Avvocati e obbligo di Green Pass: regole e problematiche

Coronavirus e legislazione d’emergenza costituiscono, ormai, un binomio perfetto e inscindibile. Il susseguirsi di decreti legge, decreti legislativi e decreti ministeriali ha contribuito a costruire, in materia sanitaria, una legislazione a sé stante e in continua evoluzione. Il progressivo aggiornamento della normativa (reso necessario dall’evolvere della pandemia e caratterizzato da variabili quali le curve di contagio, le varianti del virus e le diverse stagioni) ha spinto il legislatore ad adottare provvedimenti sempre più stringenti, soprattutto nei confronti dei soggetti non vaccinati.

Nonostante la discussa possibilità di poter prevedere un obbligo vaccinale, il Governo ha preferito la scelta di introdurre un obbligo indiretto che prevede, per i non vaccinati e per i non guariti, il divieto di partecipare a diversi ambiti della vita pubblica come l’andare al ristorante, al bar, nei negozi o accedere ai pubblici uffici. L’introduzione di un obbligo così stringente è stata accompagnata da alcune necessarie esclusioni come, per esempio, la possibilità di accedere ai supermercati, alle farmacie, alle prestazioni sanitarie o di giustizia ma, in quest’ultimo caso, solo per le attività considerate urgenti o necessarie. Nonostante le critiche emerse in diversi settori, particolare attenzione merita la posizione assunta da una parte del mondo legale tanto per la particolarità e delicatezza della prestazione offerta, ossia del fondamentale diritto alla difesa, quanto per le modalità di accesso al luogo principale di tale settore: il Tribunale.

Le regole per il green pass degli avvocati


Con il D.L. n. 1 del 2022, entrato in vigore in pieno periodo festivo, il legislatore ha previsto l’estensione del cosiddetto Green Pass rafforzato a diversi settori e introdotto, per i soggetti con più di cinquant’anni, un vero e proprio obbligo vaccinale con tanto di relative sanzioni se tale obbligo non viene adempiuto o se il soggetto si rechi, senza vaccino, sul luogo di lavoro. Anche questo provvedimento, così come anche parte dei precedenti, è purtroppo caratterizzato dalla mancanza di chiarezza e precisione che, invece, dovrebbero accompagnare ogni singolo intervento legislativo. L’incertezza del dato scritto ha portato, come conseguenza, a una serie di integrazioni della norma fornite in via interpretativa dal Governo.

Per la precisione, il citato decreto si è limitato a estendere l’obbligo di Green Pass rafforzato, già in vigore per i Magistrati, anche «ai difensori, consulenti, periti e agli altri ausiliari del magistrato» aggiungendo che «l’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde non costituisce legittimo impedimento alla comparizione in udienza». Di fatto, allora, gli unici soggetti legittimati ad accedere al Tribunale senza green pass sono i testimoni e le parti stesse del processo e ciò in quanto l’esclusione appena richiamata concorre con l’obbligo di certificazione già previsto per gli uffici pubblici per i privati cittadini.


Un primo punto critico, nel silenzio del dato normativo, riguardava la data di entrata in vigore dell’obbligo per il personale di giustizia e, in particolare, se tale data dovesse coincidere con quella generale del 1 febbraio o, invece, con l’entrata in vigore del decreto e quindi già dall’8 gennaio 2022. I principali organi rappresentativi dell’avvocatura, pur sostenendo la tesi dell’entrata in vigore differita, si sono allora rivolti al Ministero per ottenere chiarimenti. Di contro, diversi tribunali in Italia hanno invece dato seguito alla diversa interpretazione richiedendo, già da gennaio. 2022, l’esibizione della certificazione verde. La prima questione è stata risolta dal Ministero che, con nota ufficiale, ha precisato che l’obbligatorietà del Green Pass per l’accesso al Tribunale doveva intendersi già operante all’entrata in vigore del decreto. Il Governo, nella stessa occasione, ha poi precisato in maniera più dettagliata le singole scadenze e modalità per l’accesso ai Tribunali. Mentre l’obbligo di esibizione del green pass è decorso, per avvocati e altre figure del processo, dall’8 gennaio, per i privati lo stesso obbligo ha iniziato a decorrere solo dal 1 febbraio. Un successivo termine, da cui ha avuto origine la più sottile e significativa diatriba in essere, era invece quello previsto al 15 febbraio per cui i soggetti con più di cinquant’anni sono tenuti ad essere in possesso e a esibire il Green Pass “rafforzato” per accedere ai palazzi di giustizia. Restano esentati, in ogni caso, solo i testimoni e le parti.

Le diverse posizioni degli avvocati sul green pass

Come in ogni discussione che si rispetti, anche in questo, caso si contrappongono due diverse fazioni, ognuna con le proprie argomentazioni, sulla liceità o meno di una simile previsione in un ambito, quello della giustizia, del tutto particolare rispetto a ogni altro settore.

