L’accadememico: lo schizoposting e la maturità dei mematori

Lo humor nero è sempre stato popolare su Internet e non è un caso che sia arrivati al cosiddetto schizoposting, una corrente di meme fortemente incentrata sul tema della follia in senso clinico. In questa corrente i protagonisti sono persone affette dalle più disparate patologie psichiatriche, soprattutto schizofrenia, psicopatia e paranoia. Per quanto possa sembrare una forma di umorismo becera e indelicata, parliamo in realtà di un meme piuttosto complesso e indice di una certa maturità della comunità memetica.

Per comprendere questo fenomeno è utile capire come si è arrivati qui. Innanzitutto è necessario ricordare che l’internet di oggi è molto diverso da quello dei suoi albori. Già dai primi esperimenti anarchici è emerso come in rete potessero circolare contenuti disturbanti, aspetti che oggi sono relegati a nicchie sempre più confinate nel dark web ma che hanno creato dei precedenti o delle abitudini su cui si è costruita la cultura di internet. Prodotti creativi come gli Happy Tree Friends, Cyanide and Happyness o le opere di Joan Cornellà hanno trovato parecchia diffusione online, nonostante altrove sarebbero risultati troppo di cattivo gusto.

Negli ambienti memetici per eccellenza, spesso con una moderazione limitata o assente, questo genere di contenuti e altri ben più grotteschi sono rimasti piuttosto comuni, perciò non c’è da stupirsi del fatto che nella cultura memetica lo humor nero, per quanto tenuto nascosto, sia rimasto popolare. Questo genere di comicità ha bisogno che il contesto sia ben chiaro, altrimenti diventa impossibile distinguere una battuta a sfondo razzista che derite il razzismo da una marcatamente postironica con invece un marcato intento razzista.

Un altro tassello su cui si costruisce il fenomeno schizoposting è il particolare rapporto tra Tumblr e la malattia mentale. Da un lato si è posto come spazio sicuro per persone con disturbi mentali, dall’altro alcuni antri della piaffaforma hanno permesso il proliferare di vere e proprie sottoculture tossiche. Tra dinamiche di incentivo di comportamenti disfunzionali e auto-diagnosi (dovuta all’impossibilità statunitense, più che in Italia, di ricevere adeguate diagnosi e cure per i meno abbienti), è proprio da quella piattaforma che è nato un fenomeno di popizzazione dell’ansia e della depressione, viste come qualcosa di non tanto normale quanto banale. In un linguaggio iperbolico, una generale tensione diventa un’ansia e la malinconia autunnale diventa crippling depression, espressione intraducibile che indica i picchi depressivi dei soggetti con le forme più gravi della malattia.

Immagine con effetto vintage che cita "What is depression Like? He whispered. I'ts like drowning Except you can see everyone around breathing.
Genere di post che può mitizzare la depressione.

Si prendano questi ingredienti e li si contestualizzino nel biennio 2016-2017: c’è da un lato un senso di rinascimento nella comunità memetica, dall’altro una generale sensazione di decadenza della società, almeno per quelle che sono le prospettive dei millennial, ancora gli unici protagonisti delle comunità memetiche. A testimonianza di questo zeitgeist basti pensare a quanto il genere vaporwave avesse iniziato a influenzare il mainstream. In questo periodo pervade un certo senso di pessimismo e il fenomeno di popizzazione dell’ansia e in generale del malessere mentale visto quasi come fosse una virtù del giovane (post)moderno, qualunque cosa questo voglia dire.

Con l’escamotage dei livelli di ironia, in un contesto in cui il concetto di post-ironia non è ancora pereato, si diffondono contenuti delle comunità di shitposter in cui l’autoironia si fa auto-bullismo. Si tratta di un comportamento malsano in cui il limite tra scherzo e autoconvincimento si assottiglia in modo pericoloso. A questo si unisce un genuino apprezzamento per il cloud rap, microgenere musicale caratterizzato da ritmi lenti, temi tristi e un generale senso di negatività, a quei tempi al massimo della rilevanza.

Alieno si guarda allo specchio e pensa "I want to believe in myself"

Nel momento in cui questo fenomeno si è esaurito, in parallelo a una maggiore consapevolezza sul potere dei meme come linguaggio, in risposta a quest’ondata è emerso e ha preso il sopravvento un tipo di umorismo post-ironico che invece cerca di portare sentimenti positivi e un’incentivo a prendersi cura di sé.

Esempio di meme wholesome.

Questa nuova ondata ha dimostrato che un altro umorismo è possibile ed è stata piuttosto longeva. Tuttavia, non ha di certo spazzato il malessere presente nella comunità dei mematori. Tra questi ci sono molti neet (persone che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro) o altre persone che vivono delle situazioni di oggettivo disagio, per cui l’idea dello shitposter depresso è sopravvissuta. Nel frattempo, il personaggio di Wojak vive un nuovo rinascimento, scalzando lentamente Pepe the Frog dal suo ruolo di simbolo degli shitposter e sviluppando una lore, ovvero un universo narrativo emergente da tanti piccoli mattoni narrativi creati dalle varie piccole narrazioni presenti nei post.

