Perù: vittoria al fotofinish per il marxista Castillo

Sta vincendo Fujimori; no, Castillo; ora Fujimori; no, nuovamente Castillo. Per i quasi venti milioni di elettori peruviani quelli appena trascorsi sono stati giorni di passione.

La notte elettorale è iniziata con buone notizie per la destra. I primi risultati del ballottaggio di queste contesissime presidenziali davano in vantaggio Keiko Fujimori, la conservatrice figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori. Ma gli analisti più accorti sapevano che con l’arrivo dei voti dalle zone rurali il candidato di estrema sinistra Pedro Castillo avrebbe recuperato, e così è stato. Mentre Lima, la popolosa capitale, ha premiato la destra, le zone più povere e dimenticate del paese hanno scelto Castillo. Perù Libre, il partito di Castillo, ha raggiunto quasi l’ottanta per cento dei suffragi nelle provincie meno abbienti.

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Il sorpasso è arrivato in piena notte, con oltre il novanta per cento delle schede scrutinate. Ma per qualche ora Fujimori ha continuato a sperare, contando sull’aiuto dei peruviani all’estero in gran parte schierati dalla sua parte. Le poche centinaia di migliaia di elettori fuori dal Paese, però, non sono stati sufficienti. Con una percentuale di spoglio vicina al cento per cento Pedro Castillo primeggia col cinquanta punto due per cento, mentre Fujimori segue al quarantanove punto sette. Risultati ormai abbastanza definitivi perché la sinistra si proclami vincitrice in conferenza stampa.

I candidati

Pedro Castillo, cinquantadue anni, maestro elementare e sindacalista, rappresenta l’anima rurale e povera del Paese. Partito come outsider – i sondaggi lo davano sotto il tre per cento a poche settimane dal primo turno – ha sbaragliato tutti a sorpresa con una campagna elettorale aggressiva, tutta puntata sulla contrapposizione tra le élites ricche e il Perù contadino e operaio. Ammiratore del socialismo del ventunesimo secolo – quello di Chàvez, Correa, Morales – e dichiaratamente marxista, nel suo programma propone la nazionalizzazione delle industrie strategiche, un poderoso rafforzamento del welfare, l’allontanamento dall’orbita statunitense e una nuova Costituzione. L’unico punto di contatto con la sua sfidante di destra è sui diritti civili: Castillo si è detto preoccupato per «il gender nelle scuole» ed è contrario a matrimonio omosessuale e aborto (pur avendo intenzione di lasciare su quest’ultimo tema libertà di scelta ai suoi deputati). Nelle ultime settimane prima del ballottaggio Castillo ha tentato di moderarsi su alcuni dei punti più caldi della sua proposta politica, prendendo le distanze dal Presidente venezuelano Maduro e attribuendo determinate posizioni in materia di nazionalizzazione alla sola sinistra del suo partito, Perù Libre. Unico sostegno di peso alla sua candidatura è arrivato da Verónika Mendoza, sfidante sconfitta al primo turno ed esponente di una sinistra radicale e patriottica ma vicina alle istanze femministe e della comunità Lgbt+.

Keiko Fujimori è la candidata dal cognome più pesante. Quarantasei anni, conservatrice, suo padre è l’ex dittatore Alberto Fujimori, attualmente in carcere per corruzione e violazione dei diritti umani. Conservatrice radicale, nel corso della campagna elettorale ha corteggiato l’elettorato centrista, chiedendo il voto per «fermare il pericolo rosso». Svolta moderata che non le ha impedito di promettere, se eletta, l’immediata scarcerazione del genitore. La Signora K, come viene soprannominata, ha incentrato il suo programma su sicurezza e disciplina: propone il ritorno della pena di morte, rigida disciplina di bilancio e una «riforma meritocratica» dell’istruzione. Malgrado l’endorsement di buona parte dei candidati al primo turno e l’appoggio di quasi tutto l’establishment mediatico e culturale – compreso lo scrittore di fama mondiale Mario Vargas Llosa – sembra che per poche centinaia di migliaia di voti la sua strategia non abbia avuto successo.

Cosa succede ora

Nel momento in cui scriviamo, l’Oficina Nacional de Procesos Electorales (Onpe) non ha ancora proclamato ufficialmente il vincitore, ma è ormai difficile pensare a nuovi colpi di scena.

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Fuerza Perù, il partito della sconfitta Keiko Fujimori, si è rifiutato di riconoscere l’esito delle elezioni e ha denunciato brogli – pur in assenza, almeno per ora, di prove. #FraudeEnMesa, “brogli ai seggi”, è l’hastag lanciato dalla destra. Accuse respinte al mittente da Castillo. «Noi i brogli siamo abituati a subirli, non a farli» ha detto il leader della sinistra. Gli osservatori internazionali sono concordi sul considerare regolare lo svolgimento del ballottaggio. Le elezioni «sono state organizzate in maniera corretta ed efficace nel rispetto degli standard nazionali e internazionali» ha scritto in una nota l’Unione Interamericana degli Organismi Elettorali (UNIORE), mentre il capo missione dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) si è complimentato con le autorità peruviane.

L’atmosfera resta in ogni caso tesa. Perù Libre ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza per difendere il risultato elettorale, mentre Dina Boularte, vicepresidente designata da Castillo, è stata inseguita dal seggio fino a casa da alcuni simpatizzanti di Fujimori.

Comunque vada a finire, il Perù è un Paese profondamente diviso. Vincintore e vinta sono separati da pochi decimali, ed entrambi già al primo turno erano espressione di una minoranza del Paese. Castillo un mese fa prese il diciannove per cento dei voti, Fujimori il quattordici. Il tutto con un’affluenza di meno del sessanta per cento.

La nazione sudamericana ha il più alto tasso di mortalità da Covid-19 sul pianeta e un PIL crollato dell’undici per cento nell’ultimo anno. Oltre il settanta per cento della popolazione vive di lavoro informale, e la povertà assoluta raggiunge il quaranta per cento in alcune aree rurali. Diviso tra città e campagna, tra elettori e astensionisti (tanti), tra sinistra radicale e destra estrema, il Perù ancora non sa cosa accadrà nelle prossime settimane.

Pedro Castillo ha vinto, ma non avrà vita facile. Perù Libre non controlla il Parlamento, e quasi tutte le altre formazioni gli sono fortemente ostili. La sua proposta d’indire un’assembla costituente è già stata indicata come «un colpo di mano» dalle opposizioni.

In Perù tutti gli ultimi presidenti sono finiti in carcere – chi per corruzione, chi per genocidio – o si sono suicidati prima dell’arresto. Occupare lo scranno più alto del potere di Lima non è un mestiere semplice, specie se si ha un programma radicale come quello del nuovo leader. Castillo riuscirà nell’impresa?

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