Negli ultimi anni, la Polonia ha rappresentato, insieme all’Ungheria di Orban, la spina nel fianco dell’Unione Europea; le posizioni sovraniste e illiberali fatte proprie dal partito Diritto e Giustizia che governa il Paese dal 2015 mal si sposano con i principi fondamentali che sono alla base della struttura europea.
Le numerose violazioni ai trattati comunitari pongono una serie minaccia ai trattati stessi, e in molti si chiedono se Bruxelles non debba prendere dei seri provvedimenti verso la Polonia e non solo, dato che l’asse Varsavia-Budapest costituisce un problema non da poco per la coerenza e la concretezza dell’Unione europea.
Qual è il problema
La questione del successo politico dei sovranismi non è una notizia degli ultimi giorni. Già da qualche anno le correnti nazionaliste e conservatrici minano il già fragile processo di integrazione europea; ma, appunto, la notizia che circa due mesi fa la Corte suprema polacca abbia dichiarato che alcuni articoli dei trattati dell’Unione europea sono incompatibili con la legislazione nazionale, e di conseguenza incostituzionali, non ha fatto altro che portare un nuovo clima di forte tensione tra Varsavia e Bruxelles.
La Corte suprema polacca ha poi avvertito le istituzioni europee di non andare oltre le proprie funzioni legislative, interferendo nella legislazione interna polacca. Sia la sentenza che le successive dichiarazioni sono state ben accolte dal governo polacco, il quale ha ribadito come sia necessario che a restare in posizione primaria sia l’ordine giudiziario nazionale, e come non ci sia spazio per interferenze dall’Ue.
La risposta da parte di Bruxelles non si è fatta attendere: la Commissione europea ha dichiarato che ad avere il primato nella gerarchia legislativa nei Paesi membri è la Corte di giustizia dell’Unione europea, non le singole corti nazionali.
Il gioco politico sulla pelle dell’integrità giuridica
Come scritto in precedenza, Varsavia, con le sue violazioni dei principi contenuti all’interno dei trattati, rischia di minare le fondamenta dell’Unione Europea e di creare precedenti pericolosi.
Verrebbe da chiedersi perché da Bruxelles tardino a dare una risposta netta, magari sanzionando la Polonia, fino anche magari a espellerla dall’Ue. Per cercare di rispondere a questa domanda andrebbero individuati elementi di natura politica che vanno a cozzare con la natura giuridica della questione, fino a farla scivolare su un secondo piano. Proviamo ora a tracciare questi elementi di natura più politica.
La Polonia, insieme all’Ungheria di Orban, negli ultimi anni ha introdotto riforme che sul piano del diritto interno hanno modificato, e di non poco, la natura giuridica dello Stato; possiamo parlare infatti di una “democrazia illiberale” (termine coniato proprio da Viktor Orban) che tra gli elementi che la rendono illiberale ha l’assoggettamento della magistratura al governo e la limitazione dei diritti politici e civili dei propri cittadini (negazione della libertà di stampa, politiche contro l’aborto, repressione delle minoranze, azioni contro le opposizioni eccetera).
Inoltre, accanto alla decisione di limitare il ruolo di Bruxelles, contestando la liceità del primato del diritto dell’Unione, Polonia e Ungheria hanno iniziato, in violazione dei Trattati, a minacciare di bloccare quelle proposte che per poter essere deliberate esigono l’unanimità in Consiglio. Così facendo, da un lato vogliono evitare censure relative alla violazione dei trattati in materia di democrazia e di diritti, dall’altro vogliono evitare che le autorità di controllo di bilancio “ficchino il naso” in una gestione inefficace e lacunosa dei fondi dell’Unione stessa.
Le risposte tiepide dell’Ue si inseriscono nel quadro degli equilibri politici che stanno alla base della questione; le prime difficoltà sorgono per l’impossibilità di utilizzare l’articolo 7 del Tue, il quale prevede la censura degli Stati membri che agiscono in un certo modo, dato il fatto che basta uno Stato diverso da quello “incriminato” voti contro e impedisca che si raggiunga l’unanimità in Consiglio per impedire ogni decisione; e perché vi è una certa difficoltà politica nella censura di questi Stati, dovuta anche alla presenza negli Stati più occidentali di forze sovraniste non trascurabili che rendono il lavoro più complicato.
Un’altra ragione che si affianca al sovranismo imperante in questi Paesi e che tiene legate le mani all’Unione europea è quella che riguarda una possibile Brexit parte 2. Si vuole infatti evitare un altro duro colpo all’Unione, tenendo anche presente che questi Paesi sono “paradisi” della delocalizzazione d’industrie europee, con tutti i legami che questo comporta.
Non è solo un problema interno: il ruolo della politica extraeuropea
Ai problemi che riguardano gli equilibri interni all’Unione europea si affiancano ulteriori problemi di politica internazionale. La Polonia ha da sempre rapporti molto difficili con la vicina Russia, e tende di conseguenza a rappresentarsi come uno degli alleati più fedeli degli Stati Uniti – e, infatti, è stata ammessa al recente summit sulla democrazia voluto, appunto, dagli Stati Uniti.
L’Ungheria, assieme ad altri Paesi balcanici, si trova invece politicamente più vicina a Russia e Cina (e gli Usa, infatti, non l’hanno invitata al sopracitato summit per la democrazia) e crea all’interno dell’Unione una contraddizione in termini di politica estera. Mettere fuori uno di questi due Paesi rappresenterebbe una crisi difficile da gestire. La Polonia potrebbe diventare ancora di più il cuneo infilato dalla destra americana per sfaldare l’Unione e l’Ungheria potrebbe aprire un buco nello schieramento europeo.
Gli ultimi aggiornamenti: continuano le trattative
Il neoeletto cancelliere tedesco Olaf Schölz si è di recente incontrato con il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki per fare il punto della situazione sui rapporti tra Polonia e Germania/Ue. Dall’incontro tra i due capi di governo è emersa la volontà di risolvere la questione sullo stato di diritto in Polonia. Ci sono state dichiarazioni congiunte sui buoni propositi di questi incontri per giungere a un accordo, ma Schölz è stato chiaro: Bruxelles rimarrà ferma sui suoi principi fondamentali di democrazia e stato di diritto, quindi si aspetta dei passi avanti da parte di Varsavia; non resta, quindi, che attendere quelli che saranno i risvolti futuri, con tanti attori esterni che osservano alla finestra.