Versus – Super League, una questione di scelte: pro o contro?

È come se ci si trovasse a un bivio: bisogna scegliere da che parte stare. Ci sono alcuni che hanno già scelto, che stanno provando a indirizzare la marcia verso una direzione. Un’altra buona parte ha deciso di andare nel senso opposto. E infine ve ne sono altri che non sono in grado di scegliere; e così restano a guardare cosa succederà.

La Super League si è trasformata in concreta possibilità. Sono “usciti allo soperto” i firmatari di questa nuova super competizione europea, con UEFA e FIFA che si discostano a gran voce dal nuovo torneo e stanno delineando alcune tra le potenze economiche del calcio.

Abbiamo provato a tracciare delle linee. Per ogni pro, si è in qualche modo individuato un contro, ricreando questo bivio davanti a cui sono state messe le società ma, soprattutto, i calciatori.

Le partecipanti: quindici squadre fisse e cinque variabili

Pro

L’attuale sistema di qualificazione permette di avere tra le partecipanti alla Champions League squadre di campionati con un seguito internazionale bassissimo, a scapito di squadre con un gran numero di tifosi che devono contendersi l’accesso alla competizione regina in campionati con un tasso tecnico ben più alto. La Super League garantirebbe ai club più seguiti un posto assicurato, ma comunque un sistema ben studiato per i cinque posti extra darebbe alle squadre meritevoli la possibilità di partecipare alla competizione. Le favole? Sono belle, ma sono gli scontri di livello che interessano davvero i tifosi. Oppure occorre per forza credere che Liverpool-Midtjylland, che si sono affrontate quest’anno nei gironi di Champions, ha avuto lo stesso seguito, interesse e spettacolo di Real Madrid-Liverpool, affrontatesi successivamente nei quarti di finale?

Super League
Florentino Pérez, presidete del Real Madrid e primo presidente della Super League. Foto Flickr Instituto Cervantes de Tokio

Contro

La modalità di qualificazione della Champions e dell’Europa League prevede dei lunghi processi di qualificazione che garantiscono in maniera semi-democratica l’accesso alle fasi finali. Non ci si può scordare di quanto sia stato soddisfacente, per chi ama il calcio in maniera incondizionata, l’approdo di squadre come il Deportivo alle semifinali di Champions League.

Aprendo alla creazione della Super League si andrebbe a intaccare quel processo semi-democratico di qualificazione, stringendo ancora di più il numero di pretendenti (cinque, togliendo dal conteggio le “fisse”) a un nuovo campionato di cui l’Europa non ha bisogno in questo momento, rendendo quanto mai oligarchico il tutto.

Si andrebbero a sminuire dei valori d’inclusione che il calcio da sempre promuove. Il tifoso vuole poter credere che la propria squadra possa entrare a far parte della schiera delle migliori d’Europa, così come chi esulta per il suo undici campione in carica deve poter concepire l’esistenza di una partita su un campo di prima divisione norvegese. Perché privare i norreni della possibilità di ospitare un sogno del genere?

Leggi anche: I vantaggi nella Super League sono di chi ci partecipa.

L’esclusione dei giocatori delle squadre della Super League dalle Nazionali

Pro

Pur essendo le competizioni tra le Nazionali organizzate da UEFA e FIFA, una scelta di questo genere sarebbe a dir poco scellerata e lederebbe gli interessi di professionisti che hanno come unica colpa quella di giocare in squadre d’élite, oltre che gli interessi di chi rappresenta linfa vitale per questo sport, cioè i tifosi. L’Italia perderebbe almeno sei/sette titolari e così anche le altre big d’Europa. Avrebbero lo stesso seguito le partite delle Nazionali? Sicuramente no.

Questa “minaccia” potrebbe convincere qualche giocatore a cambiare squadra pur di non perdere la possibilità di difendere i colori del proprio Paese? Difficilmente: ci sono dei contratti in essere e, comunque, sono ben poche le squadre che hanno glissato sulla Super League e che potrebbero accontentare economicamente questi giocatori ipoteticamente desiderosi di cambiare.

