Il Messico e tutti quei crimini compiuti con armi italiane

Il bagno di sangue che in Messico si sta consumando da diversi anni è conosciuto in tutto il mondo. Lotte interne tra cartelli del narcotraffico, un sistema di polizia corrotto e violenze compiute dal corpo militare sono passate agli onori di cronaca in tutto il mondo. È meno noto, però,  che questo bagno di sangue, in Messico, si compia anche con armi italiane.

Il rapporto di O.P.A.L e il fiume di armi italiane esportate in Messico

A metà dicembre 2020 OPAL pubblica un rapporto intitolato Le armi italiane nella violenza della polizia in Messico. OPAL è l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa. I dati pubblicati sono allarmanti, perché vedono il nostro Paese come principale esportatore, verso il Messico, di armi dal 2006 al 2018. Questo paese dell’America Centrale, infatti, ha ricevuto 108.667 armi dall’Italia, tra cui pistole automatiche e semiautomatiche e fucili d’assalto. Su 238.000 unità, l’Italia ne esporta quasi un terzo, che escono unicamente dalle fabbriche Beretta.

Il dato preoccupante non è solamente il fatto che l’Italia fornisca una quantità così elevata di armi a un Paese devastato dalla collusione Stato-narcotraffico, ma soprattutto il fatto che queste armi non rimangano nelle mani di polizia, militari o altri corpi di difesa dello Stato. In molti casi le armi vengono “smarrite” dagli agenti durante interventi di ripristino dell’ordine pubblico, cioè spesso contrabbandate e cedute ai narcotrafficanti. Sempre il rapporto di OPAL riporta che, tra le 61.000 armi sequestrate in Messico tra il 2010 e il 2020 ben 2.744 erano armi italiane Beretta.

Come avviene l’export

Le armi italiane vendute al Messico sono destinate al mercato civile, quindi indirizzate anche ad armare le forze dell’ordine. Come riporta OPAL, «le armi prodotte in Italia e destinate al mercato civile – comprese le forze dell’ordine – non necessitano di specifica autorizzazione e possono essere spedite dall’Italia con semplice documentazione amministrativa che non prevede una specifica certificazione dell’utente finale».

Inoltre «le armi fabbricate in Italia destinate a forze armate straniere devono essere autorizzate da un apposito ufficio del Ministero degli Affari Esteri italiano. I certificati di utente finale sono richiesti ma non pubblicati. L’autorizzazione è concessa per le armi da fuoco acquistate da entità straniere o agenzie statali, il cui status è confermato da intermediari presumibilmente affidabili (banche, compagnie di assicurazione del commercio estero, spedizionieri, eccetera)».

Più armi significa più sicurezza?

La logica vorrebbe che delle forze di polizia più equipaggiate possano garantire maggior sicurezza ai civili. Eppure, la violenza è aumentata. Le armi italiane in Messico sono state anche utilizzate per i 276.000 omicidi che dal 2006 al 2019 hanno dilaniato questo Paese. Solamente nel 2019 sono stati registrati più di 24.000 omicidi commessi con armi da fuoco.

«L’utilizzo delle armi prodotte da aziende italiane per gravi violazioni dei diritti umani in Messico commesse dalle forze di polizia» riporta Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio OPAL, «ripropone pesanti interrogativi sia sulla filiera produttiva e commerciale delle armi, sia sui controlli riguardo agli specifici destinatari finali prima di autorizzare le esportazioni. Sono questioni non più eludibili se vogliamo che la normativa italiana e il Trattato internazionale sulle armi siano efficaci e servano davvero a prevenire esportazioni di armi che alimentano la violenza e le violazioni dei diritti umani».

Foto: Pixabay.

Le armi italiane in Messico e la strage di Ayotzinapa

L’esportazione di armi italiane in Messico è profondamente connessa con la crisi delle sparizioni di civili in questo paese. Sì, perché proprio con fucili d’assalto Beretta (modello SC 70/90) fu compiuta la strage di Ayotzinapa. Questo accadimento risale al 2014 e provocò enorme scandalo sia in Messico sia a livello mondiale. A Iguala, infatti, furono uccisi sul luogo sei studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, venticinque riportarono gravi ferite e altri quarantatré vennero rapiti, torturati e poi uccisi.

Il 26 settembre circa cento studenti sequestrarono alcuni bus a Iguala per poter partecipare a una manifestazione a Città del Messico. Sequestrare autobus per partecipare a eventi di questo tipo era già stato fatto in passato, e gli studenti avevano puntualmente restituito i mezzi. In seguito, la polizia intercettò i bus e ci fu una vera e propria carneficina. Alcuni giorni dopo la strage emerse che tra cento studenti quarantatré erano scomparsi. Riguardo al rapimento, ci sono varie versioni. La più accreditata riporta che i quarantatré studenti siano stati sequestrati da un gruppo di narcotrafficanti, i quali li hanno torturati e bruciati a tal punto che dei loro corpi sono rimasti solo frammenti.

Oaxaca, manifestazione per Ayotzinapa
Foto: Osservatorio dei diritti umani.

I 79.000 scomparsi e la National Search Commission

A causa del clima di violenza crescente dovuto anche alla massiva circolazione di armi, il problema delle sparizioni in Messico si è fatto sempre più grave. Secondo un articolo di The Washington Post, dal 2006 risultano scomparse circa 79.000 persone. Il numero è andato via via crescendo: nel 2006 risultavano scomparse 241 persone, nel 2019 8.804. Solo nel 2018, il governo messicano ha deciso di prendere posizione in merito a ciò istituendo la National Search Commission.

A febbraio 2019 Karla Quintana, un’avvocatessa nota in Messico, ha preso le redini di questa commissione. Il suo obiettivo è riportare i casi di corruzione all’interno del sistema sia di polizia sia di giustizia in modo da risalire ai corpi degli scomparsi e poterli identificare. E per farlo, non esistono molti metodi di ricerca: la commissione si è ritrovata spesso a setacciare, letteralmente, la sabbia di alcune zone sospettate di essere fosse comuni. Nel farlo, in un’occasione ha scoperto quattro chili e mezzo di frammenti che potrebbero essere ricondotti a tre corpi umani.

Una manifestazione per la verità su Ayptzinapa.
Foto: Flickr.

A chi vendere armi?

La brutalità dei cartelli non sta solamente nei metodi utilizzati per far scomparire i corpi. Le sparizioni sono psicologicamente il tipo di omicidio più doloroso per le famiglie, perché non permettono propriamente l’elaborazione del lutto. I familiari possono infatti rimanere anni a sperare che il loro caro riappaia.

Esportare armi all’estero è una delle tante attività commerciali che il nostro Paese, come molti altri, svolge e dalla quale trae profitto. Tuttavia, la decisione relativa a chi vadano quantitativi così massicci di armi necessita di una ponderazione molto più lungimirante di quella fatta in relazione al Messico. Non è possibile nascondere la testa sotto la sabbia. Il Messico è storicamente un Paese devastato dalla violenza, dal mercato della droga e dalla corruzione. La conseguenza di armarlo così massicciamente può essere solamente altra violenza.

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