Il perché e il percome della divisione di Facebook

Da qualche settimana il colosso del big tech Facebook è colpito dal fuoco incrociato delle accuse del governo americano. La Federal Trade Commission (FTC) – l’agenzia antitrust statunitense – e una coalizione di quarantotto procuratori generali di diversi Stati hanno dichiarato l’intenzione di perorare una causa per scindere l’azienda, in quanto monopolio illegale.

Alla base della citazione in giudizio è l’accusa di aver violato le norme antitrust, agendo da monopolio grazie alla triade Facebook-Instagram-WhatsApp, tutti in possesso del colosso di Zuckerberg.

Non solo: Zuckerberg è accusato di aver attivamente intrapreso tattiche illegali e anti-competitive, «comprando, rovinando e distruggendo» possibili rivali.

I due possibili rivali in questione sono, appunto, Instagram e WhatsApp. Il primo è stato acquisito nel 2012, e ha da allora conosciuto una crescita esponenziale. L’acquisto del secondo è avvenuto nel 2014, ed è stato il più eccezionale della storia, per la cifra di diciannove miliardi di dollari.

In caso di sconfitta, l’azienda dovrebbe essere separata in tre, per rendere indipendenti le tre piattaforme.

In più, secondo l’accusa, la soppressione dei possibili competitor è passata anche attraverso tecniche di plagio spudorato. È noto il caso Snapchat, i cui proprietari rifiutarono la proposta di acquisizione di Facebook nel 2013: l’azienda decise allora di riproporre tale e quale, su Instagram, la caratteristica portante dell’applicazione, quella delle stories, che scomparivano dopo 24 ore. Il resto, come si suol dire, è storia.

La scissione di Facebook sarebbe un unicum storico

L’attività di Facebook è sotto il controllo del governo americano da anni, e già in passato ha dovuto fare i conti con pene pecuniarie da record (come quella da cinque miliardi di dollari, nel 2019, per violazione della privacy degli utenti).

La richiesta di scissione, tuttavia, ha dell’incredibile, per tre motivi. Innanzitutto, nella storia del Paese è esistita soltanto un’altra causa di questo genere, portata avanti nel 1980 contro la compagnia telefonica AT&T. Si trattava però di una situazione diversa: AT&T offriva servizi a pagamento, e la richiesta di scissione fece leva sul fatto che la compagnia era diventata talmente potente da imporre tariffe a proprio piacimento. Facebook, al contrario, è gratuito, e la facile fruibilità dei contenuti è la sua forza.

È chiaro che stabilire in che modo un’azienda violi l’antitrust, se si parla di servizi gratuiti, è molto complicato.

Il secondo motivo riguarda le complicazioni tecniche della scissione. Dopo l’acquisizione di WhatsApp e Instagram, Facebook ha lavorato per anni alla loro completa integrazione e interdipendenza, collegando il sistema di personalizzazione di cookies e pubblicità, e condividendo i database fra le app. Come ha spiegato un ex ingegnere di Facebook al Washington Post, ad esempio, al momento Instagram non ha modo di esistere senza l’infrastruttura portante di Facebook. Ci sono voluti sei anni per creare un sistema interdipendente, e probabilmente ce ne vorrebbero altri sei per eliminarlo.

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Lo stesso timore di difficoltà tecniche aveva portato a escludere la scissione di Microsoft nel 2000. Anche allora, il colosso di Bill Gates era stato dichiarato un monopolio illegale, ma la sua scissione non era stata portata avanti, proprio perché avrebbe probabilmente creato più problemi – e più dispendio economico – che soluzioni.

Il caso Facebook sarebbe un unicum storico, porterebbe a battaglie legali durissime e a una separazione lenta e difficoltosa. C’è però una differenza sostanziale, che ci porta al terzo motivo – il più controverso e sicuramente il più importante. Facebook è una compagnia che si basa sul controllo dei dati. Fornisce servizi gratuiti, perché il suo più grande guadagno deriva dal collezionare dati e informazioni riguardanti miliardi di persone. Per questo Zuckerberg ha lavorato per integrare al massimo le app, e per questo il suo monopolio suscita così tanto timore. L’obiettivo di Facebook è generare attenzione, portare gli utenti a trascorrere quanto più tempo possibile sulle proprie piattaforme. Più tempo gli utenti trascorrono sulla piattaforma, più dati vengono collezionati, più accurata è l’offerta di contenuti, più continuano a utilizzarla. È un cane che si morde la coda, e che sembra uscito da un romanzo distopico.

