Donne in piazza per il diritto all’aborto (anche nel 2021)

Un’enorme onda di fazzoletti verdi irrompe nelle strade dell’Argentina, un fulmine rosso invade le piazze della Polonia. Sono queste le immagini delle proteste che abbiamo visto in questi mesi. Si tratta di due storie con epiloghi diversi, che si uniscono nella rivendicazione di uno dei diritti umani più importanti, quello dell’aborto.

Il successo argentino dopo le proteste

Siamo alla fine del 2020 e, dopo anni di lotte, l’Argentina ha finalmente promulgato la storica legge a favore dell’aborto. La nuova norma si sostituisce alla precedente, in vigore dal 1921, che considerava l’aborto un delitto con solo due eccezioni: la violenza sessuale – un problema diffuso in tutta l’America Latina – e il rischio di vita per la madre.

Questo importante traguardo politico e sociale è la conclusione di un percorso lungo e travagliato che, tra i vari momenti, aveva raggiunto un’importante svolta già nel 2018, quando alcune deputate avevano proposto un progetto di riforma. La proposta era stata approvata dalla Camera con una lieve maggioranza, ma le speranze si erano spente poco dopo con il voto contrario del Senato.

Questo esito era previsto, ma ha permesso alla discussione di tornare alla ribalta, aprendo il dibattito anche ai cittadini argentini che, due anni dopo, sono tornati nelle strade del Paese.

Proteste a Buens Aires. Foto: Titi Nicola.

Anche questa volta, la battaglia finale si è giocata all’interno del Senato, che con 38 voti a favore, 29 contrari e un astenuto ha promulgato la legge il 30 dicembre 2020, dopo una discussione difficile, durata dodici ore e conclusasi alle quattro del mattino.

Si tratta di una conquista importante per il Paese. Ora è possibile interrompere la gravidanza fino alla quattordicesima settimana. L’Argentina ha compiuto un passo importante nell’affermazione dei diritti umani e civili, diventando uno dei pochi Paesi sudamericani a permettere l’interruzione di gravidanza (attualmente, in Sud America, è possibile solo in Uruguay, Cuba, Guayana e Città del Messico).

Vietare l’aborto, renderlo illegale e costringere le donne ad agire in luoghi non sicuri non porta altro che problemi sanitari, sociali e psicologici. Situazioni che l’Argentina ha imparato a conoscere bene e che ha deciso di voler contrastare, garantendo un diritto che era dovuto da tempo.

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La nuova legge in Polonia

Una decisione, quella argentina, che si distingue da quella della più vicina Polonia. La Polonia proprio nelle scorse settimane ha ufficializzato la nuova legge sull’aborto rendendolo, di fatto, illegale. La legge polacca era già restrittiva e permetteva di agire solo in caso di malformazioni del feto, incesto o stupro oppure pericolo di vita per la donna. Ora – invece – rimangono solo gli ultimi due casi e il clima è più teso che mai. Strade, piazze e chiese sono prese d’assalto dai cittadini che si oppongono alla decisione della Corte Costituzionale.

La Polonia è guidata dal partito Diritto e Giustizia (PiS – Prawo i Sprawiedliwość) dal 2015. Si tratta di un partito di destra, molto vicino alle figure cattoliche del Paese. Sono loro ad aver spinto per la promulgazione della legge che ha portato la Polonia a essere uno dei pochi Paesi al mondo a negare un diritto che, fino a qualche anno fa, era tutelato. Nelle dichiarazioni politiche sono evidenti le tracce della religione, che arriva a giustificare la morte del feto o della madre, lo stupro e la violenza come un destino che non può essere contestato o modificato.

La mozione al Tribunale Costituzionale: l’aborto è incompatibile

Questa legge non è una novità. Già nel 2016 il PiS aveva sostenuto una legge che impediva l’interruzione della gravidanza in tutti i casi a eccezione per il pericolo di vita della madre. Tuttavia le numerose proteste [le “proteste in nero”, N.d.R.] sparse in tutta la Polonia ne avevano impedito la trasformazione in legge.