Per quanto riguarda la parte contraria a un simile obbligo, le motivazioni poste alla base del dissenso sono collegate alla delicatezza del settore giudiziario e agli stretti rapporti con i diritti, costituzionalmente garantiti, di accesso alla giustizia e diritto alla difesa. Nello specifico, l’art. 24 della Costituzione garantisce a chiunque il diritto alla difesa che si sostanzia nella possibilità di agire e resistere in giudizio. Il generico diritto alla difesa si traduce, sul piano pratico, nel diritto a una difesa tecnica ossia nella rappresentanza processuale esercitata da un avvocato.

Fondamentale, poi, è il rapporto fiduciario che si instaura tra cliente-assistito e il proprio legale, fiducia che deve sempre essere presente e costante nel corso del rapporto professionale. L’istituto della fiducia giustifica la piena libertà nella scelta del difensore e la possibilità, per entrambe le parti, di poter interrompere in qualsiasi momento il rapporto. Ebbene, la previsione del decreto limiterebbe tale diritto: da una parte non consentendo l’esercizio della professione all’avvocato e, dall’altra, minando il fondamentale rapporto di fiducia tra questi e il proprio cliente che non avrà più la libertà, da intendersi in modo assoluto, di scegliere il proprio legale dovendo limitare o adattare tale scelta.

Questa problematica non si pone in riferimento ai diversi uffici del processo: l’assenza di un Giudice o di un Pubblico Ministero, infatti, è del tutto ininfluente, potendo gli stessi essere sostituiti da altri colleghi. L’elemento fondamentale, in questo caso, è solo la loro funzione. L’avvocato, invece, si caratterizza per un rapporto strettamente personale e il suo legame con l’assistito, che liberamente lo sceglie, è imprescindibile. Oltretutto, anche la scelta del legislatore di parificare il Tribunale a un luogo di lavoro, così come quella di prevedere l’esclusione del giustificato motivo in caso di mancanza di Certificazione Verde pongono non pochi problemi.

L’avvocato, infatti, quando si reca in Tribunale si limita a svolgere una funzione di giustizia: il luogo di lavoro è lo studio professionale. Con riferimento alla scelta del legislatore sulle assenze, una simile presa di posizione rischia di stridere con la separazione dei poteri in quanto viene privato il Giudice, titolare della finzione giurisdizionale, di poter scegliere cosa costituisca, o meno, un legittimo impedimento nel caso concreto.


Per quanto attiene, invece, le posizioni di chi è favorevole al noto intervento legislativo, occorre segnalare fin da subito che gran parte delle istituzioni rappresentative forensi si dicono comprensive della suddetta limitazione con riguardo all’emergenza nazionale, preminente a ogni altra possibile problematica.

Particolarmente critica è la posizione assunta dall’Unione delle Camere Penali, per cui la presa di posizione di parte del mondo forense è ingiustificata e ciò in quanto muova, in realtà, da errate premesse. La stessa rileva che si porrebbe come un controsenso il riconoscere l’esistenza di uno stato di emergenza e, in seguito, lamentare la lesione del diritto alla difesa. La Costituzione prevede, in determinate situazioni di emergenza, la possibilità per lo Stato di limitare taluni diritti dell’uomo attraverso un bilanciamento di interessi contrapposti dove il diritto alla salute è senz’altro prevalente.

L’Ucpi, nel caso in analisi, ritiene dunque che prima di poter invocare la lesione al diritto alla difesa occorra analizzare se vi siano le premesse, cioè se al momento, al di là delle decisioni prese dell’esecutivo, siamo o meno in uno stato di emergenza pandemico. In sostanza, dunque, gli avvocati delle Camere Penali ritengono che sia legittimo, in presenza di dati e argomenti scientifici condivisibili a livello nazionale, mettere in discussione lo stato di emergenza. Ciò che non sarebbe concepibile, allora, è accettare questo presupposto ma invocare il diritto alla difesa quale motivo di esenzione. Gli stessi aggiungono, poi, che una simile presa di posizione sarebbe invocabile anche in altri settori e non solo in quello legale come, per esempio, in ambito medico laddove la sospensione di parte del personale sanitario si potrebbe porre in contrasto con il fondamentale diritto alla salute.

Allo stato dei fatti non c’è ancora una risposta univoca su quale delle due posizioni possa prevalere. Certo è che la peculiarità della stessa, che si discosta dal classico dibattito televisivo o da salotto a cui siamo abituati, è che i sostenitori di entrambe le posizioni sono esperti e operatori del mondo giuridico. In questo senso, allora, quale miglior modo di esprimere le proprie tesi se non attraverso gli strumenti che l’ordinamento riconosce? Sono infatti diversi, al momento, gli esposti e le denunce presentati e le parti contrapposte esprimono ed esprimeranno le proprie tesi, nell’attesa di un intervento, almeno chiarificatore sul punto, da parte del Governo. Certo è che lo stesso governo, avendone avuto il tempo, avrebbe potuto coinvolgere direttamente le parti in causa evitando, così, un acceso dibattito su una questione così delicata e importante, attesa la natura di essenzialità e indisponibilità dei diritti in gioco.

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