Zuckerberg contro il governo: argomenti a favore e contro

I detrattori di Zuckerberg sono molto critici nei confronti della sua politica di controllo dei dati. Il periodico The Atlantic arriva addirittura a definire Facebook una «macchina apocalittica», che basa il proprio potere sulla monetizzazione del tempo dei propri utenti, ignari di essere utilizzati come strumenti di guadagno. È un’immagine certo iperbolica, ma non lontana dal vero. Ne è un emblema ciò che successe nel 2012, quando l’azienda modificò volutamente i news feed di migliaia di iscritti senza il loro consenso. L’obiettivo era verificare quanto il diverso tenore delle notizie – positivo o negativo – influisse sull’umore dei fruitori del social network. L’esperimento funzionò perfettamente, mettendo in evidenza quanto potere esercitassero i post di Facebook sui loro lettori, ma suscitò grande scalpore quando venne alla luce, nel 2014.

È importante sottolineare, poi, la virtuale mancanza di scelta degli utenti: se qualcuno, consapevole del controllo dei propri dati da parte dell’azienda, decidesse di abbandonare i social media, si troverebbe quasi impossibilitato a mantenersi in contatto con i propri amici o familiari, dovendo rinunciare a Facebook, Instagram e WhatsApp.

Zuckerberg, dal canto suo, fa di questo predominio un vanto, lo considera un motivo di forza. Facebook ha la missione dichiarata di «dare alle persone il potere di condividere e rendere il mondo più aperto e connesso». A livello puramente fattuale, ha avuto pieno successo. Passare da un social network all’altro non è mai stato così semplice.

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È altamente probabile, poi, che il ruolo di Facebook sia stato determinante nel rendere ancora più popolari e fruibili i social network che ha acquisito. In passato, forse ce ne siamo dimenticati, WhatsApp era un servizio a pagamento. L’acquisizione da parte di Facebook ha permesso di renderlo gratuito, e questo è indubbiamente un vantaggio per il consumatore.

Instagram, invece, era nato da poco nel 2012, quando è stato acquistato, e generava pochissimo profitto. Non è dato sapere quanto sarebbe cresciuto se non fosse stato inglobato e promosso da Facebook.

Questo elemento costituisce la lacuna principale dell’accusa della FTC e dei procuratori generali: sostenere che Facebook ha impedito il progresso di potenziali competitor significa immaginare una realtà parallela in cui i competitor rimangono indipendenti.

È quasi impossibile che uno scenario ipotetico regga di fronte al rimbecco di Zuckerberg, che si prende il merito di aver reso grandi e profittevoli le piattaforme acquisite.

Questione economica o etica?

E poi, c’è ancora una questione cruciale da affrontare: dov’era la FTC quando Facebook ha fatto le sue transazioni? Se tutto quello che stava facendo era così illegale, perché non l’ha impedito a tempo debito?

La risposta più autorevole a questa complessa questione la fornisce Tim Wu, probabilmente il maggior esperto vivente in questioni di antitrust negli Stati Uniti. Ed è una risposta sorprendentemente semplice: le acquisizioni sono avvenute durante gli anni d’oro del big tech, anni in cui il governo ne soffriva terribilmente il fascino. All’epoca, sostiene Wu, i social media stavano conoscendo un boom, e ancora non si avevano prospettive dei danni che avrebbero potuto causare.  «Ci siamo cascati tutti», dice.

Ma è giusto, allora, agire sulla base del senno del poi? Intervenire adesso, anni dopo il misfatto, significherebbe creare un precedente pericoloso, e permettere al governo un’ingerenza economica che, in America, apparirebbe a dir poco deleteria.

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Senza contare che, secondo le norme antitrust statunitensi, l’intervento della FTC è giustificato solo nel momento in cui il presunto monopolio pone una minaccia al consumatore. Il fatto che Facebook controlli la quasi totalità dei social media di cui tre miliardi di persone fanno uso quotidianamente può essere considerato una minaccia?

Dal punto di vista economico certamente no. Dopotutto, i servizi sono gratuiti, e Facebook si impegna a mantenerli tali.

È evidente, a questo punto, che il nocciolo della questione non riguarda la mera economia: quello che fa Facebook è etico? Siamo disposti ad accettare che le nostre vite vengano controllate a scopo di lucro in maniera così capillare?

Nella land of freedom, sarà la libertà economica a prevalere, o il governo si farà portavoce della libertà del singolo?

Lo scopriremo col tempo. Intanto andiamo a scorrere un paio di Instagram stories.

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