Dopo un altro tentativo nel 2018, questa volta il partito ha deciso di muoversi diversamente. Ha presentato una mozione al Tribunale Costituzionale sostenendo l’incompatibilità della legge sull’interruzione di gravidanza con la Costituzione. La mozione è stata accettata, con una procedura ritenuta illecita da molti giuristi, da un Tribunale che conta cinque dei quindici giudici nominati dal partito stesso negli anni precedenti. Il Tribunale Costituzionale è diventato un proseguimento del partito, oltre che il simbolo di un governo contro le libertà civili. È stato fortemente criticato anche dall’ex presidente del Consiglio Europeo, Donald Tuck – anche lui polacco.

Foto: Zuza Gałczyńska.

Critiche e calo dei consensi verso Diritto e Giustizia

La situazione è, comprensibilmente, molto tesa. Diritto e Giustizia si trova ora a dover gestire non solo una crisi sanitaria, ma anche un’importante crisi sociale. Nel frattempo, i consensi continuano a calare nonostante le recenti elezioni. La posizione del partito e del suo leader era già fragile dopo le elezioni presidenziali del 2020, vinte al ballottaggio con il 51% contro il leader del partito Piattaforma Civica – di centro-destra ma di vocazione europeista – e oggi sembra essere sempre più instabile.

Le contestazioni di queste settimane, guidate dal movimento femminista Strajk Kobiet (sciopero delle donne), hanno radici ben più profonde. Il governo di PiS ha progressivamente limitato ed eroso le libertà dei cittadini, è fortemente criticato per la gestione della pandemia e il piano delle vaccinazioni, sta limitando la libertà di stampa e sembra essersi avvicinato al governo sovranista dell’Ungheria di Orban.

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Mentre l’Argentina ha fatto un passo avanti importante, dal 27 gennaio la Polonia è diventata uno dei Paesi con le leggi più restrittive. In Europa è seconda solo a Malta, che non permette l’aborto in nessun caso. Con meno di duemila aborti legali l’anno, eseguiti soprattutto per malformazioni fetali, sono più di duecentomila le interruzioni di gravidanza svolte illegalmente o all’estero ogni anno, con forti rischi per la salute delle donne.

Il costo sociale dell’aborto illegale

Con questa decisione, l’aborto diventerà anche una questione economica. Chi non potrà permettersi di andare all’estero per interrompere la gravidanza sarà costretta ad abortire in modi più economici e meno sicuri. Il metodo illegale più semplice è quello delle pillole abortive, che andrebbero utilizzate solo durante le prime settimane di gestazione. Le malformazioni del feto, però, si scoprono solo a gravidanza inoltrata, quando le pillole non funzionano più. Chi vorrà abortire dovrà sottoporsi a procedure sanitarie più invasive, che dovrebbero essere riservate solo agli ambienti sterili e sicuri degli ospedali.

E ancora torna la pandemia, che limita le possibilità di viaggiare: come faranno le donne ad abortire se nel loro Paese è illegale e non possono spostarsi all’estero per farlo in modo sicuro?

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Foto: Jakub Zabinski.

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Tutelare il diritto all’aborto è tutelare un diritto umano, è salvare la libertà di scelta, è salvare le donne dalla violenza. A risentire di questa decisione sarà soprattutto la salute delle donne: proibire l’aborto non significa che non ci saranno più aborti. Tuttavia della salute delle donne, su cui si basano molte contestazioni, non sembra importare ai legislatori, che non hanno intenzione di fare un passo indietro.

Ed è proprio in nome della libertà e della loro salute che le donne, nonostante la zona rossa proclamata in tutta la Polonia, sono scese in strada, nelle piazze ma anche nelle chiese. Lo scopo è dare un forte segnale proprio dove queste idee hanno preso vita, occupando i luoghi che le vedono come carnefici, colpevoli, assassine. Ci auguriamo che questa sia solo una pagina nella storia dei diritti umani della Polonia e che presto nelle strade non ci sia più l’eco delle proteste che urlano, tra gli altri slogan, «tua colpa, tua colpa, tua grandissima colpa».

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