Tra questi diventa molto popolare il doomer, rappresentante del ragazzo non solo depresso ma anche alienato e senza concrete prospettive per il futuro. Questo personaggio nasce come uno tra tanti ma finisce per diventare un vero e proprio archetipo narrativo per i meme contemporanei. È in questo personaggio che nascono le basi dello schizoposting. Il doomer prende piega lentamente e trova la sua esplosione quando nel meme lo si contrappone a una doomer girl. Esiste quindi una base su cui si radica lo stereotipo, e quella base è nel malessere più o meno diffuso ma invisibile. Il meme muta, e si associa sempre di più a personaggi di film cult che, in parallelo, finiscono per rappresentare quegli stessi ragazzi stereotipizzati da doomer.

Il punto di svotla si ha col (non) ritorno delle rage comics, e in particolar modo della Trollface. Questa si ripresenta in una forma più evoluta, volta a trollare non più gli altri, ma sé stessa. Con un paio di post particolarmente iconici, il nonsense diventa meta-umorismo che trasforma Trollface nell’archetipo di persona con gravi disturbi mentali.

È qui che lo schizoposting prende forma e inizia a evolvere, raffinandosi sempre di più. Se nelle ondate di qualche anno fa l’umorismo diventava una forma di glorificazione del disagio, in questo caso il sottotesto è molto diverso. Lo schizoposting esiste perché la malattia mentale esiste e non si può vivere come se questa non esistesse. Scherzarci su, senza una condanna di natura morale, e riflettendo sulle sue forme più gravi, in alcuni casi è una semplice forma di umorismo grottesco, in altre è una forma di riflessione su come la società per intero deve convivere la malattia. In questo caso il meme ha anche un potere di depotenziamento degli stereotipi: rendendo il tutto volontariamente assurdo e caricaturale, fingendo in modo molto evidente di identificarsi con la schizo-Trollface, si depotenziano alti topoi come il doomer. Si tratta di una forma di umorismo e di riflessione collettiva molto matura, quanto meno molto più matura rispetto a quella di non troppo tempo fa. L’unico difetto a questa imputabile è che c’è una palpabile confusione tra le varie patologie, tuttavia non è compito del meme essere psichiatricamente accurato.

Sulla scia dello schizoposting, è nato anche il dementiaposting che con delle premesse del tutto analoghe si focalizza sulla demenza senile, ispirandosi all’album Everywhere at The End of Time, un disco di culto su Internet che prova a simulare l’esperienza della demenza senile. L’esperienza vissuta attraverso le sei fasi, in cui la musica degenera in rumore, creando un vero e proprio stato di ansia e timore nell’ascoltatore. In questo caso è ancora più marcata la volontà di portare avanti l’idea di The Caretaker, l’autore del disco, nel raccontare il dramma della malattia, seppur in modo giocoso. In questo caso il meme si eleva a qualcosa di molto di più dell’equivalente di una battuta ma prova a essere una vera e propria forma di arte collettiva.

Esempio di schizoposting che riprende il primo disco di Everywhere at The End of Time

Si potrebbe pensare che lo schizoposting sia un fenomeno di nicchia, e in parte lo è, ma sta già lasciando una sua eredità tra i meme più popolari. Per esempio il meme di Mr. Incredible non riprende solo l’estetica della Trollface depressa, ma nella sua versione video in cui degenera progressivamente, usa una versione ancora più distorta della canzone emblematica del lavoro di The Caretaker. Quest’ultimo in realtà è ancora in forte evoluzione e ne è apparsa una versione in cui la degenerazione è invece in chiave positiva. Non è ormai raro vedere delle forme di schizoposting più mainstream sotto forma di citazioni al film American Psycho su media come TikTok, usati spesso per decostruire la mascolinità tossica (spesso indugiando sul fatto che sia stato diretto da una donna).

Un aspetto curioso è il tempismo con cui è nato il progetto This Wojak Does Not Exist, un generatore di personaggi Wojak che utilizza la stessa tecnologia del generatore di volti analogo, basato su reti neurali (intelligenza artificiale). L’effetto di queste generazioni è molto simile a dei quadri espressionisti e sembrerebbero rappresentare una qualche sorta di angoscia esistenziale. Alcuni hanno subito fatto un collegamento con lo schizoposting. Per quanto sarebbe bella, tale coincidenza è in realtà spiegabile dall’underfitting, ovvero un apprendimento errato delle reti neurali dovuto al basso numero di meme da cui ha potuto apprendere.

Esempio di Wojak autogenerato

Lo schizoposting è riuscito completare la missione portata avanti da Doomer, cioè di esprimere la presenza del disagio mentale come qualcosa di insito in questo tipo di società, senza farne una questione politica, ma soprattutto in modo esplicito e razionale. L’unico problema è che, trattandosi di un meme così complesso e stratificato, ha bisogno di una conoscenza piuttosto ampia di cultura relativa al mondo dei meme. Ciò da un lato ne permette la preservazione, evitando quindi i meccanismi di cancerizzazione del meme (l’utilizzo in modo eccessivo che ne snatura il significato originale) ma allo stesso tempo ne limita la portata comunicativa, precludendo tutta la riflessione che lo rende un meme così importante al grande pubblico.

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