Contro

Per quanto possano essere pochi gli ipotetici giocatori pronti a entrare nella Super League, il pensiero vola già a un discorso quanto mai monetario. Se faranno parte di questa lega le dodici squadre firmatarie, bisognerà immaginare un Campionato Europeo o addirittura un Campionato del mondo senza giocatori quali Cristiano Ronaldo, Donnarumma, Messi, Eriksen, De Jong, Rushford, Pogba. E si potrebbe continuare ancora per molto. Il gioco vale davvero la candela?

Per ora i presidenti stanno facendo i conti senza l’oste, con i giocatori che non è detto al 100% che siano pronti ad accettare tutto questo. Perlomeno non coloro che vivono davvero il calcio come sport e non come macchina da soldi. Ha detto bene Klopp: «Sono pronto a dimettermi qualora il Liverpool dovesse entrare a far parte di questa lega». E i tifosi non hanno fatto altro che supportare l’esternazione del proprio mister con un chiaro e cristallino shame on you sui cancelli di Anfield, indirizzato alla proprietà reds.

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Squadre partecipanti escluse dai Campionati nazionali

Pro

Tra tutte le obiezioni, questa sembra quella in assoluto meno praticabile. Rimanendo alla sola Serie A, Inter, Juventus e Milan (le tre squadre italiane che hanno aderito alla Super League) vantano da sole circa il 65% dei tifosi nel nostro Paese. La Serie A rimarrebbe con un terzo del seguito attuale, senza contare che almeno un’altra italiana potrebbe essere invitata ad aderire al progetto, facendo aumentare il gap.

Cosa ne sarebbe dell’accordo sui diritti TV per la trasmissione delle partite da poco raggiunto? Difficilmente DAZN accetterebbe di restare alle stesse condizioni dopo aver perso la quasi interezza del possibile bacino di utenti. Si tratterebbe di una Serie A castrata, senza appeal e con un considerevole calo di sponsorizzazioni. Le favole calcistiche sono sempre interessanti e belle, ma poco remunerative.

Contro

In una situazione del genere, non si può far altro che contare su due fattori, entrambi emotivi. Il primo riguarda l’effettiva volontà dei giocatori di voler giocare, come detto prima, per amore del calcio e non per denaro. Anche la seguente esclusione dalla propria nazionale potrebbe fungere da elemento cardine su cui spingere per far sì che questo non avvenga.

Il secondo fattore riguarda la fidelizzazione dei tifosi verso la squadra del proprio paese o città di appartenenza. Del 65% di tifosi delle tre squadre “a strisce” del nostro Paese, buona parte non sono residenti a Milano o a Torino. Questo potrebbe comportare un “ritorno alle origini” che, data l’eventuale eliminazione di questi team dalla serie A, potrebbe addirittura comprendere (perché no, bello sognare) un’incredibile ascesa di qualche squadra provinciale. Ma come detto, in questo caso ci si potrebbe solo aggrappare al cuore.

Leggi anche: Con la Super League muore il calcio. O forse no.

Americanizzazione del calcio

Pro

Guardando in particolare al fenomeno NBA, si capisce che tutto è costruito per massimizzare lo spettacolo. Per farlo è necessario dividere equamente le risorse. Ne sono esempio la suddivisione del budget tra le squadre e il sistema del draft. La Super League, se vuole anche solo lontanamente avvicinarsi ai fasti del basket americano, dovrà mantenere lo stesso spirito, adattandolo alla mentalità europea. A quel punto l’”americanizzazione” porterebbe solo vantaggi in termini di spettacolarità e seguito a livello mondiale.

Mediamente, ogni squadra NBA vale circa due miliardi di dollari. La squadra italiana più vicina è la Juventus, lontanissime tutte le altre. Perché i club maggiori e che rendono le competizioni europee quelle più seguite dovrebbero rinunciarvi? Perché dovrebbero rinunciavi i tifosi che si godrebbero un livello di gioco più alto?

Contro

Se il punto d’arrivo è quello americano dell’NBA, ci si può sbilanciare e dire che è un qualcosa di irrealizzabile. In primo luogo per il fatto che la figura super partes del commissioner dell’NBA, rimanendo in tema pallacanestro, deve essere qualcuno che sia in grado di far rispettare tutti gli interessi della lega che rappresenta. Negli Stati Uniti questa figura, oggi rappresentata da Adam Silver, è arrivata a essere un punto d’orgoglio perché si è creata nel corso degli anni in modo e maniera da accontentare tutte le fazioni che facevano parte del primo basket americano degli inizi del Noveceto sino ad oggi.

