critica militante Giano bifronte.
Nel 2004 ha pubblicato la silloge Non alla luna, non al vento di marzo (Schena) mentre è del 2014 la raccolta di racconti Il segreto di Chelidonia (SECOP). È stato inoltre vincitore ex aequo con Chiara Gamberale del Premio Valle dei Trulli con il romanzo Krankreich, tramonto di un sogno (Palomar, Bari, 2000).
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Un intricato giallo in un’immaginaria cittadina pugliese
A metà tra il thriller e il giallo, utilizzato come strumento per riuscire ad osservare la realtà nel profondo, Per Luigi non odio né amore è ambientato nel 1978 nell’immaginaria cittadina di Candevari, nella provincia di Brindisi. Tra i protagonisti del romanzo vi è il giovane insegnante Mattia Landi che, appena arrivato nella cittadina d’origine della madre, conosce la bella Eleonora che di lui si innamora alla follia. All’interno di questa piccola dimensione di provincia iniziano a verificarsi strani avvenimenti, sparizioni e morti improvvise a cui fanno da contorno amori clandestini, citazioni tratte dai discorsi di Robespierre e una misteriosa figura che vive nascosta in una biblioteca.
Nella piccola Candevari hanno sede anche due storiche istituzioni scolastiche superiori che segnano il percorso di istruzione e formazione di molti giovani: il Principe Amedeo, più proletario e frequentato da giovani orfani, e l’Accademia Amaranta, collegio d’élite, regno dei figli delle più ricche famiglie della regione.
Sia i docenti che i giovani studenti, però, non sono mai davvero ciò che vogliono sembrare. Dietro i loro gesti e le loro parole si celano bisogni inespressi capaci di insidiarsi silenziosamente nei loro animi inquieti fino a irrompere con sfrenata energia, prendendo il controllo sulle azioni.
Da queste strane vicende partono le indagini del commissario Fano e della sua affascinante collaboratrice Marta, volte a dipanare la matassa e rischiarare l’oscurità fatta di menzogne nascoste per anni, macchinazioni, subdole manipolazioni e relazioni combattute che cercano disperatamente la luce del sole.
In questo giallo l’autore si sofferma molto sulle identità dei suoi personaggi, che si rivelano nella loro essenza attraverso intime confessioni, piccoli gesti e puntuali descrizioni sul turbinio dei loro stati d’animo. Il tutto è condito da una forte dose di mistero che accompagna il dispiegarsi delle vicende fin dal principio, con un incipit a metà tra sogno e realtà.
Profondità e ricerca interiore
La particolarità del titolo scelto per l’opera riprende un passo del Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto in cui Robespierre condanna fortemente la pratica punitiva eseguita attraverso la pena di morte introducendo una riflessione che porta a scindere l’odio verso una persona da quello verso i suoi delitti. Con brillante eleganza Palumbo utilizza questa citazione per rafforzare la potenza di uno sguardo che indaghi a fondo l’animo umano, smascherando anche le sue debolezze, ma senza perdere obiettività e quindi astenendosi da qualsiasi giudizio morale.
Partendo da un contesto storico di un’Italia in piena crisi tra il caso Moro e le dimissioni del presidente della Repubblic Leone a seguito dello scandalo Lockheed, la stessa instabilità etica e sociale finisce per riflettersi anche nei personaggi del romanzo che spesso si muovono come spinti da un vento in tempesta. Diventa infatti sempre più difficile per loro gestire i propri turbamenti e le loro lacerazioni d’animo, in un susseguirsi di lotte e pulsioni fuori controllo.
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Linguaggio e stile narrativo
Lo stile di scrittura del professore pugliese è molto preciso e elegante, con un linguaggio che restituisce l’autenticità dei suoi personaggi utilizzando anche forme dialettali, modi di dire e citazioni letterarie. Ogni personaggio è, quindi, immediatamente riconoscibile per l’uso della lingua che diventa una caratteristica di non secondaria importanza.
Un altro meccanismo narrativo utilizzato riguarda la scelta di soffermarsi in ogni capitolo su un punto di vista differente. I dettagli della vicenda vengono svelati a poco a poco, come fosse un palco che viene di volta in volta illuminato da un’angolazione diversa, mettendo in luce nuovi oggetti e gettando ombre su altri.
Sicuramente, anche a causa dell’alto numero di personaggi che affollano la storia, Per Luigi non odio né amore richiede una lettura attenta al fine di non perdersi nell’intricata trama dalla complessa struttura che riuscirà a trovare la sua piena chiarezza solo nel finale. D’altra parte vi è anche occasione di imparare dettagli sulle realtà paesaggistiche pugliesi, di cui l’immaginaria ambientazione è un po’ una sognate summa.
Nessun amore e nessun delitto viene dunque giudicato, ma tutto viene solo portato alla luce nella propria delicata essenza ed è nella diversità della natura dei sentimenti che bisogna ricercare l’attenta analisi compiuta dall’autore e il profondo rispetto verso i suoi personaggi.
Il libro, pubblicato a luglio di quest’anno, è edito da Scatole Parlanti ed è senza dubbio un’opera raffinata e degna di nota che, oltre all’originalità, ha dalla sua una ricercatezza di linguaggio e un’attenzione verso una rappresentazione profonda dell’animo umano che lasciano il segno.