Guerra in Ucraina: riflessioni sugli errori di valutazione occidentali

Da giorni ormai assistiamo alle atrocità che riguardano la guerra in Ucraina: le immagini della popolazione ucraina sofferente e alle corde riempiono i palinsesti televisivi e ci toccano profondamente. Anche noi occidentali iniziamo a sentirci toccati dagli effetti di questa guerra: ad esempio, guardando in casa nostra, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato in parlamento che, per far fronte alla crisi economica provocata dalla guerra, l’Iva sarà ridotta al cinque per cento per le utenze del gas e il governo ha destinato sedici miliardi per sostenere le famiglie a causa dei rincari delle bollette. Inoltre, una sfida fondamentale per l’Europa sarà quella che riguarda l’accoglienza dell’enorme quantità di rifugiati dall’Ucraina: secondo l’ONU ci sono più di un milione e mezzo di profughi che scappano dalla guerra.

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Le radici di questo conflitto sono lunghe e profonde e non posso essere rintracciabili in una mera mania di protagonismo di Putin. Anzi, il clima che respiriamo oggi è figlio di una serie di errori di valutazione fatti in passato proprio dall’occidente, che non è riuscito a creare degli strumenti in grado di prevenire una certa escalation.

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Dalla caduta dell’Urss ai primi anni Duemila: il seme della guerra

La caduta del muro di Berlino del 1989 e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica pochi anni dopo hanno portato una inebriante aria di vittoria nel mondo occidentale. I valori liberali e capitalisti avevano trionfato e sconfitto la controparte comunista, e la nascente Federazione Russa non destava molte preoccupazioni. L’inizio di una serie di errori di valutazione da parte delle potenze occidentali coincise proprio con questo punto. Infatti, all’epoca né gli Stati Uniti né gli Stati membri della Comunità europea ritenevano la Russia una potenza capace di divenire un attore centrale negli scenari europei. Anzi, era convinzione di molti che il Cremlino avesse abbandonato la sua storia di autoritarismo e che, grazie soprattutto agli investimenti occidentali, avesse deciso di seguire la strada democratica dei modelli occidentali.

Boris Yeltsin (a sinistra) e Bill Clinton (a destra) nel 1999.

La convinzione che la Russia si sarebbe piegata ai valori di matrice capitalistico-liberale e, soprattutto, che avrebbe tenuto una posizione marginale negli equilibri internazionali, aveva portato Washington e Bruxelles a ignorare possibili partnerships con Mosca. In merito, lo stesso Putin ha dichiarato nel suo discorso del 24 febbraio che la Russia era interessata a entrare nella Nato ma ricevette un secco no da parte di Bill Clinton, all’epoca presidente degli Stati Uniti. La volontà russa di entrare nell’alleanza atlantica non è stata scoperta solo attraverso le dichiarazioni recenti del suo leader: già da qualche anno alcuni funzionari americani avevano riportato il passato interesse del Cremlino per la Nato.

Incomprensioni e narrazioni diverse: forse non ci siamo mai capiti

La guerra in Ucraina può essere anche vista come conseguenza di anni persi in narrazioni contrapposte e impegni non rispettati. Dal lato russo vediamo, infatti, la condanna della mancata promessa da parte dell’occidente a non espandere la Nato verso est. La Russia giustifica l’invasione armata in Ucraina proprio per la minaccia reale che quest’ultima potesse entrare nell’alleanza atlantica: per Mosca, la Nato non è mai stata un’alleanza militare difensiva ma offensiva.

Jens Stoltenberg (a sinistra) e Petro Poroshenko (a destra) nel 2017.

Dall’altro lato, invece, viene più volte fatto presente come la Russia sia venuta meno agli impegni che aveva assunto nei confronti dell’Ucraina con il Memorandum di Budapest del 1994, secondo cui appunto Mosca si impegnava a tutelare l’Ucraina durante il periodo di smantellamento dell’arsenale nucleare di Kiev. La questione del nucleare ha portato a un precedente molto pericoloso. Si è avuta infatti un’allarmante rivalutazione dello strumento nucleare: la Russia avrebbe invaso comunque l’Ucraina se questa avesse avuto a disposizione il suo arsenale nucleare al completo? Non trovare una visione comune su questo problema ha senza dubbio portato ad avvelenare le acque tra i due mondi e a distanziarli sempre di più.

Un altro punto cruciale sul quale ci sono state delle percezioni totalmente differenti è stato quello della rivoluzione arancione in Ucraina del 2004. Se dal lato occidentale la mobilitazione popolare, che aveva portato la Corte costituzionale ucraina a invalidare il risultato delle elezioni e ripetere i turni alle urne, era vista come un movimento dal basso che poneva la base per un percorso democratico del Paese, dalla controparte russa fu vista come un vero e proprio colpo di Stato.

Una manifestazione pacifica in Ucraina a Kharkiv durante la rivoluzione arancione del 2004.

In conclusione, la somma di queste incomprensioni e narrazioni differenti dei vari fatti storici hanno portato l’occidente a ignorare un punto fondamentale: è da più di un decennio che la Russia aveva attuato un importante cambio di rotta nella sua politica estera. Infatti, Putin ha iniziato a ragionare e a muoversi come un attore egemone e revisionista dell’ordine regionale e mondiale, cercando di respingere l’allargamento occidentale e provando ad aumentare la sua sfera di influenza. Non provare a capire questo modo di pensare, con il conseguente fondamentale cambio di rotta, ha giocato sicuramente un ruolo centrale nella situazione che viviamo oggi e che, molto probabilmente, vivremo in futuro.

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