In un’Europa dove ognuno cercherebbe di prevalere sull’altro, arrivando al disgregamento del concetto stesso di calcio, è impensabile concepire il tutto per creare quell’entertainment che funziona negli USA ma che non si ha neanche la certezza possa attecchire nel nostro continente.

Calcio moderno vs. tifosi

Pro

Perché è così necessario fare questa dicotomia? Perché un tifoso deve per forza essere un soggetto legato a un calcio che va via via scomparendo e non un semplice amatore di questo sport? In realtà il calcio moderno è già qui: in Europa (e anche in Italia), tra sceicchi e fondi di investimenti, la “magia” del calcio della domenica già non esiste più. Le giornate-spezzatino sono già figlie della volontà delle pay TV di massimizzare i profitti. Perché non garantire ai tifosi l’essenza di ciò che è questo sport: competizione e spettacolo ai più alti livelli?

E le piccole? Le favole? Tra Serie A, Liga e Premier League negli ultimi dieci anni in una sola occasione ha prevalso una squadra non facente parte degli attuali dodici club pronti a partire in Super League. Una sola volta su trenta. Si tratta del Leicester, che nel 2015/2016 ha vinto la Premier League. Proprio la stessa Premier League che adesso si dice contraria alla scissione, ma che nel 1992 nacque per ragioni e modalità simili. Allora i ventidue club di First Division si staccarono dalla Football League per trattare in autonomia i diritti TV.

Contro

Provando a dare credito a questo binomio calcio moderno-tifosi, ipotizziamo che il Milan (per dirne una), facente parte della competizione sempre in quanto firmataria del progetto, sia ogni anno ultimo o comunque non in grado di vincere la competizione. Magari perché non sarà mai economicamente in grado come altre. Che succederebbe? I tifosi non si stancherebbero di guardare un campionato dove i propri beniamini non potrebbero mai vincere?

Era meglio quando si “stava peggio”, quando si poteva lottare per tre obiettivi (scudetto, Coppa Italia, Champions League) piuttosto che barcamenarsi per riuscire forse a vincerne uno. Anzi, visto che l’Arsenal figura tra quelle fantomatiche dodici ribelli, si potrebbe lasciare a Nick Hornby la parola per definire quest’eventuale scelta: «È come se fossi saltato sulle spalle della squadra quella sera e questa mi avesse trasportato nella luce che si irradiava di colpo su tutti noi. In quel momento, in qualche modo mi sono sentito staccato dalla squadra».

Super League
Tifosi dell’Arsenal sugli spalti dell’Emirates Stadium. Foto Flickr wonker

I giocatori potrebbero scegliere di giocare solo per squadre della Superleague

Pro

Praticamente ciò che accade già adesso. A parte i casi sempre più rari di bandiere che si legano a un solo club, i giocatori al top preferiscono giocare per i club migliori, gli unici capaci di destare interesse dal punto di vista storico, sportivo ed economico. Il problema si porrebbe solo tra big europee che fanno parte o meno della Super League, ma poi si tratterebbe di far scegliere a dei professionisti in base a interessi e convinzioni personali. Perché negare ai giocatori più forti di scontrarsi sempre ad alti livelli?   

Contro

Produrre un campionato di soli campioni ucciderebbe il calcio giovanile. E di seguito tutte le primavere delle varie società calcistiche, che dovrebbero fare i salti mortali (non riuscendoci) per riuscire a non vedere partire, una volta cresciuti e affermati, i propri campioni. Il calcio non può essere trasformato in uno sport elitario perché si basa tanto sul movimento giovanile “dal basso” quanto sul numeroso seguito di chi vuole giocare non solo per i soldi ma per la gloria. Per il sogno di vincere uno scudetto, una Champions League, un Mondiale. Equivarrebbe a privare i ragazzi dei propri sogni.

Super League
Foto Flickr Fabiana

Simone Biondi ed Eugenio Guido

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